Il palco del MI AMI vedrà il ritorno sulle scene di una vera icona della città di Napoli. Da quando negli anni ’90 il rap battagliero dei 99 Posse riempiva le piazze accompagnando la città nel nuovo millennio, fino a una multiforme carriera da cantautrice (e discografica), Meg ha sempre rappresentato le mille facce di Napoli. Tre dischi e un album live all’attivo da solista spostandosi di continuo, tra il cantautorato soffice di MEG al dancefloor di Psychodelice e all’elettronica colorata di Imperfezione, Meg ha saputo reinventarsi ogni volta, scrivendo la sua carriera nella sperimentazione e nella ricerca di forme sempre diverse, portandosi però sempre dietro il profumo delle proprie origini.
Mi avvicino alla chiacchierata con Maria Di Donna come ci si avvicina a un posto bellissimo della propria città, che si conosce benissimo ma si vuole ogni volta scoprire per rimanerne incantati. Abbiamo in comune la passione per i Beatles, il segno zodiacale e soprattutto luogo e anno di nascita, a vent’anni di distanza. Quando, da piccolo, detestavo il mio compleanno, mi dicevo: “Pensa che almeno sei nato lo stesso giorno di Meg”. Per noi Meg rappresenta qualcosa di familiare e intimo, la vera voce di Partenope, cantrice alternativa delle stranezze della città e ispirazione per la nuova generazione, grazie al lavoro svolto in trent’anni di carriera, volati senza lasciare traccia nella sua voce senza tempo. Nel 2022, torna con Non ti nascondere, un un nuovo singolo co-prodotto con Frenetik – ad anticipare un nuovo album – che è un invito a sé stessa, più che all’ascoltatore e una disarmante richiesta e proposta di aiuto allo stesso tempo.
Hai attraversato tutte le trasformazioni possibili dagli anni ’90 ad oggi. Come ti stai trovando in questa nuova discografia?
Sembra un unico lungo giorno che dura da circa trent’anni, più o meno. Un po’ perché gli anni ’90 sembrano tornati, o forse non se ne sono mai andati. Musicalmente quello che è successo di dirompente negli anni ’90 ancora si respira, è uno tsunami di cui ancora risentiamo le ripercussioni. L’unica differenza è che noi assistevamo alla caduta delle barriere musicali, al mercato musicale che si stava stravolgendo, mentre ora i giovani si trovano con tutta quella rivoluzione già fatta e ne fanno un uso proficuo. Quando sono uscita dai 99 mi sono promessa solennemente di non tornare più in major, anche se ci eravamo dentro in maniera particolare, con un rapporto conflittuale. Siamo stati tra i primi gruppi in Italia ad avere un contratto con la clausola: “Il gruppo ha l’ultima parola sulle scelte artistiche e promozionali tutte”, ma era comunque stressante, pesante. Quando me ne sono andata dal gruppo ho detto: “Voglio fondare una mia etichetta e farmi distribuire di volta in volta da qualcuno di diverso”.
Ora sei in Asian Fake, che è una Factory che ha innovato tantissimo in questi anni, toccando oltre alla musica anche altri campi d’azione come il merch e molto altro. Come mai hai cambiato idea?
Un anno fa ho conosciuto Daniele Frenetik, che è sempre stato un mio fan fin da ragazzino, è una mia memoria storica, sa più cose di me di quante ne sappia io: è venuto a tutti i miei concerti, conosce tutti i miei pezzi a memoria. Quando l’ho conosciuto, gli ho fatto sentire i pezzi nuovi e subito mi ha detto: “Ti prego, lavoriamo insieme e soprattutto fai il disco con Asian Fake”. In quel momento mi sono accorta di avere bisogno di una squadra che creda in una progetto e sia entusiasta quanto me, ragazzi appassionati di musica come me che quando lavorano su un progetto fanno di tutto affinché fiorisca nel migliore dei modi. E, soprattutto, mi sono sempre occupata sia del lato artistico ma anche di quello discografico e manageriale, ed è una fatica enorme, non lo nascondo: quindi per la prima volta mi sono decisa a cedere il mio master a un’etichetta, in cambio di una squadra di persone simili a me.
Quindi non uscirà per Multiformis, la tua etichetta storica?
Non uscirà per Multiformis, tengo però le edizioni musicali, perché nessuno ti dice che le edizioni sono un tuo diritto. Spesso molte etichette è come se si prendessero le tue edizioni senza dirtelo, quando invece vanno comprate. Ci ho riflettuto e ho capito che era tempo di fare questa scelta per alleggerirmi di alcuni oneri, non ti nascondo, anche economici: dover mettere i soldi avanti per fare i dischi non è cosa da poco, anche da questo punto di vista sono più leggera. Ho il piacere di delegare alcune cose, e mi fa sentire libera di dedicare più tempo alla musica.
Le glorie del passato, quando tornano dopo un periodo di pausa, rischiano di somigliare sempre a loro stessi. L'aiuto di Frenetik ti pone invece perfettamente nel 2022, restando comunque riconoscibile e coerente con la tua storia.
Daniele è stato fondamentale in questo, perché noi coproduciamo. In Non ti nascondere basso, batteria e synth sono miei, arrivo da Daniele con provini che sono già entità molto forti, lui ha portato di contemporaneo un lavoro estremo di sound design sulle voci. Tranne l’ultimo ritornello, che abbiamo registrato di nuovo per avere un crescendo, abbiamo tenuto le voci del provino perché erano molto emozionali, ma su quelle Daniele ha fatto un lavoro pazzesco. Un’altra persona che mi va di ringraziare è Orang3: stava sentendo il pezzo nel momento in cui non eravamo sicuri della cassa, lui ha tirato fuori un suono fighissimo che poi è finito nel pezzo, quindi lo ringrazio ufficialmente. Loro in questo momento in italia sono I PRODUTTORI.
Quando sei diventata solista hai sperimentato tanti generi musicali, ma anche tanti generi di forma canzone, smontando e rimontando poi le canzoni dal vivo. Non ti nascondere come si pone in questa ricerca continua?
Strutturalmente rispetta l’idea della forma-canzone, anche se ci sono gli "Ooh la la la" come topline. È abbastanza classica come struttura, ma il testo invece è nato come flusso di coscienza, è venuto fuori in una maniera quasi terapeutica. Scrivi una strofa e il flusso di coscienza ti porta a scrivere la seconda, come un dialogo tra te e te. Capita di avere un momento al mese, come delle forti illuminazioni in cui capisci delle cose di te o hai un pensiero cruciale. Nella scrittura parlavo di me a me stessa mentre un’altra parte di me sorreggeva la parte che stava andando nell’abisso, dicendole “Resisti, sei speciale, non ti arrendere”. Quando l’ho fatta sentire a qualcuno fidato mi è stato detto: “Sembrava stessi parlando a me”. Arriva come un’esortazione agli altri, e mi fa piacere perché in un periodo difficile come questo, lungo come quello che stiamo vivendo. Durante la giornata devi cercare dei filtri sennò finisci a piangere tutto il tempo.
Tu esorti spesso gli ascoltatori…
…inconsapevolmente! perché io parlo sempre a me stessa, mai a qualcun altro. Quando dico: “Devi vivere cose più grandi di te per crescere”, non lo dico a qualcuno, lo dico a me! “Se io sapessi le regole, te le direi, ma l’unica cosa che devi fare è continuare a ballare”, lo dico a me!
Intendo che dai spesso consigli ai tuoi ascoltatori. qui dici di "continuare a ballare", come anni fa era “passami le sneakers, meglio scappare”. C’è sempre una frase, un consiglio. In questo caso, cosa fare per restare in piedi di questi tempi?
Potrei risponderti: “Se io sapessi le regole te le direi”, ma ci sono mille modi. Gli affetti sono un salvagente fondamentale: più vado avanti negli anni e più mi rendo conto che sono tutto ciò che abbiamo di bello, che ci tiene vivi. Un abbraccio è la cosa più bella che possiamo ricevere e ce ne stiamo rendendo conto dopo due anni di distanziamento. Ci salvano gli affetti e le passioni, dalla musica alla lettura, dal cinema alla botanica, dagli animali ai viaggi: qualunque passione salva dall’abisso. Poter inseguire le passioni con gli affetti è il meglio che ci sia. Conosco troppe persone che sono state male perché private di queste due cose. Persone che sono dovute stare da sole per mesi, quasi anni, senza vedere la propria famiglia o vedere un concerto.
Credi nell’importanza dell’arte come cura?
Ci stiamo rendendo conto di quanto siano importanti gli spettacoli, i concerti e anche di quanto sia stato difficile ricevere aiuti dallo stato. Purtroppo da questo punto di vista il nostro paese è ancora arretrato, noi persone dello spettacolo veniamo trattati ancora come dei saltimbanchi, dei giullari, dei buffoni di corte.
Restando su Napoli e le ragazze che cantano: che effetto ti fa sapere che la tua carriera sia un esempio per tutta una nuova generazione di artiste?
Adesso me ne sto rendendo conto per la prima volta. Da ragazzina ero talmente presa dal mio fare musica che vedevo solo quello, e secondo me è anche giusto che una musicista sia concentrata sul proprio lavoro e non sugli ascoltatori, potrebbe innescare dinamiche distorte o ansia da prestazione. Per fortuna ero intenta a canalizzare il fuoco che mi bruciava dentro in ciò che facevo. In questo periodo in cui sono sui social più del solito mi arrivano tanti messaggi di ringraziamento e sono commossa. Sono grata alle persone che danno un senso ulteriore a ciò che ho sempre fatto. Io ho sempre sfuggito volutamente le regole dell’industria musicale: i tempi, i modi, i contenuti, ho sempre fatto di testa mia. Anzi, ero anche snob, da ragazzina, volevo fare le cose più difficili e meno ascoltate più erano fighe, come quando da piccoli ascoltavamo i gruppi che ancora non erano famosi e appena diventavano famosi dicevamo: “Vabbuò, non mi piace più, ja”. Oggi, sentirmi dire: “mi hai ispirato, mi hai fatto decidere di cantare”… WOW, ho seminato bene e finalmente sto raccogliendo, è una bella sensazione, non pensavo sarebbe stato così bello.
Alice e Altea dei Thrucollected hanno detto che sei la loro principale fonte di ispirazione e il motivo per cui hanno iniziato con la musica. Li conosci? Ti piacciono?
Io mi vedo molto ragazzina nei Thrucollected, li adoro: un collettivo caleidoscopico in cui ognuno fa qualcosa, chi canta, chi scrive, chi fa i video, chi la grafica, le foto, è molto fico. E sono lusingata… Non riesco tanto ad accogliere i complimenti, mi imbarazzo sempre un po’…
Ora il napoletano è comune ascoltarlo – ancora più che ai tempi dei 99 Posse – in generi apparentemente lontani dalla tradizione, come il rap e l'urban: che impressione ti fà questo uso della lingua napoletana?
Il napoletano è come l’inglese: sono due lingue estremamente musicali. Il napoletano si presta al rap anche più dell’italiano, ci sono parole tronche, brevi, puoi usarle per metriche fantastiche, è utile anche per chi fa freestyle. Io stessa, fino a quando sono entrata nei 99 avevo sempre scritto in inglese, perché ero molto UK-oriented, poi ho iniziato a scrivere in napoletano e per me è scoppiata una bomba: mi ricordo che scrivevo piangendo, per la commozione. Ti riappropri delle tue radici più profonde, è un recupero ancestrale potentissimo per chi scrive e canta e immagino anche per chi ascolta.
C'è qualcuno in particolare che secondo te la usa bene?
Mi vengono in mente Clementino e tra i giovani J Lord, di cui sono grande fan e che in questo momento rappresenta Napoli in maniera meravigliosa, adoro il suo flow. E poi mi piace tantissimo 'Nziria, artista nata a Ravenna da emigranti napoletani: se la senti cantare ti viene la pelle d’oca, sembra uscita da un’opera di De Simone – se il maestro la incontrasse certamente scriverebbe per lei – ma su basi elettroniche gabber, di cui è anche producer. Mi fa impazzire, la prima volta che ho ascoltato Amam ancora mi sono messa a piangere.
Ricordo una tua esibizione su MTV in cui dicevi: “Ora canterò per voi una classica canzone napoletana”, per poi cantare Quello che. Poi, Massimo Ranieri, che sta portando avanti da vent’anni un lavoro sulla storia della musica napoletana, in uno degli ultimi capitoli ha inserito Sfumature. Riesci a percepire queste canzoni come dei classici della canzone napoletana contemporanea?
Posso dirti che quando faccio questi pezzi dal vivo e sento la risposta del pubblico capisco che sono pezzi importanti per loro, per chi mi ascolta e viene ai miei concerti. Quando ho fatto Quello che in quell'occasione su MTV era una versione melò, molto napoletana, con una enfasi teatrale e un pianoforte drammatico, l’introduzione portava allo scherzo. C’è una frase di Prince che ho letto un po’ di tempo fa che mi fa pensare a questo. Il giornalista gli chiede: “Quanto sei cresciuto come artista?”. Lui risponde: “quando ai miei concerti vengono ragazzi a dirmi: 'io sono tuo fan perché ti ascoltavano i miei'. Mi sento cresciuto”. Io vedo ragazzi di vent’anni, che hanno l’età di quando ho iniziato, che mi dicono: “Ti adoro, adoro i tuoi pezzi perché li ascoltavo sulle ginocchia di papà”. Che cosa meravigliosa è? È il potere della musica che non ha età, non ha tempo, non si ferma, si evolve ed è una grandissima soddisfazione. Poi sentir dire “classico” di una mia canzone, è come gli standard jazz che tutti possono ricantare. Se le ragazzine su Instagram rifanno le mie cover, io sono solo lusingata.
Anche per te è stato così coi tuoi genitori?
Sì, sono stati i principali responsabili della mia formazione musicale: i miei ascoltavano i Beatles e io sono una beatlesiana malata.
Mi affascina molto vederti con gli occhi da fan: disco preferito dei Beatles?
Premesso che mi piacciono tutti, e che non ho un preferito tra John e Paul perché è come quando ti chiedevano “vuoi più bene a mamma o a papà?”.
E gli Squallor risponderebbero “A Pippo Baudo!”, come in Arrapaho.
Esatto (ride, nda)! Premesso che amo tutti i dischi e in sette anni di carriera hanno sfornato dieci dischi uno diverso dall’alto restando sempre loro stessi… C’è un disco a cui sono molto legata perché ero al liceo e lo ascoltavo in repeat. Era un momento particolarmente bello per me, era il penultimo o ultimo anno di liceo che sono stati due anni stupendi. Mentre studiavo, ascoltavo e ho consumato il White Album.
E ora c’è il MI AMI, che è un cerchio che si chiude: sarai sullo stesso palco di tanti artisti che hai ispirato e presenterai un progetto completamente nuovo. Come ti stai preparando? Cosa succederà?
Sono felicissima perché non vedo l’ora di salire su un palco dopo tanto tempo con una band nuova, ma anche un po' terrorizzata, proprio perché è tanto tempo che non lo faccio. Non vedo l’ora dell’abbraccio metaforico che si crea con il pubblico. Faremo Non ti nascondere e almeno un altro paio di pezzi del disco nuovo prima che esca, ma anche brani dai dischi precedenti e dal repertorio 99 Posse riarrangiati dalla nuova formazione. Ci saranno due percussionisti e i synth, oltre me. Condividerò il palco con Marco Fugazza alla batteria uno dei due fratelli Fugazza con cui ho anche lavorato per il disco nuovo. Sono beatlesiani accaniti, e infatti ci troviamo benissimo a lavorare. L’altra parte ritmica è affidata a Gabriele Segantini, un milanese diplomato al Conservatorio, ha studiato ad Amsterdam, è intrippato nel mondo delle percussioni e suona qualsiasi cosa, però con l’approccio da musicista serio. Ai synth invece ci sarà Ze In The Cloud, roba nerd spintissima, ha un progetto molto fico.
Quale sarà la chiave degli arrangiamenti stavolta? A questo punto penso di aver sentito i tuoi pezzi in ogni modo possibile ed inimmaginabile: acustici, elettronici, glitch, noise…
Vero (Ride, nda)! Alcuni pezzi abbiamo deciso di tenerli proprio come il disco, e sono contenta anche di riproporli così. Avendo due percussionisti sarà molto ritmico come live.
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L'articolo Meg in un unico giorno lungo trent’anni di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2022-05-03 12:00:00
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