La musica africana in tutta la sua energia, e ci vuole poco per mischiarla al grindcore. Secondo album e i Mombu continuano il loro percorso, definito un manifesto iniziale ora c'è bisogno che il loro personaggio prenda vita. Michele Montagano ha intervistato Luca Mai.
Partiamo dal principio. Come e quando Luca e Antonio hanno deciso di diventare Mombu? In seguito a quale rituale sciamanico o possessione demoniaca nacque quest'atipica creatura?
Era un momento in cui eravamo a “ riposo “ dalle rispettive band di appartenenza e cosi abbimo deciso di mettere a frutto un po' di idee che avevamo a riguardo di un possibile progetto insieme. Siccome ci eravamo già conosciuti precedentemente con il progetto Udus e ci eravamo trovati bene abbiamo deciso di replicare con alcune eccezioni. La prima era che non dovevamo richiamare musicalmente né gli Zu né i Neo, non dovevamo essere simili ai gruppi impro anni '70 e dovevamo seguire solo lo spirito che ci aveva folgorato sulla strada dell'afro grind .
Perchè proprio questa fascinazione per l'atavico e il tribale?
Mi è sempre piaciuto mischiare generi che apparentemente non hanno nulla in comune ma che poi hanno un energia simile. Quando iniziai a sunare lo stimolo che ebbi fu il fatto che ascoltavo il free jazz e il grind e che trovassi lo stesso tipo di energia espressa con modalità differenti. Lo stesso è avvenuto con la musica percussiva africana e il grind. Diciamo che si è estremizzato il discorso, ma siamo sempre rimasti nei paraggi di questo tipo di idee. Non abbiamo le chitarre tranne che in due pezzi, ma è l'attitudine e l'energia che cerchiamo di tirare fuori .
Cosa diamo tutti per scontato dell'arte africana e in realtà davvero pochi di noi conoscono?
Penso tutto. Noi cerchiamo di attingere con il massimo scrupolo e studiando la materia di modo che quello che facciamo non venga percepito come clichè .
L'originalità e la forza del progetto Mombu sta nella riuscita sintesi dell'etnico, il tribale con il metal e il grind, generi chiaramente più fruibili e massificati. Avete dei modelli ai quali vi siete ispirati? Il primo esempio che mi viene in mente potrebbe essere Roots dei Sepultura...
In realtà è partito tutto dagli Slipknot. Nel gruppo hanno dei “percussionisti” e il fatto di aver pensato, ascoltando i loro pezzi con alcuni stacchi percussivi, “ma perché non hanno messo un ostinato africano?“ , ha aperto un mondo nella direzione dell' afro grind. Siamo influenzati da tutto, ma lo filtriamo attraverso il nostro modo di sentire le cose. Certo vedere i Sepultura suonare live con 12 percussionisti non può che ispirare, ma la differenza sostanziale è che per loro la percussione è “colore” mentre noi basiamo tutto sulla puslazione e il ritmo facendo diventare la percussione primaria .
Recentemente avete partecipato al secondo volume dell'iniziativa In the Kennel con SpaccaMombu. Vi va di parlarne?
Spaccamombu è un gran bel progetto. Dobbiamo ringraziare Francesco Alloa il boss della Goat Man Records se abbiamo avuto la possibilità di incontrarci con Paolo Spaccamonti. In una discussione prima delle registrazioni del secondo volume di "In the Kennel" è venuta fuori una passione comune e malata per i Black Sabbath. In quel momento abbiamo capito in che direzione dovevamo cercare. Da li è nato un disco che unisce I Sabbath, Sun Ra, percussioni africane tutto ovviamente riletto in chiave Spaccamombu .
Se consideriamo l'esordio di Mombu come una sorta di manifesto della vostra personalissima estetica afro-grind, con "Niger" l'impressione che si ha è di trovarsi davanti un lavoro meno lineare ed aperto a collaborazioni esterne. Sbaglio?
A volte gli ospiti distolgono alle orecchie di chi ascolta l'attenzione dal lavoro generale. Sembra quasi che non se ne possa fare a meno. Essendo il secondo disco volevamo ribadire il concetto in maniera molto più diretta e che ciò che abbiamo registrato si potesse ascoltare dal vivo tale e quale.
La copertina di Niger, a cura di Stonino Drone Bosco, già bassista di Zippo e Santo Niente, sembra abbandonare un linea più minimalista che vi aveva presentato in passato. Quanto conta l'immagine in un progetto musicale secondo voi?
L'idea era quella di riprendere l'artwork dei pittori del Ghana legato ai film che arrivavano in quella terra. Siccome non gli spedivano le locandine per pubblicizzare i film, venivano assunti alcuni pittori per farle. Quello che facevano erano quadri a olio, nessuna stampa. Stonino ha fatto una cosa simile, ovvero un quadro ad olio che ha reso Mombu tridimensionale, è come se ci avesse dato vita. L'artwork del primo album e il remix erano una specie di "manifesto”, definito i punti cardine iniziali il passo successivo era far "prendere vita" al progetto.
Raccontateci di come si sviluppa un vostro live. Che tipo di pubblico trovate ai vostri concerti?
Quando suoniamo, sia davanti a 10 che a 300 persone diamo sempre il massimo. Non stiamo li a ricamare o bearci su un bel passaggio e andiamo “dritto per dritto” come dice un noto anchor man, perchè riteniamo che abbiamo a che fare più con materia spirituale che con l'arte.
Ultima domanda, la classica: progetti futuri? Siete decisamente molto attivi ed eclettici. Quali sono le idee nuove alle quali state lavorando sia insieme che parallelamente?
Insieme stiamo lavorando a delle collaborazioni che si concretizzeranno per il prossimo anno. Una è con i Cripple Bastards e un'altra è con Giampaolo Felici il cantante delgi Ardecore, poi stiamo preparando dei beat per Lero aka Shuriken.
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L'articolo Mombu - Ostinato africano di Michele Montagano è apparso su Rockit.it il 2013-07-23 15:03:54
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