Andrea Nardinocchi - È molto pop

Tutti ne parlavano ancor prima che fosse uscito il primo singolo. E non è solo colpa di Dargen Damico, anzi. Ecco l'intervista.

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Il pop, la musica ascoltata e quella che ci è entrata sotto pelle senza che ce ne accorgessimo, un enorme mash-up mnemonico. In mezzo a questo turbinio di pensieri Andrea Nardinocchi – giovane promessa del basket che poi ha preferito scegliere la musica – si mette a cantare. E quando canta stupisce, evoca, sorvola sul soul e derivati. Tutti ne parlavano ancor prima che fosse uscito il primo singolo. E non è solo colpa di Dargen Damico, anzi. L'intervista di Francesco Fusaro.

 

Qualche giorno fa non era nemmeno uscito negli store il tuo primo singolo ma eri già da settimane sulla bocca di tutti...
Sì, si era creata una situazione paradossale: tanti giudizi importanti in giro [Andrea era stato citato anche sulla web tv del Corriere della Sera, NdR] e io che ancora dovevo fare la mia prima mossa ufficiale...

Come mai secondo te? Voglio dire, a parte l'immediatezza di "Un posto per me", sei riuscito a darti una spiegazione al riguardo?
Ho fatto le mie analisi e osservando quello che sta succedendo sono arrivato a pensare questo: credo che stia colpendo il mio percorso che, per un cantante melodico e pop quale io mi considero, esula dalla strada oggi in uso in Italia, ovvero quella del reality show.

Avevi accarezzato quella possibilità?
Guarda, io ho un certo stile di canto e forse quella per me poteva essere una possibilità per proporre la mia musica. Considera tra l'altro che io non vedo il reality show musicale come il male; ci sono cose buone e cose cattive anche in quel contesto, un po' come dappertutto. Ma con un pugno di brani in mano già pronti ho pensato che forse fosse più coerente cercare di fare da me senza passare dalla televisione, che può essere un ingranaggio non facile da gestire che può schiacciarti, sia artisticamente che personalmente. Io, producendo da solo le mie cose, avevo la possibilità di presentare ad un'etichetta discografica un prodotto fatto e finito, che stava in piedi da solo. Credo che anche questo spieghi l'interesse intorno a me in questo momento, perché non sono molti i cantanti che hanno la pazienza di imparare ad usare un software musicale per poter provvedere da soli alla preparazione di un disco.

Come ti sei avvicinato al mondo della musica?
Ho iniziato per pura curiosità: ero in una fase di transizione perché stavo lasciando il mondo del basket, un mondo che è stato la mia vita fino ai diciotto/diciannove anni [Andrea è stato anche campione di basket freestyle all'età di diciotto anni NdR]. Non era la mia strada, avevo perso il divertimento nel giocare e mi stavo guardando attorno per capire cosa fare e mi sono ritrovato ad accarezzare l'idea di cantare seriamente. Dopo un periodo di studio proficuo presso una scuola di musica moderna ho lasciato perché cominciavo a non condividere più certe scelte didattiche; ho provato quindi con il Conservatorio jazz di Bologna ma anche lì non mi sono trovato particolarmente bene, quindi ho deciso di proseguire da solo con lo studio della musica, soprattutto per quanto riguarda la produzione con software musicali.

Nella cartella stampa si fanno diversi e disparati paragoni al tuo proposito: quali esempi musicali hai in mente? Quali sono i tuoi ascolti casalinghi?
Non mi sono mai veramente appassionato ad un genere o ad un artista in particolare, se si esclude un lungo periodo nella mia vita in cui ho ascoltato molto hip hop anche per una questione di coerenza stilistica con il mondo del basket, di cui ti dicevo. Sono sempre stato colpito da alcuni personaggi molto popolari e mi hanno sempre attratto le belle canzoni, quindi quando mi chiedono dei miei ascolti sono sempre un po' in difficoltà perché non sono certo nomi sconosciuti: ti potrei dire Michael Jackson che ballavo quando ero molto molto piccolo ma anche Jeff Buckley che con il suo disco "Grace" mi ha aperto nuove prospettive musicali. Ho ascoltato molto i Queen e i Dire Straits e quando ero bambino in macchina sentivo Mina e Celentano con i miei genitori. Tante cose diverse, insomma...

Direi un po' come tutti noi ascoltatori, bombardati costantemente da molte cose differenti...
Esattamente. Non sono certo un gran fruitore di musica ma mi ritrovo ad avere la testa piena di melodie anche quando non lo voglio. Tutta la musica che sentiamo, sia volontariamente che accidentalmente, diventa parte del nostro personale patrimonio musicale. Se dovessi fare un'autoanalisi, ti direi forse che in me ha influito di più la musica ascoltata accidentalmente.

Fra l'altro in rete gira proprio un mash up promozionale che hai fatto tu, "Love culture", dove la strumentale è fatta di tanti campionamenti musicali diversi, che sembra testimoniare quello che stiamo dicendo adesso...
Io parto da un presupposto che è dato per scontato ma che spesso si dimentica: è impossibile avere un'idea originale al 100%. È solo il modo in cui una cosa appare o viene presentata al pubblico che fa sì che quella cosa venga definitiva come "nuova". Le idee in realtà non sono altro che "upgrade" di cose che già esistono, perché inevitabilmente un'idea ha a che fare, entra in relazione, con il resto del mondo. Non avendo, come ti dicevo, nessun tipo di fastidio nei confronti di ciò che è molto pop, anzi, apprezzando ciò che è molto conosciuto dalla gente come un fattore di cui essere orgogliosi, ho pensato di presentarmi con questo collage di canzoni che ho amato particolarmente. Non escludo fra l'altro di fare ancora cose di questo tipo: mi piace l'idea di propormi in un certo senso come un compositore di cose che già esistono.

La questione del campionamento e della citazione continua ad essere spinosa e dibattuta e non soltanto in ambito musicale.
Ti posso fare un esempio molto banale: quando faccio un beat da zero, per fare una cassa o un rullante, sto comunque prendendo un campione da un'altra parte, quindi alla fine si tratta sempre dello stesso piccolo furto. Se uno lo fa dando ad intendere chiaramente quale sia l'opera dalla quale ha preso spunto diventa interessante perché si aprono molti collegamenti possibili.

Venendo invece al tuo incontro con Dargen D'Amico, che come te è un altro cantaproduttore [così si definisce lo stesso Andrea, NdA], visto che spesso ha firmato le strumentali sulle quali fa quel suo strano connubio fra rap e canzone d'autore: come vi siete conosciuti?
Tecnicamente Dargen rappresenta la mia etichetta, perché io esco per Giada Mesi - che è una creatura sua e di Francesco Gaudesi – con distribuzione Emi Music. Alla fine del 2010 avevo messo da parte un po' di provini sia in italiano che in inglese e li avevo fatti ascoltare ad un mio carissimo amico chitarrista di Palermo che vive a Londra. Lui ha sua volta li ha fatti ascoltare a Francesco e così mi sono ritrovato a pranzo a Bologna con Dargen e Gaudesi a parlare della possibilità di entrare a far parte del mamagement dell'agenzia Spaceship. Siamo partiti con questo progetto che deve molto al loro appoggio, soprattutto psicologico, visto che diversamente non so se sarei riuscito a rinchiudermi in casa per un anno a fare da produttore alle mie cose.

Hai già un album pronto?
In realtà questo progetto è stato fin da subito un work in progress senza una direzione predeterminata. Al momento, oltre al singolo, l'unica cosa sicura è che uscirà un ep in ottobre, ma ancora la data non è certa.

In un periodo di transizione così forte tu credi che sia ancora importante, per un percorso artistico in ambito musicale, affidarsi al formato album? O che ci siano altri modi di veicolare la propria musica?
Questa è una questione che mi pongo da un po'. Personalmente non ho mai afferrato appieno il discorso dell'album: a parte rari casi nati in contesti storici precisi – penso ad esempio ai Pink Floyd o ai Queen – faccio fatica a concepire le canzoni come collegate tra di loro. Credo che ogni canzone sia un mondo a sé stante. È certo vero che ci sono canzoni raggruppabili perché caratterizzate da atmosfere, da colori simili, però è difficile che questa sorta di "contenitore" che è l'album arrivi a funzionare per più sottoinsiemi. È anche il motivo per cui ritengo la distinzione ep/album piuttosto oziosa: l'ep è ormai diventato un minialbum e come tale riesce forse meglio dell'album a veicolare un certo umore, un certo periodo compositivo.

Hai in previsione un tour per la promozione del tuo singolo?
Il 25 settembre sarò al Forum di Assago per un concerto nel contesto del quarto compleanno di Hip Hop Tv. Per il momento non ci sono altre date fissate; aspettiamo di capire che cosa succederà in questi settimane con l'uscita del singolo e la programmazione in radio.

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L'articolo Andrea Nardinocchi - È molto pop di Francesco Fusaro è apparso su Rockit.it il 2012-09-04 00:00:00

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