Dai successi di “Guarda come Flexo” al debutto sotto major, “Arte”, il primo album ufficiale di MamboLosco.
Hai scelto un titolo impegnativo…
Vorrei dare importanza alla trap. Questo genere in Italia è troppo spesso percepito come una moda per ragazzini. La trap è musica, io faccio trap e la musica è arte.
Mezzo vicentino mezzo americano, vivere negli USA ti è servito?
Mio padre è un militare, a causa del suo lavoro ci siamo sempre spostati tantissimo, ho vissuto anche in Portogallo. Conoscere nuove culture, nuovi stili di vita, ha ampliato il mio bagaglio musicale. Lui è nato in Kentucky, a Louisville, una città in cui in realtà non sono mai stato. In America ho vissuto ad Indianapolis dai miei zii americani e poi in Texas. In Texas ho raggiunto un ragazzo nato a Milano da padre afro-americano e madre italiana come me, conosciuto in un’altra base militare, dicevamo a tutti di essere fratelli. Stavamo a San Marcos, una frazione di San Antonio, ed è lì che ho scelto il mio nome d’arte. Ma ad essere sincero non mi cimentavo ancora professionalmente col rap, non mi ero mai esposto. Avevamo degli amici, personaggi poco raccomandabili, la situazione lì è molto più real. La strada è la strada. Preferisco lo stile di vita italiano, a livello discografico, però, l’America è ad un altro livello.
In un verso racconti come la tua famiglia faccia il tifo per te, Anche in questo senso le tue origini ti hanno avvantaggiato?Il rapper dal genitore medio italiano non è ancora visto di buon occhio, spesso preferiscono un figlio calciatore…
Chiaro, assolutamente. Quando canto quel verso mi riferisco ai miei nonni americani, ai miei cugini fomentatissimi. Mio padre è sempre stato pro, ha veramente creduto in me, in fondo non ho mai fatto un lavoro “vero” in vita mia. Effettivamente, almeno all’inizio, quella più contraria alla mia carriera da rapper era mia mamma, italiana. Ma da quando ha iniziato a vedere i primi successi è diventata la mia fan numero uno.
Ti sei esposto come trapper già da un po’ di anni, ma il tuo primo disco ufficiale è arrivato tardi rispetto a quello di tanti altri grandi nomi. Non pensi che nel frattempo alcuni stilemi si siano un po’ usurati?
Dovevo sentirmi pronto io e doveva essere pronto anche il prodotto. Volevo debuttare con un album di cui non mi sarei mai pentito fra dieci anni. Negli ultimi vent’anni forse non c’è stato movimento che abbia coinvolto più ragazzini della trap, questo è il momento vero per dimostrare che questo genere abbia un valore. Per me non è morto anzi, può ancora crescere parecchio.
È un album ricco di featuring.
Tra rapper e producer ci sono una decina di collaborazioni, con Ava abbiamo fatto una bella trappata, l’abbiamo registrata a casa di un amico. Con Boro Boro volevamo fare un pezzo più da club, quello con Shiva è il più strano dell’album, quello più hip hop, Andrea ha uno stile molto particolare. “G-Star “ è nata da una mia idea, ho contattato Enzo Dong e gli è piaciuta. La Dark Polo Gang mi segue anche a livello di management, sono stati pionieri di questo genere in Italia.
La maggior parte dei Beat è realizzata dal tuo producer di fiducia, Nardi…
Io sono molto selettivo sul beat, se a Nardi chiedo una base “bollicinosa” lui mi capisce, da quel punto di vista è il top. Con gli altri producer invece devo necessariamente trovare un beat che mi piace. Per questo ho collaborato con nomi così importanti. Sick Luke è il pioniere dei beat maker trap, la volevo spaccare la sua base. Ava è il producer di Capo Plaza, magari un giorno farò anche un featuring con lui.
Hai mai ascoltato rap italiano?
No, mi sono formato col rap americano. Ma se provassi ad imitare Young Thug ne uscirebbe qualcosa di troppo sperimentale, non so se funzionerebbe. Il mio album suona molto americano, utilizzo termini come dis-rispetto che in Italia non esistono ma sono traduzioni letterali di parole realmente usate nello slang statunitense. Negli ultimi tempi mi sono avvicinato al rap italiano per capire cosa mi circondasse, con chi collaborare. In questo senso mi ha aiutato molto la DPG che ritenevo il primo progetto nazionale veramente americano.
Pensi che a Roma o Milano sussistano situazioni più americane che a Vicenza, è più facile fare rap nelle grandi città?
Ci sono le etichette, le agenzie, gli spazi. Ma la situazione è al contrario, Vicenza molto più americanizzata. Per via della base militare, ci sono quasi 10000 militari statiunitensi con le loro famiglie. Se vai al supermercato puoi trovare l’americano in ciabatte con la maglia dei Lakers, al campetto un sacco di militari giocano a basket. A Vicenza siamo sempre stati abituati a questa cultura ed è il motivo per cui la città è sempre stata legata ad una mentalità old school. Vicenza ha delle forti radici hip-hop ma Prima di Mambolosco non esisteva una vera scena trap, abbiamo creato un bel movimento per una realtà così piccola. Tutte le città del Veneto ora hanno un proprio interprete ed una crew, la mia si chiama Sugo Gang e non comprende solo trapper. Ci sono sempre rapper nei locali, concerti, tutti i featuring sono venuti a Vicenza. Abbiamo registrato qui l’intero disco, concepito le grafiche e realizzato le foto. Vicenza è la nuova Atlanta.
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L'articolo Mambolosco: Vicenza è la nuova Atlanta di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2019-09-16 17:00:00
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