I Melampus raccontano "N.7", il nuovo album: più algido, freddo e distaccato, ma anche più scritto, elaborato, maturo. E si tolgono qualche sassolino dalla scarpa: i gruppi famosi sono snob, non c'è collaborazione tra le band, la critica musicale è pronta ad insultarti e gli artisti italiani non hanno credibilità all'estero. L'intervista di Chiara Angius.
Dall'ultima volta che ci siamo visti è passato quasi un anno e mezzo: avete fatto un altro disco, avete macinato parecchi km e fatto moltissimi live. Il pubblico è cresciuto, è diventato più caloroso? Cosa è cambiato in generale a livello di live?
F: Qualcosa sta cambiando, in realtà dipende tutto da live a live. A volte capita che c'è tanta gente, quindi ci viene da pensare che magari hanno sentito qualche pezzo in rete che li ha spinti poi a venire al concerto. Ma c'è anche capitato di suonare a feste di compleanno, dove chiaramente eravamo fuori luogo...
G: In generale sembra che ci sia più curiosità però..
Il numero 7 nella simbologia numerica rappresenta la necessità di analizzare ogni cosa nei minimi dettagli, eleva una barriera di distacco e freddezza e infine è molto attratto sia dall'esoterismo che dal mistero. Il nome del disco l'avete scelto in base a tutto ciò?
G: In base a le cose che hai detto potremmo dirti di sì, punto per punto, perché il disco si fa ben descrivere da tutto questo: c'è il distacco, la freddezza e il bisogno di analizzare. In verità la simbologia numerica non è il motivo per il quale abbiamo scelto 7 come nome del disco.
F: In realtà c'è un significato dietro al numero 7, ma il motivo è segreto e verrà fuori più avanti ..
A livello di suono questo disco mi sembra più definito, meno vaporoso rispetto a “Ode Road”, era questo quello che avevate in mente?
F: La nostra idea di definizione è maggiore perché abbiamo una maggiore consapevolezza: abbiamo imparato come riempire i vuoti e i pieni, cosa che all'inizio facevamo in maniera molto istintiva, adesso riusciamo a equilibrare il suono.
F: Sì, è più algida e fredda, nel primo disco in fase di mixaggio abbiamo usato livelli che tenessero la voce molto dentro, era meno definita, forse anche per una questione di timidezza...
G: Ma in “Ode Road” volevamo un disco pastoso, era una scelta, e tramite questo abbiamo appunto imparato a gestire i suoni, la voce, come dicevamo prima a prendere i pieni e svuotarli poi a nostro favore. Abbiamo fatto tesoro di questo e ci siamo diretti verso un altro lavoro. Il prossimo lavoro sarà ancora diverso ma avrà punti in comune con primo e il secondo disco. Ci sarà comunque sempre un filo rosso che lega tutti i nostri lavori, è tutto in evoluzione. In questo sicuramente ci siamo concentrati molto sulla voce a differenza dell'altro, volevamo renderla più importante, abbiamo asciugato arrangiamenti-struttura concentrandoci di più sulla scrittura.
La scelta di introdurre un uso più accentuato delle tastiere, di una piccola parte elettronica, è stata un idea che avevate fin dall'inizio o è stata un aggiunta durante i lavori?
F: Abbiamo provato a lavorare con la testiera in fase di scrittura, abbiamo sperimentato, senza dei canoni ben precisi...
G: ...E alla fine usare le tastiere ci ha aiutato a creare un clima più disteso in alcuni brani mentre in altri sono servite a farli più rumorosi.
Francesca, in diverse recensioni ti paragonano a una Nico del terzo millennio. Questo accostamento lo trovi scomodo o ti ci ritrovi?
F: Ne abbiamo parlato di recente, la prima volta che ho letto di questo accostamento ne sono stata più che onorata. Adesso, ripensandoci bene mi sembra strano, perché non l'ho mai ascoltata con troppa attenzione e non mi ci rispecchio tanto. La rispetto molto come figura e come icona, mi affascina molto, certo. E comunque sono contenta che sia con Nico il paragone e non con tante altre figure molto più utilizzate. Sicuramente c'è un'indolenza nella mia voce che può essere simile a quella di Nico. Inoltre mi sono guadagnata nel giro di un mese di recensioni -questo ci tengo a dirlo- le definizioni di figa di legno e frigida perché la mia voce non ricalca il cliché della ninfetta porno che l'Italia è abituata a sentire. Io canto con la mia voce naturale senza artifici. Ma del resto sembra che in Italia per chi ricopra un ruolo, diciamo di rilievo,come in politica o nel campo dell'arte, la svolta è proprio quando cominciano a darti della puttana.
Quindi se in Italia ti danno della puttana sei arrivata?
F: Credo che la figura della donna che non si adegua a determinati cliché sessisti infastidisca, quindi il fatto che sia cominciata questa routine di lievi insulti verso la mia persona, magari non è così negativo. Vediamo dove si arriva.
Se “Ode Road “mi sembrava il racconto di piccoli sogni evanescenti, “n7” invece mi da l'idea di nove brevi pellicole vintage in bianco e nero, dalle immagini stilizzate e evocative, nelle quali predomina il gioco del chiaro-scuro. Un film che potrebbe essere paragonato a “n7”?
G: Mi piace molto questa domanda perché c'è un evoluzione di fondo nel marchiare a fuoco una cosa. Il sogno lascia solo dei ricordi un po' rarefatti, la pellicola invece la puoi vedere più volte e il ricordo è quindi più definito. Ed è un po' quello che è successo da“Ode Road” a “n7”, si va verso una definizione sempre maggiore. Chissà magari il prossimo disco lo paragoni a uno spettacolo teatrale...
F: Riguardo al film, direi uno di Michelangelo Antonioni, nella sua carriera ha fatto tante cose diverse, a noi piace ricordare quel periodo in cui Monica Vitti era l'eroina e la protagonista di tutti i suoi film in bianco e nero. Monica Vitti rappresenta questa figura femminile molto complessa, che deve destreggiarsi nella routine del quotidiano, però non ci riesce e viene fuori questa parte più nervosa ma più naturale e anche più animale, quindi umana, che porta alla luce un conflitto sincero.
Con questo disco a mio parere siete entrati a pieno nel genere dark wave minimalista, abbandonando quasi ogni residuo di post-rock che si sentiva nel lavoro precedente...
G: Ci piace molto questa affermazione, perché anche questo ci rappresenta. Ma più andiamo avanti e più ci svincoliamo da generi anche perché ogni disco ha qualcosa di nuovo ma mantiene quello che c'è stato prima. Apriamo sempre una rosa di suoni nuovi. Comunque sì, per far capire qualcosa a qualcuno dark wave ci sta. Siamo bassi di voltaggio. In realtà non lo sappiamo neanche noi che genere vogliamo tirare fuori all'inizio perché è un viaggio emotivo che viene fuori attraverso il suono in maniera naturale...
La volta scorsa mi avete parlato di una certa “mancanza di coraggio” per quanto riguarda la scena musicale bolognese. Si è mosso qualcosa?
G: Le cose erano ferme un anno e mezzo fa e sono solo peggiorate.
F: Però magari se si arriva a un punto di non ritorno in cui è necessario alzarsi e risollevarsi, magari qualcosa potrebbe cambiare. Ma non vediamo grandi cambiamenti oggi perché c'è anche poca voglia di collaborare tra i gruppi.
G: Sì, c'è poca voglia di darsi una mano - per qualsiasi cosa-tra noi gruppi bolognesi sotto ogni aspetto. C'è il ragionamento che se io aiuto te ad ottenere qualcosa viene tolto qualcosa a me automaticamente, ovvero visibilità.
F: Non c'è voglia di organizzare qualcosa insieme, come date o festival o anche di trovarsi e ascoltare le proprie cose reciprocamente.
Voi avete provato a fare qualcosa per smuovere la situazione?
G: Abbiamo fatto degli incontri con tantissimi musicisti bolognesi, abbiamo visto poi che le cose si stavano muovendo nella direzione sbagliata..
F: Nel corso di tanti incontri le band più grosse snobbavano un po' la cosa mentre le più piccole si aspettavano che quelle di medio livello -come noi- trainassero quelle minori. Noi volevamo mettere in pratica uno scambio di energie, informazioni, per far collaborare diverse band e suonare o organizzare un festival..fare qualcosa. Il motivo per cui non si è riuscito a concretizzare niente è stata la mancanza di coraggio, di osare come collettivo, ma noi per primi, anche se speravamo che con il dialogo si arrivasse comunque ad alcuni obbiettivi concreti, avevamo priorità diverse. E fattivamente non si riusciva a collaborare.
Beh con questo disco si riesce ad andare oltre l'Italia?
F: E' il nostro scheletro nell'armadio, ci stiamo lavorando adesso comunque.
G: E' difficile, ma sì ci stiamo lavorando.. Adesso andare a suonare all'estero ci vai in due vie. La prima è informale, tramite amici, contatti di amici, la rete. Oppure tramite via ufficiale, con un manager, un booking e un'etichetta. Per noi la prima non è fattibile perché non abbiamo gli agganci giusti. Dovremmo arrivarci con la seconda via ma è davvero difficile.
F: Anche perché i gruppi che si sono guadagnati rispetto all'estero sono pochi, e quindi non c'è una credibilità forte nei confronti dei musicisti italiani. E' un po' un limite essere italiani, anche perché la cultura italiana all'estero non è ben vista.. Bisogna lavorare il doppio.
G: Comunque un modo lo troveremo...
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L'articolo Melampus - Se ti insultano è una cosa positiva di chiara angius è apparso su Rockit.it il 2014-03-03 00:00:00
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