(Francesco Serra dei Trees of mint - Foto da internet)
E' stato da poco pubblicato per la Here I Stay "Micro Meadow", il primo album dei Trees of mint. Un disco che mette insieme il post-rock mimale ed atmosfere più intime e cantaturali. Una delle migliori uscite della label cagliaritana. Sara Loddo ha intervistato Francesco Serra.
Trees of mint, Alberi di menta, come mai un nome come questo?
Mi suona bene! Poi cercavo un nome suggestivo, non mi volevo legare a qualcosa che esprimesse un concetto troppo definito. Trees of mint evoca un colore, un odore, un sapore e un’immagine abbastanza vaga. Trovo che sia in sintonia con l’atmosfera generale che si respira nella mia musica.
In Trees of mint sei tu con la tua chitarra. C’è poi l’accompagnamento della batteria. È appunto un accompagnamento o qualcosa di più?
Un po’ tutte e due le cose… Fino ad ora ho composto da solo, nella mia stanza, infatti la chitarra costituisce l’ossatura portante dei pezzi. Il batterista quindi si è dovuto adattare a strutture già definite, e spesso ha dovuto lavorare assecondando la ritmica della chitarra per non stravolgere troppo l’andatura complessiva del pezzo. In questo caso penso che si possa parlare di accompagnamento. Ma è anche vero che la batteria ha giocato un ruolo importante nella riuscita delle canzoni, ha evidenziato alcuni aspetti importanti della struttura riuscendo ad indirizzare i pezzi sul binario giusto. Si parla di interventi discreti ma fondamentali, che vanno anche oltre il semplice accompagnamento.
Di cosa parli nelle tue canzoni? Cosa racconti?
In realtà non credo di essere un gran cantastorie, ho iniziato a scrivere soprattutto per usare la voce. Dai testi emerge una mappa abbastanza incasinata del mio immaginario e del mio vissuto personale: pensieri, ricordi, immagini, suggestioni associate a periodi della mia vita o a situazioni che mi hanno colpito. Cerco di combinare tra loro questi tasselli vacanti, indirizzandoli verso dei concetti, cercando di non essere mai troppo esplicito, preferisco lasciare spazio a più interpretazioni e spesso uso le parole semplicemente per rafforzare la carica emotiva del suono. La musica per me viene prima di tutto e generalmente i testi sono più che altro delle illustrazioni piuttosto vaghe.
Le tue sono canzoni sussurrate più che cantate, sono dotate di una delicatezza particolare, una delicatezza discreta ma allo stesso tempo provvista di una grande forza. Come qualcuno che non esagera, che non alza mai la voce, ma riesce comunque a raggiungere i suoi obiettivi. Quanto c’è di te in tutto questo?
Purtroppo poco! Sarebbe bello poter raggiungere i propri obiettivi senza scomporsi e senza alzare mai la voce ma non è così… Penso che nel mio stile musicale siano rintracciabili più che altro gli aspetti della mia personalità meno conciliabili con la vita di tutti i giorni.
Chi e cosa ha influito di più nel tuo modo di fare musica? A me vengono in mente artisti come Pedro The Lion o Vincent Gallo, quali sono invece i tuoi punti di riferimento?
Potrei citarne un’infinità… comunque, i punti saldi rimangono Velvet Underground, Sonic Youth, Derek Bailey, The Pastels e Dirty Three. Poi certo, anche quelli che hai citato non mi dispiacciono, anche se Vincent Gallo lo preferisco come regista.
Quanta importanza attribuisci alla musica nella tua vita?
Tanta. In passato forse l’ho presa troppo seriamente, è stata qualcosa di totalizzante che mi ha fatto perdere di vista il valore di certe cose. Adesso forse ho trovato la giusta collocazione da darle, tra le altre cose importanti di cui non posso fare a meno.
Cos’altro occupa le tue giornate?
Varie cose poco interessanti, a parte stare con la mia ragazza, andare a bere qualche bicchiere con gli amici e fare scorpacciate di film. Sono pigro, butto via un sacco di tempo.
Sul tuo Myspace c’è il video di una tua vecchia canzone, “Heroes feel alone”, in cui sei l’autore di musica, riprese e montaggio. Dai giochi di luce, dal tipo di inquadrature e dalla presenza delle diapositive si deduce un interesse per la fotografia. Sbaglio? Altri progetti del genere?
In realtà mi interessa l’immagine in genere, indipendentemente dal supporto, quindi cinema, fotografia, pittura, computer grafica o tutto insieme. Poi ho un debole per le polaroid e per il super 8, infatti “Heroes feel alone”, l’unico video che ho fatto, è stato interamente girato in questo formato che secondo me si prestava particolarmente a illustrare le suggestioni della musica, legata al ricordo e al sogno. Mi piacerebbe riuscire a fare un altro video entro la fine dell’anno, ho diverse idee su cui lavorare, ma dovrei trovare il tempo e i soldi per realizzarlo.
Un bel po’ di anni fa suonavi in un gruppo noise di Cagliari, i Virus in Pachyderm. Raccontaci un po’ come e quando è avvenuto il passaggio alla nuova dimensione intimistica. Com’è nato Trees of mint?
Trees of mint è nato quando ho cominciato a racimolare alcuni pezzi che avevo scritto mentre suonavo con i Virus In Pachyderm e che avevo accantonato perché li sentivo troppo distanti dalle sonorità della band, orientata appunto più sul noise rock e la psichedelia. Nel ’99 la band si è sciolta, un anno dopo ho lasciato Cagliari e mi sono trasferito a Bologna. Non avendo una band, ho cominciato a suonare da solo nella mia camera, a volumi molto bassi, delle volte addirittura in cuffia. Ho cominciato a comporre nuovi pezzi e ad arrangiare quelli vecchi. Nel frattempo ho approfondito il rapporto con la chitarra, infatti suonare da solo, senza il basso e la batteria, mi ha permesso di concentrami di più sul suono dello strumento, scoprendo nuove sfumature e dettagli interessanti che ho cercato di recuperare dallo sfondo e portare in primo piano. Ho un po’ trovato la mia dimensione e ho continuato sulla stessa linea sino ad oggi.
“Micro Meadow” è il tuo terzo lavoro con questo progetto. Cos’è cambiato rispetto ai due demo precedenti?
Non riesco più ad ascoltare i vecchi demo. Mi suonano piuttosto acerbi, li trovo meno comunicativi, si respira un senso di chiusura, un’atmosfera cupa e un po’ stagnante. Comunque qualcosa di buono c’è, infatti alcuni pezzi li ho voluti recuperare e inserire nel disco, perché nei demo erano penalizzati dalla bassa qualità della registrazione e non rendevano. Invece “Micro Meadow”, al di là degli ovvi miglioramenti legati alla qualità della registrazione, è un disco che cerca maggiormente il contatto con l’esterno, c’è un tentativo di uscire dalla dimensione claustrofobica dei demo precedenti, ci sono pezzi più solari, anche se non mancano i toni pacati e i momenti di introspezione che alla fine penso siano un tratto distintivo della mia musica.
Immagino che ora inizieranno le date per far sentire l’album un po’ in giro. Qualche tappa prevista?
Saremo vostri ospiti al MI AMI! Più una serie di date ancora da confermare, quindi non mi sbilancio.
Quanta importanza dai alla dimensione live?
I live sono molto importanti, anche se a dire il vero non ne ho fatti tantissimi. Penso che suonare dal vivo aiuti a svezzarsi dalla dimensione privata e confortevole della sala prove e a sviluppare la capacità di adattarsi a situazioni sempre diverse. Inoltre, attraverso i live è possibile rimettere continuamente in gioco i pezzi congelati nel disco, attraverso nuove interpretazioni, nuovi arrangiamenti o altre variazioni, che contribuiscono a mantenerli in vita e a renderli sempre attuali. Il confronto diretto col pubblico permette di vivere la musica con un’ intensità diversa, è un’esperienza piacevole, rigenerante, che spesso finisce con tante chiacchiere e una sana sbronza a cuor leggero.
Potendo scegliere un musicista con cui collaborare o con cui dividere il palco, estendendo la scelta anche agli “irraggiungibili”, per chi opteresti?
Esagerando direi Dirty Three, Smog, Low, ma mi accontenterei di molto meno…
Fra i cantanti o i gruppi italiani a chi non rifiuteresti mai una collaborazione?
Mi vengono in mente Dainocova, Comaneci, Bob Corn e ovviamente tutte le band Here I Stay.
Come nella storia di Aladino hai un genio, una lampada e tre desideri da esprimere. Senza pensarci troppo, quali sono i tuoi?
Divertente…Sesso, Droga e Rock’n Roll fino alla fine? mmm non saprei…
Una bella casa…
Una bella famiglia…
e….
ballare rock’n roll con i vecchi amici per festeggiare i miei ottant’anni!!!
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L'articolo Trees of mint - Mail, 22-04-2008 di Sara Loddo è apparso su Rockit.it il 2008-04-22 00:00:00
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