Un esordio col botto

Schiantarsi in moto non è mai una bella esperienza, eppure c'è chi ha trovato la forza di fare un disco. È il caso di Marco Bertuccioli e del suo ep con il moniker La micidiale salita di via Baracca, nato in due mesi a letto col collo rotto, una chitarra in mano e i live di Charlie XCX sul pc

Doveva riprendere il controllo di se stesso solo così avrebbe potuto pensare. Quella storia era durata anche troppo. I suoi moncherini erano ormai cicatrizzati. Le bende erano state tolte. Significava che era passato del tempo. Molto tempo. Ormai era venuto il momento di uscire dal torpore e pensare. Doveva pensare a se stesso a Joe Bonham e a quello che avrebbe fatto. Doveva ridimensionare di nuovo tutto il suo mondo.

Dalton Trumbo ha pubblicato queste righe nel 1939, in un libro intitolato E Johnny prese il fucile. Joe Bonham è il protagonista, un soldato colpito da un cannone alla fine della Prima guerra mondiale. Perde braccia, gambe, vista, udito, olfatto e la capacità di parlare. Rimane tagliato fuori dal mondo, pur essendoci ancora dentro. Insomma, "doveva ridimensionare di nuovo tutto il suo mondo".

"Non voglio dire che mi sono immedesimato in lui, nel soldato di E Johnny prese il fucile, però ci ho potuto empatizzare. L'unica roba che potevo fare a quel punto era veramente pensare, pensavo un botto", racconta Marco Bertuccioli. È uno che nella musica ha girato parecchio. Già Gastone e Rellas, ora chitarrista di Danielle e membro di Circa Diana, etichetta della provincia riminese. È la stessa che l'ha convinto (anche se forse convinto convinto non lo è ancora) a pubblicare a gennaio scorso il suo primo ep solista: Nessun segnale, firmato La micidiale salita di via Baracca, dal nome della terribile salita per arrivare a casa sua. La copia fisica sembra uscita da una macchina del tempo, un gioiello d'altri tempi incastonato tra due lastre di resina. Carattere: Times New Roman. Ma questa storia inizia molto prima.

 
 
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L'ep era pronto da quasi quattro anni, dal 2020. "La morosa mi aveva lasciato tipo una settimana prima", racconta Marco. "Avevo appena preso la moto, da un paio di mesi. Qua siamo sull'Adriatico. Volevo andare sul Tirreno e passare per l'interno. Ero partito con un asciugamano, infradito un paio di mutande e basta, per star via una notte con la moto", mi racconta seduti al Bar del porto di Gabicce, dove vive, sul confine tra Romagna e Marche. Anche qui ci siamo arrivati in moto, la stessa che aveva appena preso nel 2020 e con cui ha fatto l'incidente.

Da Gabicce parte in direzione Perugia. "Volevo passare per Monte Catria ed ero su una strada panoramica vicino a un posto che si chiama Serra Sant'Abbondio". Una strada provinciale a curve strette, si vede da Google Maps. Le coordinate sono nel file txt dentro alla scheda SD. Dopo la curva c'era il ghiaino "allora ho pensato di prenderla più larga per cercare di non scivolare, ma l'ho presa troppo larga. Mi sono schiantato quasi dritto per dritto contro queste pareti di roccia che c'erano a lato della strada". "Ho iniziato a chiedere aiuto ma a chi chiedi aiuto? sei in mezzo a un greppo che non passa nessuno. Si sentivano solo le foglie che si muovevano col vento. Mi sono sentito mega solo in quel momento". Due vertebre rotte, a letto col collare per due mesi. E l'estate è solo all'inizio.

è successo lì
è successo lì

La soluzione migliore arriva quasi subito. Un proiettore per guardare serie tv e live di Charlie XCX sul soffitto. Ma le serie dopo un po' nauseano e i live di Charlie XCX quelli sono. "Non ce la facevo più a fare quella cosa, non ce la facevo più a perdere tempo in quella maniera". "Non ho pensato di fare qualcosa di costruttivo, di sano, di impiegare del tempo. È stato un impeto, un impulso. Ho suonato solo quei tre o quattro giorni e basta". Nessun segnale è stato tutto composto, registrato e mixato in tre giorni, al massimo quattro. "Lì dentro c'è tanto, in maniera condensata", dice Marco.

Ma il lato musicale, quello tecnico, non è stato difficile da gestire. Sempre lo stesso proiettore puntato sul soffitto poteva aprire anche un programma di registrazione. E allora via, accendi Ableton e puntalo sul muro dove hai piantato un piede verniciato quando eri bambino. E occhio a non tenere fermo il mouse, altrimenti si rischia di rimanere ipnotizzati dalla scritta continua "NESSUN SEGNALE".

Marco dice che suonava senza guardare quello che faceva e cantava da sdraiato, senza bisogno di aiuto né per suonare le varie chitarre, kalimbe, melodiche e tastiere, né per la produzione. Per il pezzo più difficile (In cielo o sottoterra) suonava seduto in bagno, per guardare le dita sulla chitarra nello specchio. I tre giorni in cui è stato fatto il disco non sono stati primi dopo l'incidente, era già passato un mese e mezzo. Muoversi non era ancora facile e soprattutto non era veloce, ma non era più doloroso. Allora ci metteva tempi biblici a montare l'asta del microfono, ma tanto cos'altro c'era da fare? Una vera routine non c'era, non si riusciva a fare nulla, nemmeno a dormire. Gli chiedo di raccontarmi la routine di quelle giornate, ma capisco che è stato un momento davvero pesante quando non riesce a dirmi nulla che non sia "Provavo a dormire" o "ci mettevo un botto solo per andare in bagno".

C'è una canzone in cui si sente più forte che nelle altre la sofferenza di questo periodo. Non il dolore fisico, ma il disgusto per il tempo sprecato e l'insonnia. Si chiama Troppe volte ed è un flash fanfaroso e dissonante in cui le poche parole cantate sono: "Usa il tempo per migliorare te stesso, usa il tempo per migliorare te stesso!". Era una frase che gli aveva detto la sua fidanzata, e che in quel periodo si ripeteva spesso chiuso nella sua stanza, un posto dove i modi per non sprecare tempo sembravano pochi. Nel brano le parole sono ripetute in maniera ossessiva e velocissima, quasi con rabbia o con un tono di disperazione misto a un totale disinteresse per il sound pulito.

Alle frasi si mescolavano anche i ricordi. "Quel periodo mi è servito per riprendere le cose vecchie. Nel video che è all'interno della scheda SD c'è una carrellata di immagini che avevo ripreso da quando avevo avuto il primo cellulare". Immaginate di essere chiusi nella vostra stanza. Per mesi. In estate. Le parole si mescolano ai pensieri, andate a riesumare ogni tipo di ricordo, a esaminarlo con cura. Alcuni di quei ricordi, pensieri e immagini (come quelle di questo articolo) sono ora nella scheda SD di Nessun segnale. Ma Marco ci tiene a sottolinearlo, non c'è nulla da estetizzare, "non è che la sofferenza deve per forza insegnare qualcosa. A me non ha insegnato nulla. Da lì sono cambiato, però non voglio che sia un manifesto bello del cambiamento".

"In quei tre giorni ho fatto solo quello – continua – anche perché sono stati giorni in cui non riuscivo a dormire. Ero andato veramente fuori di testa, iniziavo a svalvolare, non potevo neanche uscire di casa". Mi confessa che è stata questa è stata la cosa più difficilen non riuscire a dormire. "Se per 20 giorni dormivo 3 o 4 ore a notte, un giorno non dormivo per niente, poi ne dormivo 4 ore, poi 5, poi una. Non c'era una fase ciclica del sonno". "Da quanto ero andato via di testa, mia mamma un giorno mi aveva proprio cantato una ninna nanna. L'ho registrata a modo mio, rotta. L'ho voluta rompere. È tutta pitchata strana e cantata stonata apposta perché per me quel fattore del sonno era veramente importante, e in quel momento era stato completamente demolito". La canzone – anche questa trasmette una sensazione straniante e ansiogena – si chiama Prima di dormire, per addormentarsi, mentre si dorme.

Ma il manifesto dell'ep è In cielo o sottoterra. È l'unica canzone che Marco sa ancora suonare, "anche perché avendoli suonati da steso, io tuttora non so rifare quei pezzi". "È l'unico brano con un testo vero e proprio. Negli altri testi ci sono delle cose che provavo forte. Sono testi, titoli, frasi a raffica che pensavo ma che non hanno un discorso tra di loro. Nella musica sembrano solo frasi dette a caso, parole dette a caso".

Il titolo dell'ep viene da qui
Il titolo dell'ep viene da qui

Mentre parliamo Marco mi racconta che avrebbe tenuto questo lavoro per sé, nascosto tra i meandri dei mille backup del computer. Poi un giorno decide di mandarlo ai ragazzi di Circa Diana, che già conosceva. "Senza dirmi un cazzo, avevano fatto il master e poi dopo l'avevano pubblicato subito". "Ma senza dirti niente?", mi scappa. "L'avevano detto che lo voleva pubblicare, allora io avevo lasciato andare la cosa, per non prendere iniziativa. Poi però l'ho iniziato a far girare".

Siamo in due con gli occhi incollati al tramonto sul porto, ancora seduti al tavolino del bar, mentre mi spiega cosa è cambiato da quel periodo. "Mi ha fatto buttare molto. Mi ha spinto a condividere, cercare, esperienziare ancora di più. Muovermi tanto per la musica, anche se lavoro e non è il mio. Non mi reputo neanche artista, perché faccio tutt'altro nella vita, sono un impiegato. Però il fatto di muovermi tanto con la musica, crederci tanto, fare dei sacrifici, prima non lo facevo". 

Dentro alla scheda SD c'è anche una demo. Un singolo dal titolo Colazione al porto, che aveva già fatto sentire a qualcuna tra le tante persone che andavano a trovarlo mentre stava inchiodato al letto. Alcune di loro hanno anche cantato nella demo del pezzo. "È una canzone che ho fatto la prima volta che sono uscito di casa, col collare. Riuscivo a camminare, sono uscito e sono venuto a fare una colazione qua al Bar del porto e mi è venuta una canzone bellissima. Per me è l'anello di chiusura di tutto quel lavoro".

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L'articolo Un esordio col botto di Martino Fiumi è apparso su Rockit.it il 2024-07-17 12:01:00

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