Fou - Milano, 02-11-2008

(Foto di Simona Paleari)

E' da poco uscito "Procurarsi guanxi", il primo album dei Fou. Il gruppo lombardo propone un lavoro denso di contenuti: ricco di riferimenti a Milano, spunti letterari e d'attualità, analisi politiche, economiche e sociali. Ad intervistarli un collaboratore d'eccezione: Davide Brace (leader dei Mr. Brace e della romagnola Tafuzzy Records).



Come nascono i Fou?
Paolo: Io e Claudio ci siamo incontrati nel 2003 grazie ad un'inserzione su un sito di annunci per hobbistimusicisti che recitava "bassista offresi per band indie lo-fi stile dEUS, Sigur Ros, Flaming Lips". La vera svolta è avvenuta quando nel 2005 abbiamo deciso di cambiare sala prove trasferendoci da Cini's Hello al Lombroso. In quel periodo si sono aggiunti Donatella (cantante dai trascorsi hard rock) e Bjorn, il tastierista norvegese che ha coniato il nome del gruppo, sostituito di lì a poco da Debe (anche Egokid). Gli ultimi arrivati poco prima della registrazione del disco sono stati Giuggi alla chitarra e Giulio (ex Fitness Pump) alla batteria. Siamo sempre stati una formazione eclettica ed eterogenea, caratteristiche di cui abbiamo beneficiato e un po' sofferto fino ad oggi. Il disco è il frutto di tutto questo, nel bene e nel male.

Trovo che i vostri brani siano un ottimo compromesso tra gradevolezza pop, testi colti, ricchi di citazioni, multilinguistici, post-moderni, impeto e urgenza puramente rock e decadenza poetica ed estetica. Come nasce un canzone dei Fou?
Claudio: Beh se ci hai visto tutto questo ci fa un immenso piacere. Mi sento però di escludere che i nostri siano testi colti. Ci piace articolare e rielaborare concetti, espressioni mutuandole e catturandole dai media o dal "sentito dire". Il gusto per la citazione nasce dal non possedere una cultura, ci sentiamo quasi obbligati a servirci di quella altrui. Facciamo un lavoro di termovalorizzazione culturale. Del post-modernismo teniamo quell'attitudine un po' ridondante a rompere i giochi discorsivi con effetti decontestualizzanti o il cut-up. Le canzoni nascono da un flusso cerebrale: scrivo a mente smontando e rimontando pezzi di frasi, melodie impossibili, cantilene che solo in seguito vengono strutturate su accordi e pre-arrangiate con Fruity Loop (programma per fare musica, NdR). Forse le melodie risultano tanto pop perché si impongono cronologicamente sul resto anche a costo di qualche forzatura grammaticale e musicale.

P: In seguito questi bozzetti lo-fi vengono rielaborati in estrema libertà dagli altri componenti della band che costruiscono le parti e aggiungono suoni donando ai brani l'urgenza rock che ci appartiene.

Per raccontare della vostra musica ho letto spesso accostamenti a Bluvertigo, Scisma e Baustelle. Manca qualcun'altro all'appello? Con quali dei gruppi attuali vi sentite in buona compagnia?
Ovviamente ci ritroviamo nell'attitudine di quelle band che nei 90 hanno prodotto rock in italiano ma i Bluvertigo vengono da un background molto diverso dal nostro che per lo più risente del fascino di certi suoni fuzzy di gruppi indie americani (Grandaddy, Yo la tengo, Dinosaur jr). I Baustelle ci piacciono. Mi pare però che (per fortuna loro) la nostra sia una proposta differente. Se si allude al fatto di avere un cantato maschile-femminile forse gli Scisma ci riguardano più da vicino. Ci sentiamo di aggiungere C.S.I., Ustmamò e Disciplinatha, tutta roba che abbiamo triturato per anni. Oggi amiamo Offlaga, Egokid, Ministri, Altro, Ex-OtagoMr.Brace (Chi?, NdA).

Perché il vostro primo disco si chiama "Procurarsi Guanxi"?
C: Guanxi è un'espressione cinese che significa relazioni. Viene associato per lo più al modo con il quale si effettuano gli scambi commerciali in Cina: anziché il sistema impersonale della domanda e offerta c'è un gioco di crediti umani che determinano il successo di uno scambio. Può essere inteso nel senso di clientela ma anche di social network, condivisione. Troviamo interessante questa dialettica sottile insita nel concetto di guanxi come sistema sociale post-liberale e post-socialista.

Qualche domanda sulle canzoni:
"Estinzione di un magnete": Com'era essere universitari a Milano? Quali sono i "troppi lati oscuri in facoltà"?

P: L'Università per la generazione dei trentenni è stata un parcheggio. L'espressione di un pensiero debole del quale siamo intrisi come spugne, una generazione che ha sperimentato per prima la riforma triennale. Una generazione poco credibile e spuntata di ogni velleità conflittuale devastata dalla Playstation, dal Fantacalcio e dalla Gialappa's Band, una generazione che in fondo si è sempre salvata con l'ironia senza mai mettersi in gioco fino in fondo. Se le storie contenute nel nostro disco risultano poco vere o poco credibili è voluto e ringrazio chi lo ha sottolineato perché è proprio questa mancanza di credibilità che volevamo rappresentare, oltre allo sguardo sul mondo di soggetti che lo interpretano e si interpretano in base a ciò che passa la tv e i media in genere.

"Ultimo Kebab (nel quartiere Isola)": Milano tra superloft in Garibaldi e kebab pagati coi ticket restaurant rischia d'esser letale come uno dei suoi aperitivi di troppo. Com'è Milano oggi?
P: C'è stato un periodo nel quale Milano ci pareva una città viva. Sarà stata l'età della giovinezza per la quale ogni cosa che fai ti pare di farla con un entusiasmo maggiore e ti fa vedere le cose in maniera trionfale, però a Milano nei 90 c'erano molti più luoghi di incontro dove si poteva ascoltare musica di un certo tipo e si sentiva quel fermento che poi stava montando in tutto il mondo, anche se in fondo l'aperitivo non è mai tramontato. A Milano comunque passavano le idee. C'era un proliferare di momenti di incontro e di partecipazione politica e nonostante già si intravedesse quella attitudine alternativella che oggi ci fa un po' ridere e che poi ha portato ad una sconfitta, a un periodo di estremo riflusso, accadeva tuttavia che ai concerti ci fosse più entusiasmo. I gruppi che suonavano lasciavano il segno. Adesso si sta lì col bicchiere in mano a fare i poser. L'inattualità di Milano è il suo sentirsi ancora una città che si interrompe fra le mura e il timore di sentirsi metropolitana fino in fondo. Una città che comprende gli immaginari di gente che spesso vive lontano da Milano, non può pensare di restare chiusa in un modello urbano così vecchio.

"Mivar": Nel 2012 è previsto lo switch-off definitivo da televisione analogica a digitale. Modernariato del desiderio. L'epica degli oggetti che trascende il loro utilizzo. E' paura del futuro?
C: Sì, forse paura di perdere del tutto quel valore d'uso legato agli oggetti e il prevalere del valore astratto dello scambio. Credo sia il dramma dei nostri tempi ma non si traduce in noi in un recupero nostalgico. La nostra sfiga è che non siamo neppure nostalgici e quindi nella nostalgia non troviamo rifugio e consolazione perché capiamo che il mondo in realtà è un grosso nostalgificio. Quindi soffriamo e basta. La Mivar è l'oggetto pop per eccellenza che popola tutte le case degli italiani del ceto medio basso, quei telecomandi intrisi di sporco fra i tasti dove il 4 si rompe sempre. Mio padre va tutt'ora in Mivar a fare incetta di telecomandi di riserva. Se abbiamo un'attitudine pop nel senso di popolare, la Mivar è l'Oggetto, l'elettrodomestico che ci rappresenta.

"Free Chupito in Regomir": Dov'è Regomir? Perché la nostra generazione ha tanto bisogno di dimenticare e lenire i sensi di colpa?
C: Carrer de Regomir è una via di Barcellona. Un PR mi ha piazzato in mano un volantino "free chupito in regomir". Ho deciso che era un titolo perfetto per qualcosa. Anche Donatella in quel periodo era stata a Barcellona.

D: Sulla Ramblas andavano in giro ragazzi che ti davano free drink/chupiti per i locali pubblicizzati. Se avevi fortuna te ne beccavi un sacco da tutti e alla fine eri storta senza spendere nulla. I chupiti sono il simbolo di una fase di riflusso politico e sociale. Free chupito è un po' l'ideologia del riflusso. Siamo talmente integrati in un sistema spettacolare che spesso il senso di colpa e di frustrazione proviene dal non aver compreso che la contrapposizione al sistema ti fa diventare un target nel momento stesso in cui la dichiari. La macchina ti ricicla prima con la dialettica e poi ti fa diventare un target di mercato.

"Cosa fai": "Com'è che tutti i tuoi amici sono una cosa ma ne fanno un'altra?" Da quale film avete preso questo dialogo? Siamo una generazione insoddisfatta e incapace d'essere quello che vorrebbe?
C: E' tratto da "Serpico". Non deve essere colto in chiave reazionaria "vai a lavorare anziché star lì a perder tempo". Il senso era quello di rappresentare e dar voce ad una contraddizione nella quale credo siamo tutti coinvolti, stretti tra le necessità della vita e la necessità di esprimere le proprie potenzialità creative. Credo che la soluzione passi necessariamente per un cambiamento di tipo politico, una ridefinizione del welfare. Oggi la creatività è diventata effettivamente un lavoro ma non si è liberata del meccanismo del salariato. Il lavoro creativo è spesso la stessa cosa che fare l'operaio. Quell'insoddisfazione che nasce dall'impossibilità di essere padroni fino in fondo della propria vita forse si supera prendendosi per quello che si fa. Meno proclami, meno manifestazioni di intenti (sono punk, sono dark, sono…). Facciamo 'ste robe qui: piccole cose fatte con molta serietà ma dalle quali non dipendono le sorti di nessuno e se possibile ricercando una coerenza fra tutti i pezzi di cose che si fanno.

Che lavoro fate?
C: Io lavoro con soddisfazione e gratificazione in una cooperativa sociale che si occupa di inserimenti lavorativi di persone svantaggiate. Mi occupo del trasporto dei disabili. Paolo è un biologo. Nello specifico si occupa di terapia genica. E' un luminare nel suo campo, lo chiamano il kakà dell'acidodesossiribonucleico. Donatella ha lavorato per molto tempoo in una ditta che confezionava cravatte. Ora fa un lavoro di tipo impiegatizio in una casa di moda (la Forester Creation di Beautiful, infatti la chiamano la Taylor della Brianza).

"Editing": I libri che più hanno delineato la vostra geografia e storia personale.
C: Non sono un grande divoratore di libri. Ho un rapporto con i libri in senso feticista: le copertine, i retro copertina e quello che c'è scritto dietro la copertina mi affascina e mi manda in corto circuito informativo. Editing descrive lo stato di uno che sta lì in Feltrinelli e contempla una copertina. I miei prefetiti sono: "Cattedrale" (R.Carver), "Woobinda" (A.Nove), "L'uomo senza qualità" (R. Musil).

P: "Meno di Zero" (B. E. Ellis), "Il Maestro e Margherita" (M. Bulgakov), "Fahrenheth 451" (R. Bradbury).

D: "Il martello degli dei" (D. Stephen, è una biografia dei Led Zeppelin), "Il sogno di Rimbaud" (P. Smith), "Abito di piume" (B. Yoshimoto).

"Edmundo": Chi è l'Edmundo della canzone? Di cosa parla "La guerra della fine del mondo"? Come è nata e perché la collaborazione con Daniele degli Offlaga Disco Pax per questo brano?
C: Il romanzo di Vargas Llosa racconta di un esercito di disperati del sertao, fuorilegge, devoti del buon Gesù, prostitute, malformati che fondano una comune e si contrappongono allo stato laico e repubblicano. E' un romanzo che apre mille contraddizioni e conflitti di parte, mi affascinava il coraggio dell'utopia reale, salvo poi pensare: forse questo coraggio si è già sprigionato ma ciò è avvenuto all'interno di un sistema economico che mercifica tutto, gli uomini stessi e li disumanizza perché li tratta alla stregua di risorse. Edmundo che giocava a beach volley a Bahia mentre la Fiorentina lottava per lo scudetto mi sembrava un immagine estremamente efficace. Molti attori del capitalismo contemporaneo agiscono così, deresponsabilizzati, senza alcun dovere di rendicontazione, forse loro sono i veri punk.

D: Ho conosciuto Daniele e lui la nostra musica tramite un'amica in comune. Si è innamorato di noi più che altro perchè gli ricordavamo gli Scisma. Ci siamo incontrati spesso durante le trasferte per i miei dj set e qualche volta abbiamo cenato insieme. E' una persona stupenda con la quale è nata una bella amicizia. Quando stavamo registrando "Edmundo" abbiamo pensato a lui come ospite d'onore. Ha composto una parte di piano capendo subito l'intenzione del pezzo. Al pezzo ha contribuito anche Burro con delle basi. Pensiamo che sia uno dei pezzi più riusciti del disco.

Avete inaugurato il tour promozionale per l'uscita di "Procurarsi Guanxi" qualche settimana fa alla Casa 139 di Milano. Come è andata?
P: Noi eravamo un po' tesi ma è andata molto bene, pubblico numeroso e caloroso. Daniele Carretti ci ha anche onorato delle sua presenza sul palco per suonare "Edmundo". Ora il tour proseguirà fino a dicembre in tutto il nord/centro Italia.

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L'articolo Fou - Milano, 02-11-2008 di Redazione è apparso su Rockit.it il 2008-11-17 00:00:00

COMMENTI (2)

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  • tiamoabbastanza16 anni faRispondi

    Sottoscrivo. Suono nei tiamoabbastanza e penso come un fou. Una maestranza trentenne. Spero di sentirvi presto

  • utente016 anni faRispondi

    grandissimi :)