Continua la nostra serie di interviste sui mestieri della musica, ovvero incontri con professionisti che spesso si muovono dietro le quinte ma grazie ai quali la magia accade. Dopo aver scoperto cosa fanno un roadie e un tecnico luci, abbiamo incontrato Ivo Grasso, proprietario e studio manager di uno dei più importanti studi di registrazione di Milano, il Massive Arts Studio. Oltre a raccontarci come si svolge la vita nello studio, ci ha dato una bella panoramica di cosa è cambiato nei suoi 20 anni da professionista, a partire dall'approccio alla composizione.
Ciao Ivo, come hai cominciato a fare questo lavoro?
Io non sono di Milano, sono venuto dalla Sicilia per studiare giurisprudenza. Poi mi sono trovato con amici con cui uscivo ad andare a giocare a tennis con vari direttori artistici di major. Da giovane facevo musica, e intorno ai 24 anni facevo produzioni r'n'b per hobby personale. Durante questi incontri mi sono imbattuto in un direttore di una major il quale per scherzo volle sentire le mie cose: è finita che mi ha detto che ero bravo, e mi mise sotto contratto con questa major, in anni ancora buoni, i '90. Buoni parlandone adesso, perché il declino era già iniziato. Ho iniziato a strutturare questo hobby, ho finito gli studi, e mi sono accorto che avrei potuto fare tante cose. Ho messo su degli studi di registrazione che chiaramente erano delle cantine, quindi sono passato a prendere spazi diversi, e a fine anni '90 ho preso uno studio vero di 150 mq. Dopo 2-3 anni con altri soci ho fondato il Massive Arts. È nato così, per varie coincidenze della vita, però tutto grazie alla musica, perché se io non fossi stato coinvolto come musicista avrei potuto continuare ad andare in giro con queste persone e forse oggi farei l'avvocato.
Quali servizi offrite al Massive?
Quando abbiamo concepito questo posto guardavamo a delle realtà esistenti all'estero. Qui le potremmo chiamare "città della musica": entri in una sala prove con un progetto e delle idee, fai una registrazione con un microfono, torni in sala, poi se hai bisogno di noi come produttori ti aiutiamo anche con gli arrangiamenti, fino ad arrivare alla masterizzazione. Da qui esci col disco fatto. Tutte le fasi nello stesso posto, che è una figata, e il fatto di aver differenziato così il nostro investimento nella musica è il motivo per cui ci siamo ancora, perché chi ha investito in segmenti molto specifici, come solo mastering o solo mix, ha avuto difficoltà o sta avendo difficoltà notevoli. Col tempo, abbiamo aperto la scuola di musica. Facciamo consulenze per grossi marchi a livello musicale, spot, eventi, siamo casa discografica ed editrice, alcuni dei nostri autori scrivono per artisti mainstream. Una cosa importante della nostra visione è avere a disposizione tante teste e quindi tante idee.
(I Black Eyed Peas al Massive)
Per quanto riguarda te in particolare quindi quali ruoli ricopri all'interno dello studio?
Sono uno dei proprietari e sono tecnicamente lo studio manager. In particolare, mi relaziono con le case discografiche, manager, uffici stampa, agenzie di booking e chi cura gli allestimenti per i tour live. Con i miei soci curo la parte strategica del marketing del Massive. Come in tutte le microimprese mi devo occupare di tante cose, tipo l'acquisto di alcuni beni, parlare con gli insegnanti di musica, occuparmi delle relazioni con i fornitori che sono tantissimi. Se non hai dei rapporti ben strutturati con i fornitori non hai prezzi e trattamenti adeguati. Devi puntare non solo sull'accaparrarti i lavori, ma anche ad avere la migliore qualità, pagarla il giusto, averla nei tempi necessari grazie a servizi veloci, perché qui da noi possono arrivare all'improvviso delle band con delle esigenze e noi dobbiamo essere pronti. Ci è capitato con i Kasabian, che sono arrivati senza strumenti. Subito si è attivata tutta una macchina, cioè telefonare ai fornitori per avere certi modelli di strumenti in 15 minuti. Il network è importantissimo. Una delle cose che abbiamo fatto meglio è stata quella di creare una rete che è la nostra fonte di lavoro, per cui riusciamo ad avere in tempo reale sia informazioni che beni e servizi per il cliente. Chi viene qui molte volte per problemi organizzativi o di tempi arriva con esigenze che vanno accontentate anche se non sono problemi tuoi. Il manager non ti ha fatto avere quel pedale? Bisogna trovarlo adesso. Quell'adesso è una cosa che se non hai questo network non arriva mai, e tu e il cliente state fermi.
Quanta gente lavora intorno al Massive?
L'organigramma fisso è di 10 persone, più vari insegnanti, parlo di quelli con uno stipendio fisso. Poi ci sono assistenti che stanno qui per qualche mese, per imparare.
A questo proposito, quali sono le caratteristiche che deve avere una persona che viene qui e ti dice che vuole imparare a fare il mestiere? Come decidi se prenderlo con te?
Questa è una bella domanda perché io ho a che fare da anni con tanti ragazzi che escono dalle scuole a indirizzo tecnologico come ingegneri/tecnici del suono. Se ne sfornano tanti, settimanalmente ricevo 10-15 curriculum da anni. Ho avuto tanta gente, molti li ho mandati subito via. Una delle ragioni principali è la mancanza di umiltà e della voglia di sacrificarsi. Gli unici che sono rimasti e lavorano qui sono quelli che ci hanno messo tutto, a partire dalle stupidaggini: se mi dici che ce la metterai tutta, ma al mattino arrivi tardi o devo chiamarti per buttarti giù dal letto, stai a casa. Poi se io ti do la possibilità di stare in una struttura come questa, dove passano tanti artisti internazionali, devi essere disposto a imparare, fosse anche a stare fermo e ascoltare. Sono delle cose rare che in pochi ti possono offrire. Se a te non te ne frega niente e sei fuori a fumare, mentre qui passa un big internazionale, allora non è il posto per te.
Poi mi piacciono le persone propositive. Ci sono le prove di Malika Ayane? Anche se ha tutto il suo allestimento già sistemato, puoi sempre offrirti per fare qualcosa, qualunque cosa, dal semplice facchinaggio al regolare uno sgabello: darsi da fare in generale, il talento da dei risultati solo se abbinato alla volontà. Una volta chi faceva un lavoro da assistente passava un anno in cui gli artisti, sorvolando sull'arroganza e sulle pretese di alcuni di loro, potevano anche darti le chiavi della macchina e dirti vammi a fare una spesa, vai a lavarmi la macchina e torna. Era uno stato mentale che non andava bene, ma gli assistenti facevano quello: passavano le notti a sbobinare a mano, a fare le automazioni con la penna... si finiva a mezzanotte e si rimaneva a sistemare lo studio per riprendere i lavori la mattina dopo. Il tuo lavoro non lo vedeva nessuno e nessuno ti ringraziava. Gli assistenti così sono diventati poi Alan Parson, gente che c'ha messo tutto e ha avuto la fortuna di avere del talento.
(Una sala regia del Massive)
Quindi se dovessi dare un consiglio ad una persona che vuole intraprendere la tua carriera che consiglio daresti?
Per essere un imprenditore come me devi essere uno folle, soprattutto nella musica. Dal punto di vista di chi vuole curare l'audio, essere fonico sia live che di studio, servono massima disponibilità e umiltà e proattività. Ma la cosa fondamentale è capire che oggi la canzone non è più fatta solo di macchine o di quanta batteria metti, si è perso il senso della canzone come opera d'arte. Il tecnico in gamba deve far venire fuori una canzone non per gli addetti ai lavori che si complimentano per le chitarre che hai fatto. Il fruitore deve cantare la melodia, avere un groove che lo faccia ballare. Anche il missaggio è un'opera d'arte che oggi in pochi sanno fare. Tutti partono dalla sezione ritmica, poi aggiungono il resto. Una volta si faceva “all in the mix”: partendo da tutte le tracce aperte, piano piano chiudendo gli occhi, si alzavano la batteria, il basso, la voce, e si faceva venire fuori l'anima del brano. La maggior parte dei fonici oggi mette subito la voce in mute e inizia dalla cassa, come se fosse un sound check dal vivo. A un certo punto hanno delle cose che suonano bene ma senza anima, poi alla fine aprono la voce. I ragazzi con talento fanno emergere la canzone, a differenza di chi magari ti porta dei suoni ottimi, ma senza una canzone. Però c'è chi ha ancora un certo feeling con la musica e riesce a dare spazio a cose più importanti. Puoi farlo anche a casa con risultati qualitativi magari non altissimi, ma per allenarsi.
Come ritieni che sia cambiato il tuo lavoro durante tutti gli anni della tua carriera?
Nel mio lavoro ritengo di aver visto in 16-20 anni quello che mia nonna, nata nel 1912, ha potuto vedere in 90 anni di vita. Ho visto condensati in 20 anni tanti di quei cambiamenti che altre persone in altri settori vedranno in 100 anni.
Parli di tecnologia?
Non solo, parlo di come il cambiamento tecnologico abbia cambiato il modo di fruire la musica. Quando sono partito si lavorava coi nastri digitali, poi ancora analogici, poi digitali. Ho visto la morte del vinile, l'inizio e la morte del cd, l'arrivo degli mp3, la rinascita del vinile. Questo ciclo in qualsiasi settore industriale è un ciclo lunghissimo, io l'ho visto in 20 anni. Questa è un'anomalia.
A proposito dei vinili, una delle critiche che si muove oggi al vinile è che non avrebbe senso dal momento che la maggior parte delle band registra in digitale per poi riversare su vinile. Un falso analogico diciamo.
È vero, i vinili di una volta avevano una compressione, un tipo di suono che ora non abbiamo. Il vinile, premettendo che è diventato un trend, quindi lo stampa anche la band emergente, richiede una tecnologia legata agli anni '70, quindi quando c'erano delle macchine particolari per il transfer. È un processo molto laborioso e bello, però molto diverso dal processo che affronta una band che va in uno studio e si fa il cd, poi va in qualsiasi posto e fa il riversaggio sul vinile. Siamo anni luce dal vinile dagli anni '70, che partiva da registrazone analogica, non subiva alcun passaggio intermedio in digitale. Un vinile dei Police chiaramente lo ascolti e non suona come un vinile stampato oggi, anche banalmente in termini di volume. Oggi ne abbiamo di più perché il suono è più compresso in digitale, ma non hai quel godimento nell'ascolto che hai con un vinile dell'epoca. Se lo può permettere davvero solo chi ha un budget importante e decide di affrontare tutte le fasi della registrazione in analogico. È chiaro che quando parlo di tutto in analogico c'è sempre in mezzo qualche passaggio digitale, come l'uso di Pro Tools, che è uno standard necessario per qualsiasi tipo di lavorazione, anche se lo usi solo come sequencer e taglio. Non si può pensare di tagliare i nastri a mano, anche perché sono pochissime le persone che lo sanno fare a certi livelli.
Anche l'artista di un certo tipo, se registrasse in analogico non potrebbe più fare 15/20 takes di voce, com'è abituato a fare, servirebbero 15 o 20 nastri. Quindi anche gli artisti grandi devono arrivare allo scopo ma nella maniera più veloce, perché anche loro oggi hanno problemi di budget, tempistiche e tutto. Quindi l'artista di un certo calibro, anche italiano, può farlo, ha senso, perché chi fa i vinili di qualità oggi sono delle società attive in Italia dagli anni '70. Usano ancora le stesse macchine. Se tu porti un disco registrato e mixato in analogico, magari masterizzato anche in analogico, su un quarto di pollice finale, e poi lo metti su vinile, allora sì ha senso. Io ho un figlio di 8 anni e dall'anno scorso gli ho messo un giradischi in camera per deformazione professionale, però voglio far capire a mio figlio, che andrà avanti su una tecnologia che io per il momento non posso conoscere, da dove si è partiti. Ha iniziato a sentire la puntina, ha capito cos'è il solco, si diverte a skretchare, un giorno se lo porterà come bagaglio culturale per capire le evoluzioni. Il vinile oggi fatto dalla prima uscita discografica è una puttanata, per chiudere il discorso.
(The Original Blues Brothers Band durante una session al Massive)
Ti chiedo una cosa che potrà sembrarti banale, ma secondo me non lo è: tu sei uno che ascolta tanta musica?
Devo ascoltare tanta musica per lavoro, sapere quali sono le uscite, cosa c'è di nuovo, come suona, devo essere al passo. Però francamente non gusto più la musica come una volta, quanto per me significava tornare a casa, mettermi sulla mia sedia con le cuffie, chiudere gli occhi e sentire dei brani. Oggi è molto diverso, lo sto riprendendo per insegnare a mio figlio delle cose. Ma ora quando ascolto un brano difficilmente la prima cosa che mi trasmette sono delle emozioni, e quando ci riesce per me vuol dire che è un superbrano, e in effetti poi molte di queste emozioni che mi arrivano subito sono confermate dal fatto che sono brani che diventano successi discografici, capisci che hanno un valore diverso. Però ormai per deformazione professionale quando ascolto analizzo: l'intro se è stereo o mono, la compressione delle batterie... come chi lavora nelle agenzie di moda e vede modelle ogni giorno e poi ha difficoltà nell'ammirare una bella donna nella vita personale.
Allora devo avere dei momenti in cui, e sono sempre più rari, posso ascoltare delle cose che io chiamo “beni rifugio”, e non sono dischi nuovi. Anche perché per disintossicarmi ho bisogno di andare a sentire qualcosa che io reputo puro, dove io sento la musica, le emozioni e percepisco il messaggio musicale e basta. Normalmente avviene con la musica tra gli anni '70 e i primi 2000. Una delle cose che molti fruitori non sanno della musica è che oggi tutto quello che si ascolta è formato da tutte le parti musicali (comprese quelle cantate) tagliate, incollate e messe assieme, come se di un'opera teatrale si prendesse una sequenza recitata a Firenze, una a Torino, una a Milano, e si mettessero insieme. È il meglio del meglio, ma il messaggio non ti arriva. Quando metti un disco dei Police, che inizia a 90 bpm e finisce a 96 e tu non te ne accorgi, quella è la vera musica, suonare davvero, che non accade più neanche dal vivo perché in molti usano click e sequenze. Io entro, suono, il fonico fa rec e andiamo. Lì ti arriva il messaggio, la voce che non ha fatto 15 tracce di una strofa per scegliere ogni minima parola, e quando senti quei dischi ti arrivano subito, perché è come quando vai a sentire gli amici in una sala, li senti dal vivo, reali, e ti lasciano qualcosa.
Mi dici un produttore che ti piace?
Il mio preferito è Chris Potter, il produttore dei dischi dei Verve e di Richard Ashcroft, lui per me è sempre stato avanti. Oggi invece uno come Pharell è il massimo.
(Ivo Grasso e uno dei tecnici del Massive in studio con Pharrel)
Ecco, Pharrell. Tu hai avuto la grandissima fortuna di lavorare con lui. Mi puoi dire cosa hai imparato?
In una notte con lui e Tyler, the Creator, che era con lui a fare delle cose, ho imparato cosa vuol dire lavorare per essere tra i primi al mondo. Una cosa che non ho mai visto fare a nessuno. È andato prima a fare un concerto al Forum. Dopo il concerto il manager mi ha scritto. Sono arrivati a mezzanotte, lui è stato qui dentro gli studi da mezzanotte alle 8 di mattina, è uscito solo una volta per fare pipì, ha voluto una bottiglia di vino in studio, qualcosa da mangiare ma senza grosse pretese, ha parlato con tutti, non si è staccato mai dal banco, non si è lamentato mai, non ha fatto un capriccio: ha lavorato in maniera esemplare, quando è uscito dallo studio un altro sarebbe svenuto. È venuto da noi, ci ha ringraziati uno per uno, anche gente che non aveva mai visto durante quella notte, per il tempo che gli avevamo dedicato e per l'opportunità, ti rendi conto? Ha lavorato tantissimo e a mezzogiorno aveva l'aereo per Parigi dove avrebbe fatto un altro concerto. Questi hanno questi ritmi tutto l'anno, ti rendi conto di quanto siamo distanti anni luce, e quando li vedi a livello mediatico così forti, così star, puoi capirne il perché. Io mi inchino, se lo merita. Una delle cose che ti può lasciare il boccone amaro è quando tu hai l'idea di un personaggio e nella realtà lo conosci e lui si smentisce. Lo hai sempre seguito e stimato, poi lo conosci e capisci che è un cretino. Bastano due parole, rivolgersi in maniera scortese a uno dello staff, per rovinare tutto. Invece sapere che quella persona che stimi è veramente ancora meglio di persona, allora lì la gratificazione è totale.
Basta visitare il sito del Massive per capire che qui di big internazionali ne passano tanti. Non possono non approfittare della nostra chiacchierata per chiederti di raccontarmi qualche episodio.
Tieni da conto che molti di questi artisti internazionali ti fanno firmare degli accordi di segretezza, ho delle bozze di contratto che fanno ridere e piangere. Ci arrivano dall'America ancora prima di aver chiuso gli accordi per i lavori, ti dicono che non puoi rivelare niente, con penali di 4-5 milioni di euro, anche per 3 ore di lavoro, ma visto che si parla di personaggi grandi qualsiasi danno tu possa procurare alla loro immagine, viene già stimato per quella cifra. Quindi senza fare nomi, una notte (perché gli internazionali lavorano solo col loro fuso orario) mi è arrivato un personaggio che sembrava fosse arrivato Obama: 9 macchine nere con lampeggianti, 10 guardie del corpo. Uno dei responsabili della sicurezza mi ha chiesto quante persone fossero dentro, quante toilette avessi, quanta gente fosse al bagno, robe da film tipo CIA e FBI. E poi le bizze che fanno le star, a parte le richieste... dal punto di vista audio sono di un professionale mostruoso, loro ti mandano uno o due giorni prima le loro richieste, una sola volta. Devi avere tutto se no puoi offrire delle opzioni alternative. Da premettere che loro scelgono i posti in base alle forniture che hanno a disposizione, quindi ti scelgono per quello che hai già. Esistono dei network mondiali per cercare determinate cose, tipo se hai bisogno di un microfono particolare che hanno solo in un certo posto, vai lì. Le cose particolari vengono dopo, che non sono più inerenti all'audio ma piuttosto mangiare un certo tipo di piatto alle 5 del mattino. Tipo quando facciamo gli allestimenti dei tour vedo certe schede catering da ammazzarsi dalle risate. Insomma sempre questo artista di cui ti parlavo, alle 5 del mattino si è fatto venire il trip che voleva un tatuaggio. Poi non è che puoi chiamare quello dello studietto all'angolo. Abbiamo chiamato mezza Milano, messo in moto tutto, è arrivato il tatuatore in motorino, ma alle 6 già non lo voleva più. Un altro esempio, di cui posso farti invece il nome, sono i Black Eyed Peas. Il manager da Londra ci aveva fatto una testa così per il cibo, carne toscana, cose così. Io ho allertato tutti i locali in zona di rendersi disponibili anche alle 3 del mattino. Loro sono arrivati e invece erano super friendly, abbracci per tutti, e dopo avermi fatto fare una spesa faraonica, alle 3 hanno voluto un hamburger. Cristo, abbiamo lavorato una settimana per fargli avere la carbonara bio e poi vogliono un hamburger! Questo perché molte paranoie se le fa il manager per dimostrare che si prende cura dell'artista nel migliore dei modi. Questo però non è buono per noi, ti fa accogliere l'artista a denti stretti. Già arriva e tu hai le palle girate e pensi che sia uno stronzo, poi ti rendi conto che l'artista non sa e non gliene frega niente, è tranquillo, ci puoi parlare.
(Pierpaolo Capovilla durante una session in studio al Massive)
Quali sono le voci di spesa che fanno la differenza tra la registrazione di un album di una band tipo i Tre Allegri ragazzi morti e quella che può essere la spesa per un disco di Tiziano Ferro?
Dal punto di vista audio non cambia molto, i TARM come Il Teatro degli Orrori o i Verdena, dal punto di vista della qualità non hanno nulla a che invidiare ad artisti del panorama internazionale. Le voci di spesa purtroppo non sono legate all'audio, ma a tutto il contorno, alle persone coinvolte. Se Toffolo o Capovilla vanno a mangiare, vanno qui dietro dalla sciura e spendono 20 euro. Quando ci sono delle produzioni molto grosse, mangia uno staff di 20 persone, perché un grande artista si muove con più persone che vogliono un tenore dei servizi che non è lo stesso degli artisti più piccoli. Questa voce di spesa è importantissima e fa la differenza, noi abbiamo avuto artisti che hanno speso più in pranzi cene e alberghi che nella registrazione.
Abbiamo parlato di professionisti, ma per chiudere vorrei chiederti dei consigli per una band nuova che sta andando per la prima volta in studio. Come prepararsi, ma soprattutto cosa non fare.
Il primo consiglio è di non pensare allo studio come negli anni '70 che stavi un mese e mezzo e creavi le canzoni. Ora in studio si sta poco e devi essere veloce, quindi devi stare più tempo possibile nella tua saletta a fare preproduzione: la struttura della canzone definita, così come tutte le parti compresi gli assoli e le parti vocali. Poi quello che viene in più durante la registrazione può essere un valore aggiunto. Lo studio non è un posto magico dove qualcuno con la bacchetta trasforma la rana in principe, devi avere le idee chiare, tutto deve filare liscio, poi se grazie al fonico, all'arrangiatore o al produttore ci sono dei cambiamenti, si discutono ed è positivo. Gran parte delle band per poca esperienza arriva in studio e non sa neanche cosa registrare.
E poi un altro consiglio è di non frammentare, fare tutto assieme, è la maniera migliore per registrare delle emozioni che se fai strumento per strumento si perdono. Oggi già realizzare belle canzoni è difficile, fare le cose a tavolino non funziona. Fare tutto insieme è fondamentale, se il batterista viene alle 10 fa la sua parte e se ne va, poi viene il bassista, poi il batterista va a casa mentre si fanno le voci e si fa mandare tutto via email, già questo è un progetto che nasce male. Perché non si lavora così, si perde il senso del disco, lo spirito stesso della band. Prendi un cantante che sta solo per giorni a fare le sue parti, in mezzo a fonici che non conosce, solo e sperduto. Tutti devono stare lì, è un viaggio che deve fare tutta la band dall'inizio alla fine, si parte e si arriva tutti assieme, anche se si litiga. Il mio consiglio è suonare assieme, tirare su le canzoni assieme, più si suona assieme meglio è: la canzone verrà fuori da sola.
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L'articolo L'anima delle canzoni: come si lavora in uno studio di registrazione di Chiara Longo è apparso su Rockit.it il 2016-10-26 12:00:00
COMMENTI (3)
Credo che abbia ragione su tutti i punti.
Per attivare un grande lavoro devi avere una conoscenza altissima di tutte le modalità.
Riuscire a farlo funzionare significa essere saggi e infatti i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Grande Ivo.
Wow...anche persone come Ivo, purtroppo, ce ne sono poche!
L'intervista mi ha emozionato. Ivo sa il perché