La prima volta che vidi Masamasa era il 2018: si apprestava a calcare lo stage pomeridiano della collinetta del MI AMI – allora palco Havaianas – come una delle più fresche e promettenti voci di una scena urban che ancora non si chiamava così. La definizione, che sino a due anni fa andava per la maggiore, era "graffiti pop" e comprendeva una manipolo di artisti che, seppur esclusi dagli orizzonti tematici del rap, mantenevano gran parte di quei topoi stilistici. Tra gli esponenti Carl Brave, Frah Quintale e Coma Cose, che con il tempo si sono imposti nel panorama radiofonico mainstream nazionale.
"Ho aspettato qualche anno perché volevo evitare di pubblicare qualcosa di brutto. Certo, 'chi va piano va sano e va lontano' è un motto assurdo, se adottato da uno che intitola il proprio album come un pilota di Formula 1", ironizza Masamasa. Perchè il suo primo album ufficiale di intitola Fernando Alonso, una piacevole conferma del particolare stile al quale è pervenuto l’mc casertano. Un delicato equilibrio tra hip-hop d’antan, soul e poptronica che ha fatto brillare gli occhi delle più giovani generazioni di hipster. Mostrando il lato più catchy del rap.
Perché hai scelto Fernando Alonso come riferimento al titolo del tuo primo album?
Avevo buttato indizi qua e là, ma il titolo è stato ufficializzato recentemente. Apparentemente non ha nessuna connessione con il contenuto del disco. Avevo bisogno di un nome che fosse diverso dal titolo di una traccia. Quando ero bambino guardavo la Formula 1 con la mia famiglia e Alonso era identificato come il cattivo, il principale competitor di Schumacher che, in quegli anni, era un vero e proprio simbolo. Alonso è stato l’unico in grado di battere il pilota della Ferrari gareggiando ad armi pari, se non con dei mezzi inferiori. "La rivincita dei secondi", ma il vero motivo per cui ho scelto Alonso in realtà riguarda il piano umano. Fernando è il mio role model, una persona burbera, scontrosa, piena di difetti, una testa dura che non si arrende mai. Sebbene le sue ambizioni fossero molto più alte delle mie, condividiamo tratti comuni del carattere. Pensavo fosse la figura che, anche se non direttamente, racchiudesse perfettamente il senso complessivo di quest’album.
Perché è passato così tanto tempo dal tuo debutto all'esordio discografico?
Fare musica nella mia vita non è mai stato il mio programma principale. Quando sono arrivate le prime soddisfazioni ho dovuto riassestarmi. Ero pur sempre un ragazzino di Caserta, nonostante avessi vissuto a Berlino: studiavo, non avevo esperienza come musicista, tantomeno, come libero professionista. Oggi essere un musicista vuol dire questo. Per essere produttivo ho bisogno dei mie spazi, del mio relax. Sono molto diffidente – come Alonso per trionfare al mondiale – e per concludere un album avevo bisogno della mia squadra. L’ispirazione può anche arrivare in momenti concitati, ma per scrivere ho bisogno di tranquillità. E prima non ero tranquillo.
Sul palco del MI AMI cantavi: "voglio una tipa porca come Rihanna, dolce come Beyoncé"? Cosa è cambiato da quelle rime?
È un cambiamento che riscontro, ma che percepisco meno. Scrivo esattamente quel che mi passa nella testa in un preciso momento, cambio opinioni sulla vita e sul mondo quotidianamente, soffro se un brano rimane molto tempo sperduto in una cartella e quando lo riprendo in mano, di solito, lo abbandono. Fortunatamente la visione del pubblico oggi è molto più fluida, anche a livello stilistico. Se una band imbroccava un pezzo, fino a qualche anno fa, era costretta a riproporre lo stesso mood, gli stessi argomenti per tutta la vita. Per un periodo mi sono eliminato dai social, ho avuto tempo e modo per riflettere su tanti temi e ho finalmente trovato il coraggio per parlare di determinate cose. Prima, senza la dovuta tranquillità, non me la sentivo, forse per questo che il disco è risultato più profondo.
Tu che sei uno dei maggiori esponenti: cosa è il "graffiti pop"?
Innanzitutto io non sono uno che soffre la definizione "pop". Mi gasa, come mi gasa "graffiti", perché in fondo descrive bene quel nuovo mondo che si stava creando dall’incontro tra rap, indie e cantautorato, che ancora non aveva un nome. Il punto è questo: in realtà non mi sento parte di un movimento, non faccio ballotta con gli artisti con i quali condivo le playlist. Anche se, devo ammettere, quest’etichetta è stata molto utile agli esordi: la gente incuriosita, mentre cercava altri interpreti, scopriva anche la mia musica. Non ti voglio fare il discorso di quello che odia le definizioni, insomma, se ti rechi al supermercato per comprare un succo difficilmente lo troverai nella corsia delle bevande gassate.
Avrai avuto altre ispirazioni al di fuori di Alonso?
Francamente questa domanda mi scoraggia un po'. Quando cerchi di definire il tuo immaginario, un termine di paragone, che non sia una mera imitazione, ma qualcuno da cui prendere ispirazione, è importante. Il periodo in cui ho composto l’album, in cui ero scomparso dai social, avevo eliminato le piattaforme di streaming, vivevo in uno stato d’isolamento anche musicale. Per questo motivo ho ascoltato un sacco di Pino Daniele, come ho sempre fatto anche a casa, in vinile. In particolare sono entrato in fissa con la fase del '93-'94. Forse ti potrei indicare come vero unico punto di riferimento Che Dio ti benedica, un lavoro crossover, ma anche il suo primo album pop. I dischi precedenti erano più crudi, più adatti un pubblico napoletano o campano. Che Dio ti benedica era la prima opera di Pino Daniele aperta a tutt’Italia.
Perchè la matrice black è così presente nelle tue tracce?
Leggo un sacco d’interviste di nuovi artisti che parlano della scena black italiana. Penso che in questo frangente il colore della pelle sia importante, per approcciarsi a una musica che non fa parte della nostra cultura ci vuole un certo rispetto. È ovvio, uno dei miei artisti preferiti è D’Angelo: ho ascoltato un sacco D’Angelo e probabilmente, qualche volta, ne ho anche tratto ispirazione. Ma non mi sognerei mai di dire "ho fatto una canzone alla D’Angelo" o provare a fare un disco del genere. Quelle ammissioni tipicamente italiane del tipo "guarda che voce, sembra una di colore" mi turbano. Forse perché ho vissuto a Berlino. Pino Daniele è sempre stato accostato alla musica nera, ma si è sempre allontanato da questi paragoni, non perché non ne sentisse il legame, ma semplicemente non si azzardava. Lui cantava l’oppressione di un napoletano, di un terrone negli anni '70. Per questo disco siamo andati a Macerata Campania, un paesino perso nell’entroterra casertano, per campionare i carri che propongono musica popolare in una festa tradizionale. C’è tanto di quello che ho vissuto, ma anche Tyler The Creator.
Quanto sono importanti i tuoi due produttori nelle tua ricerca sonora?
Sono stati fondamentali, e sono fiero di averli uniti perché, poi, hanno prodotto anche altre tracce insieme e si è instaurata una vera sintonia artistica. Io so anche produrre e sulle basi sono molto pignolo, motivo per il quale non ho lavorato con altri producer. Sono uno che complica qualsiasi situazione, mentre Simoo e Maiole sono molto più pratici e semplificano le mie idee. Secondo me stano benissimo insieme perché uno colma le lacune dell’altro, Simone è più impostato sul ritmo, sulle batterie, sul design generale della base, Marco sul suono, sull’armonia, sulla top line. Uno è più concreto, l’altro più rarefatto: uno completa le pigrizie dell’atro.
Come vivi il fatto di essere un rapper che non ha un pubblico da rapper?
Bene, cioè, ogni tanto ci rifletto. Non so se è una situazione dovuta alle sonorità che propongo o ai temi che tratto. A me non piace ancora definire la gente che mi segue pubblico, è in una fase ancora molto embrionale e quindi anche molto malleabile. Del resto, se non lo fosse, canzoni come Devi morire e Solo con te non potrebbero convivere nello stesso album. Quest’ultima, in particolare, è una delle tracce con più lavoro alle spalle: abbiamo dovuto scremarla parecchio, la versione iniziale aveva un coro con più di venti elementi. C’è chi ha reagito scrivendomi: "Figo, sembra Kanye West" e chi con messaggi del tipo: "Mi ricorda un pezzo di Albano". Ci sta, insieme li ho presi come un grande complimento.
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L'articolo Masamasa: "Per scrivere ho bisogno di tranquillità, e prima non l'avevo" di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2020-09-11 11:30:00
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grande Pino Daniele