Una corona da cui sbucano due gambe nude, accovacciate, col sedere in bella vista. È questa l’immagine con cui si presentava Re Nudo, storica rivista di controcultura italiana nata a Milano nel novembre del 1970. Un giornale underground, quando ancora in Italia erano in pochi a sapere cosa volesse dire. E che adesso, a distanza di cinquant’anni, terminerà le sue pubblicazioni. Esce il 26 novembre, per Interno 4 Edizioni, il libro Antologia di Re Nudo 1970-2020 Storie e storia di una rivista, che in 500 pagine raccoglie gli articoli più belli pubblicati nel corso di mezzo secolo – con una pausa dal 1980 al 1996 – di vita.
"Fare la selezione è stata una tortura", ci ha rivelato Andrea Majid Valcarenghi, fondatore della rivista e uno degli agitatori culturali più potenti degli anni ’70 italiani. "È stato bellissimo rileggere così tanti articoli e ricordare episodi, aneddoti e persone, però scegliere cosa pubblicare e cosa no nel volume antologico è stato quasi impossibile". Tra i tanti editoriali che trattano di omosessualità, femminismo, consumo di droghe, malattie mentali e altri argomenti all’epoca – e forse ancora oggi – tabù, uno spazio rilevante fondamentale ce l’ha la musica.
Dal rapporto con Gaber alle sperimentazioni degli Area, da Battiato a una giovanissima Gianna Nannini, passando per i celeberrimi – compresa l'ultima, disastrosa edizione del 1976 – festival al Parco Lambro, abbiamo ripercorso con Majid la musica che ha animato mezzo secolo di Re Nudo nei suoi due periodi: quello di militanza, dal 1970 al 1980, e quello spirituale, dal 1996 a oggi.
Perché Re Nudo chiude?
Ci sono stati tanti elementi concomitanti alla chiusura. In primis c’è l’idea di creare il villaggio Soli e insieme, una sorta di comune composta da un centinaio di persone in cui ci sposteremo appena rientrerà l'emergenza Covid. Man mano che questo progetto cresceva, richiedeva più tempo da dedicarci. In secondo luogo, la difficoltà economica di tenere in piedi la rivista. Arrivare al cinquantenario mi sembrava la maniera più bella per chiuderlo, così da farlo quando Re Nudo è ancora pieno di vita e non quando sta morendo.
Che ruolo aveva la musica nella rivista?
Ci sono stati diversi collaboratori di Re Nudo che erano appassionati di musica. Qualcuno ha continuato nel tempo, come Gianfranco Manfredi: lui è stato uno dei cantautori di punta del mondo alternativo negli anni ’70, ha tenuto a lungo la rubrica musicale. Per dire, ha intervistato Gianna Nannini nel momento in cui lei era scappata da Siena e non era ancora nessuno. Anche Nanni Ricordi era un collaboratore, aveva collaborato con la Cramps e aveva creato l’etichetta Ultima Spiaggia, con cui ha pubblicato l’album di uno dei Parco Lambro. Altri che hanno scritto che mi vengono in mente sono Giordano Casiraghi e Claudio Rocchi.
A proposito del Parco Lambro, com’erano come festival?
Quelli sono stati bellissimi, avevamo tantissimi musicisti importanti disposti a venire gratis, a volte ci davano pure una mano. A me piace raccontare di Lucio Dalla che a mezzanotte mi chiama da Genova chiedendomi se poteva venire a cantare, così l’abbiamo messo in scaletta alle 2 senza annunciarlo. I primi due Parco Lambro sono stati i più importanti come esperienza e partecipazione, l’ultimo è quello che ha avuto più risonanza per gli incidenti.
Altri momenti memorabili quali sono stati?
La chiusura del secondo Parco Lambro è stata qualcosa di pazzesco: Area, PFM e Giorgio Gaber davanti a centomila persona, con gli Area che hanno suonato L’Internazionale. Gaber l’ha ricordato come l’esperienza artistica più importante della sua vita, ha cantato Chiedo scusa se parlo di Maria accompagnato solo dalla chitarra.
Come mai ha avuto questa risonanza l’edizione del 1976?
Al festival c’era Alberto Grifi, che ha girato un filmato sugli episodi di violenza da parte dei gruppi di Autonomia Operaia, che avevano causato i disordini. Dato che era abbastanza conosciuto all’epoca, il suo film è stato quello che ha avuto più passaggi in televisione di qualsiasi altra immagine. È passata una rappresentazione negativa di un festival in cui c’è stato tantissimo di bello che è passato in secondo piano.
Re Nudo è stato anche pionieristico nel portare avanti certe battaglie culturali. Com’era la situazione all’epoca?
Noi abbiamo dato per lungo periodo delle pagine a disposizione dei movimenti femministi e omosessuali e siamo stati tra i primi a farlo. Gli stessi gruppi politici extraparlamentari che proponevano di essere qualcosa di nuovo e diverso, dal punto di vista culturale erano tremendi nei rapporti con le donne o con l’omosessualità. Dal punto di vista normativo magari è cambiato poco, parlando della legge contro l’omotransfobia, ma tieni conto che in tanti comuni sono stati celebrati delle unioni civili. Negli anni ’70 sarebbe stata fantascienza 'sta cosa. All’epoca chi osasse manifestare la propria omosessualità o era una star da milioni di copie oppure dovevano nasconderlo perché non veniva invitato più in radio o in televisione.
Sfogliando l’Antologia, si coglie l’evoluzione della rivista: la prima fase è dettata da una necessità di espressione politica, la seconda diventa meno militante e più spirituale. Com’è avvenuto questo passaggio?
La particolarità rispetto a tutta l’esperienza editoriale normale è che abbiamo sempre fatto la rivista per noi stessi e per chi si trovava in sintonia con la nostra prospettiva. Quando abbiamo cominciato avevamo 20-25 anni e la politica era l’elemento principale, anche se non eravamo direttamente espressione di una forza politica. Ci occupavamo delle altre 16 ore della giornata, ci ponevamo come complementari al processo lavorativo e produttivo. Eravamo molto contigui ai gruppi politici, anche se loro ci vedevano come fumo negli occhi. Noi eravamo critici con la politica che non teneva conto della vita delle persone, quello che succedeva in casa, di notte, tutte le problematiche esterne al lavoro, ma l’idea era quella di essere un’integrazione. Quando poi Re Nudo è rinato, nel 1996, avevamo 35-40 anni, quella la chiamo la fase adulta, quindi c’era anche questo interesse per il mondo interiore spirituale. Ma eravamo sempre noi, solo con qualche anno in più.
A proposito del discorso sul lavoro, anche per le misure restrittive del lockdown sembra che la politica si dedichi solo alla realtà produttiva, senza tutelare i rapporti sociali. Che ne pensi?
È una situazione molto povera, secondo me. Anche la fruizione legata al tempo libero e ai rapporti interpersonali è fatta vivere molto passivamente. Il tempo libero si tende a passarlo davanti a uno schermo, che sia un telefono, un computer o una tv. La dimensione creativa è molto marginale. Per esempio, Franco Bolelli, che è scomparso da poco, aveva lavorato molto su questa dimensione creativa, l’anno scorso aveva organizzato il Festival dell’Amore dove proprio faceva vedere come fosse importante per ognuno diventare protagonista e creatore di qualcosa, di un vivere in prima persona. Le generazioni dello schermo fanno più fatica, c’è meno l’abitudine e la necessità di faticare. Noi all’epoca eravamo tagliati fuori, ghettizzati dal modello culturale dominante.
In che senso?
Per esempio, quando si parlava di droghe e dell’esperienza psichedelica sui giornali era per dire che qualcuno si era buttato dalla finestra perché voleva volare. Il modello di mistificazione era incredibile.
I giovani d’oggi come li vedi?
Culturalmente sono ottimista, però ho qualche dubbio. Anche movimenti come Fridays for Future penso siano ancora molto marginali e molto condizionati dall’informazione. Mentre all’epoca ci si doveva conquistare degli spazi di comunicazione che non venivano concessi, visto che passava tutto sotto silenzio o veniva deformato dai media, ora magari viene data una sovraesposizione di quello che succede, ma questo ha portato una forma di distorsione. Non so quanto faccia bene dal punto di vista dell’elaborazione e del lavoro di questi movimenti. Entrano in gioco degli elementi di immagine che sono condizionanti, una cassa di risonanza così forte porta anche degli elementi di debolezza. La sensazione è che manchi della profondità. Poi non voglio generalizzare, però questa sovraesposizione è un’arma a doppio taglio a cui bisogna fare attenzione.
Tra le prime pagine dell’antologia ci sono un’intervista con William Burroughs e una con Allen Ginsberg. Come avete fatto a contattare subito personaggi così importanti?
Noi avevamo la base al bar Jamaica, in zona Brera, che era il cuore pulsante del mondo artistico, incontrare questi personaggi non era così improbabile. Nel periodo craxiano di Milano ha subito una trasformazione brusca, adesso è uno spazio dedicato a banche, moda, takeaway, realtà che nulla c’entrava con quello che era. Una volta ci venivano intellettuali e artisti da tutto il mondo, è triste vederlo così massacrato.
Esistono ancora le copie dei primi numeri?
Noi abbiamo ancora circa 150-170 numeri dell’epoca che possono essere acquistati sul nostro sito, se qualcuno ha qualche soldo da investire. Sul sito ci sono un po’ di copertine, però il lavoro di trasposizione digitale sarebbe lungo e costoso, vediamo se riusciremo a farlo in futuro.
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L'articolo Il Re Nudo è pieno di vita, per questo andrà a morire di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2020-11-24 16:14:00
COMMENTI (1)
Io ho avuto il privilegio di partecipare a quello di Zerbo con il mio gruppo di allora "una tazza piena di diamanti". Direttamente dalla Sicilia con strumenti in spalla e zero soldi, suonammo alle sei del mattino ... che avventura, ci potrei scrivere un libro.