L’estetica del rumore e la poetica dell’errore sono due componenti essenziali della musica di Manlio Maresca, chitarrista e compositore di origini pontine e cresciuto artisticamente nell’ambiente romano, dove ha dato vita a molteplici esperienze sonore: Andy Music, Squartet, Neo. Questo nel tentativo di ricomprendere il suo imprevedibile estro creativo e la sua tecnica acquisita grazie all’amicizia con grandi maestri delle sei corde, tra i quali Emanuele Basentini.
È da poco uscito Noisy Games, il secondo album di Maresca con i Manual for Errors, l’ensemble formato da Daniele Tittarelli al sassofono, Francesco Lento alla tromba, Matteo Bortone al contrabbasso e Ivan Liuzzo alla batteria. Il disco conferma l’attitudine alla ricerca involontaria dell’errore di un collettivo che suona in modo originale e diverso da qualsiasi altro progetto italiano contraddistinto dall’improvvisazione, qui intesa come libertà di espressione ed esaltazione della diversità, con pochi compromessi.
I giochi rumorosi di Maresca partono dalla consapevolezza del suo percorso musicale, che affonda le radici nel noise rock degli anni ’90, e dalla volontà di dare forma a un sound contemporaneo caratterizzato da chiari accenti hardcore e noise: tra riferimenti ai Sonic Youth – tra cui una citazione esplicita di Dirty Boots – e gli echi di Primus, Fugazi, Jesus Lizard, Pixies e Contortions, grazie anche all’opportunità che Manlio ha avuto di collaborare con alcuni dei componenti di queste band, Noisy Games nasce come una scommessa e un esperimento al tempo stesso. I brani fluiscono spontaneamente in risposta ai tranelli e agli enigmi di gioco perverso che si avvale dell’imprevedibile logica del caso; una scelta che si riflette in una composizione basata sull’impulsività, che non trascende né rifiuta il concetto di melodia, ma lo valorizza attualizzandolo, tra pattern ritmici irregolari in più livelli e dimensioni di ascolto.
Provocazione scientificamente studiata o involontaria, la cifra stilistica dei Manual For Errors non aiuta l’ascoltatore ad orientarsi in un percorso tortuoso, ma lo abbandona al gioco, più propriamente allo scherzo, riuscendo nell’intento di trasferire nella mente di chi ascolta la capacità di lasciarsi abbandonare all’accettazione dell’errore, rimanendo prigioniero soltanto delle regole che impediscono alla libertà di diventare libero arbitrio. Abbiamo raggiunto virtualmente Manlio a Berlino, dove ha scelto di stabilirsi per trovare nuovi stimoli e dove è entrato in contatto con una comunità musicale apolide con cui condivide la passione per la sperimentazione e l’istintiva imprevedibilità, volta a superare il crinale del proprio versante sonoro, alla ricerca dell’aspetto più ludico e più appagante della musica.
Noisy Games è allo stesso tempo un manifesto anarchico e un insieme di citazioni: il riferimento al noise nel titolo è più che un indizio?
L’aspetto rumoristico è una parte attiva in tutta la mia opera musicale; il rumore ha sempre avuto uno spazio particolare nella mia produzione. Diventa il gioco del rumore, lo facciamo diventare un gioco. In questa maniera l’ho messo in un contesto un po’ più acustico con musicisti che suonano generalmente in contesti differenti.
E i riferimenti ai videogame? Anche quelli sono ricordi della tua adolescenza negli anni ’90?
Non sono mai stato appassionato di videogiochi da ragazzino, non mi piacevano per niente; per quanto riguarda i videogiochi eccoli, ce li ho qui davanti (indica il suo setup elettronico, ndr), sono queste macchinette infernali, questi ordigni che producono dei suoni e che si avvicinano anche esteticamente un po’ al videogioco e con le quali io mi ci diverto così, come se fossero dei videogame. Tra l’altro queste macchinette mi hanno suggerito delle idee e anche dei brani che ho inserito in questo disco.
Facciamo un passo indietro: nel progetto NEO con Antonio Zitarelli e Carlo Conti hai fatto un lungo tour negli Stati Uniti e hai conosciuto Steve Albini, che si è occupato della produzione del vostro disco Neoclassico. C’è anche un po’ di quella esperienza in questo disco?
È sempre quel quel tipo di sonorità che ritorna. Il lavorare con un personaggio che consideri quasi Dio ti segna. Gli Shellac li avrò visti dal vivo almeno una quindicina di volte, poi quando ho ascoltato per la prima volta la batteria di Neoclassico che suonava come la batteria di Surfer Rosa dei Pixies mi si è stretto il cuore. Quello con Steve Albini è stato un incontro che ha determinato poi anche tanti lavori futuri perché io non mi ispiro al mondo del jazz ma mi ispiro a quello dell’hardcore più che altro. Quando ci trovavamo in studio con Steve eravamo abbastanza imbarazzati nel chiedergli di intervenire sui nastri delle registrazioni perché erano tagli importanti e lui mi rispose: "Quando mi chiedono cose che non posso fare non le faccio, quando invece è fattibile non rappresenta mai un problema per me".
Carlo è scomparso qualche mese fa e Noisy Games è dedicato alla sua memoria. Che persona era?
È stata una grande perdita quella del nostro carissimo Carletto. Per me era un fratello. Ne abbiamo viste di ogni, eravamo legati da questa sacrosanta voglia di prenderci per il culo sempre a vicenda, era tutto uno scherzo: suonare, mangiare, prenderci per il culo, era tutto un bagaglio unico che mi mancherà. Di ricordi ne avrò miliardi, la cosa più bella è proprio ricordare queste sensazioni e che poi si riversavano tutte nella musica e rendevano quella poesia morbosamente distorta, che a noi piaceva tanto. Purtroppo era riuscito a sentire solo due pezzi del disco, durante il missaggio, mi disse che non aveva mai sentito niente del genere ed era molto contento. Avevamo un progetto di fare un disco assieme, io avevo già della musica scritta, poi purtroppo è scomparso.
La tua musica viene spesso associata a quella di grandi anticonformisti americani che hanno segnato la storia della musica, come Frank Zappa. Come ti fa sentire il paragone?
Guarda il mondo si divide in due: gli adulatori di Zappa e gli odiatori di Zappa. Non c’è una via di mezzo, o lo ami o lo odi. Io faccio parte della prima categoria. La caratteristica che forse sento più affine con con la produzione zappiana, con la sua estetica, è l’imprevedibilità; Zappa era assolutamente poco prevedibile e poi era capace di tutto, di qualsiasi cosa. Quello che gli balenava per la testa, la cosa più assurda la faceva diventare musica anche se la esprimo ovviamente in maniera differente, non mi paragonerei mai a un grande che per me è stato un maestro.
A proposito di maestri, uno è il chitarrista Emanuele Basentini. Che rapporto hai con lui?
Con Emanuele non è che ho fatto delle vere e proprie lezioni, non ero un suo studente. Siamo amici, adesso lui vive a New York quindi non ci vediamo più così spesso, però ci si sente spesso. E’ un personaggio anche lui un po' particolare, per il quale vale lo stesso concetto del “o lo ami o lo odi. Con Emanuele si suonava sempre: magari iniziavamo a mezzanotte e all’una del giorno dopo eravamo ancora lì dentro casa col metronomo. È uno molto rigido, il che mi ha aiutato parecchio: lavorare sotto pressione a volte fa bene, non sempre il relax produce effetti, almeno per il mio carattere. L'amico è diverso dall’insegnante; l'amico ti da quella dritta, ti fa crescere di più un'amicizia con grande musicista che essere un suo allievo. Questo è il rapporto che ci ha sempre legato.
Nel corso degli anni da Terracina ti sei trasferito prima a Roma e successivamente Berlino dove ora ti trovi. Cosa hai trovato a Berlino che invece a Roma mancava e quali sono i motivi che ti hanno indotto a questi spostamenti?
Per adesso credo di rimanere qui a Berlino, perché ho trovato la pace e l’atmosfera che mi interessa, a livello proprio di assorbimento e capacità di metabolizzare la musica; qui i ritmi sono abbastanza veloci ma allo stesso tempo fluidi e quindi riesco a farmi ispirare. C’è grande attenzione all’elettronica e all’improvvisazione: qui anche chi suona tradizionale ha un progetto di elettronica e uno "strippo" per altre sonorità, più contemporanee. È una città molto interessante da questo punto di vista. Al momento sto lavorando con musicisti che vivono qui da molti anni; non soltanto tedeschi ma anche artisti ucraini, francesi, italiani, una comunità malleabile e che si presta anche a suonare la mia musica. Qui a Berlino la musica non si è fermata, ci sono anche diversi progetti in streaming e anche io sto dando una mano suonando in alcuni eventi on-line che servono a raccogliere fondi per sostenere locali e spazi che sono in grave difficoltà in questo periodo.
L’Italia cosa ti ha dato invece?
Da Roma ho preso quello che potevo prendere, negli anni del rigore e dello studio. Per quello andava benissimo, perché è un ambiente molto “truce” questo modo di essere della città, un modo di stare un po’ "cor pepe ar culo", come si suol dire; stiamo parlando un po' troppo da intellettuali e invece io faccio di tutto per perderlo questo intelletto. Ora come ho bisogno di respirare altra aria. Le mie origini di Terracina, il posto nel quale sono cresciuto, comunque me le porto dietro insieme all’umanità che ti restituisce vivere in un luogo del genere, alla sensibilità e alle esperienze che ho fatto; tutto questo lo mescolo al turbinio di una città come Berlino che è stata per 60 anni divisa in due e dalla quale percepisco e assorbo la sofferenza della gente e altre suggestioni.
Terzo disco pubblicato con la Auand. Come ti trovi?
Io sarei andato "pe’ stracci" in questi anni, non so se ho mandato pe’ stracci pure Marco Valente, il fondatore dell'etichetta. Più in generale penso che il mio modo di scrivere e di comporre sia diretto a vari ambienti, non soltanto di ricezione musicale e quindi di ascolto ma anche ambienti sonori, e quindi nel mio repertorio ci sono più stili: nei lavori per la Auand c'è la scelta di incanalare il lavoro dandosi un contegno, mandandolo verso una direzione più acustica, meno appuntita, anche se comunque si sente il mio istinto punk; però mi è piaciuto dargli questo taglio, perché andasse bene anche per questo genere di etichetta. La ritengo una scelta formativa, quella di adattare un lavoro ad un particolare tipo di realtà musicale.
Quali sono i nuovi progetti a cui stai lavorando?
Per il prossimo anno ho già registrato un disco in duo, dato che col col passare degli anni invece che ammorbidirmi io mi incazzo ancora di più. Con Ivan Liuzzo, che in Dirty Games suona la batteria, abbiamo registrato questo progetto chiamato Franzoni Mothers Party; un progetto hardcore noise molto estremo, che già nel titolo evoca una madre snaturata che con determinazione sfascia la testa al proprio figlio, sintomo che questi tempi sono davvero bui. L’effetto voluto è di rimanere completamente storditi in questo panorama, dove l'ascoltatore perde ogni riferimento e si trova perso in un mondo di rumore e di suoni. Il disco uscirà non si sa quando e non si sa come, però fra meno di un mese è pronto. Entro il prossimo anno vorrei registrare tutte le composizioni che ho scritto da quando vivo qui a Berlino ad adesso in un disco che comprenderà elettronica, elettroacustica, insomma un po' di "strippi" che ho scritto in questi anni.
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L'articolo Tutti gli sbagli dei Manual for Errors di FabMonTro è apparso su Rockit.it il 2020-12-15 15:12:00
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