Dopo "Per amor del cielo", Bobo Rondelli è tornato con un nuovo disco. Intimo, acustico, d'amore. L'abbiamo chiamato per farcelo raccontare e, tra una galleria e l'altra, abbiamo scoperto quanto sia importante collezionare eleganti disastri. L'intervista di Marco Villa. Foto di Serena Mennichelli.
Partiamo dal disco nuovo. Se "Per amor del cielo" poteva anche essere una sbandata momentanea per certi suoni acustici, "L'ora dell'ormai" fa capire che questa probabilmente è la tua nuova strada. È così?
Il fatto è che gli amplificatori elettrici pesano, si guastano e non ho più voglia di caricarli e scaricarli. Suonare in acustico è più semplice e anche stradaiolo. Rinunciare all'elettricità mi ha permesso di dare spazio a musicisti eccezionali che suonano il sax e il violino. Se hai un grande amico che suona l'oboe, trovi il modo per infilare l'oboe nelle tue canzoni. Sono convinto che la musica sia principalmente amicizia: la musica cresce dallo stare insieme e dall'aiutarsi per arrivare alla mesata. Perché non bisogna dimenticarsi che in "Walk on the wild side" dei Velvet Underground c'è un doppio contrabbasso solo per permettere al turnista di essere pagato per un doppio turno.
Quindi basta chitarra elettrica?
Ogni tanto la riprendo ancora in mano, un po' di nascosto.
Come è cambiato il modo di affrontare i concerti e il pubblico?
È una cosa che è venuta naturale. Avendo per casa due bambini piccoli, mi ero abituato da parecchio a suonare in modo più tranquillo. Sono stato un po' costretto, ma è andata comunque bene. Un po' come accadde a West Montgomery, che iniziò a suonare con il pollice e non con il plettro perché la moglie e i vicini non volevano essere disturbati. Poi, cantando in italiano, il mandolino acustico è più bello della chitarra elettrica. La tradizione è quella: non c'è stato, come in America, un passaggio dal blues acustico a quello elettrico. Con Modugno siamo rimasti al blues acustico.
Nel disco ci sono due grandi temi: le donne e Livorno. Alle prime hai dedicato un po' tutto l'album, mentre la tua città ritorna comunque più di una volta. Perché Livorno è così importante per te?
Visto che l'hai detto tu, ti rispondo che finché a Livorno ci sono le donne, mi viene naturale cantarla. Credo che c'entri con il bisogno di inserire il proprio luogo di provenienza: mi piace che la gente della mia città, della mia comunità, possa rispecchiarsi in modo più diretto in un brano, nominando il luogo in cui abita. E poi per me è un po' un marchio di fabbrica. Ho voluto anche fare un omaggio a Giorgio Caproni, che per noi livornesi è un motivo d'orgoglio. Ho preso due sue poesie, ho chiesto il permesso e le ho usate. La prima è "A Rina" e l'ho cantata per intero ("Senza di te un albero / non sarebbe più un albero. / Nulla senza di te / sarebbe quello che è"), la seconda è "Ultima preghiera" e ne ho cantato solo un frammento, che è diventato il ritornello de "L'albero" (" Anima mia, fa' in fretta. / Ti presto la bicicletta, / ma corri. E con la gente / (ti prego, sii prudente) / non ti fermare a parlare / smettendo di pedalare / Arriverai a Livorno / Vedrai prima di giorno").
Non sapevo che fossero di Caproni quelle parole, ero convinto anzi che ti fossi ispirato a Rodari, visto che avevi pescato tra le sue poesie per un pezzo di "Per amor del cielo".
Probabilmente l'ho scelta anche per questo, perché mi ricordava Rodari. Hanno lo stesso stampo filastrocchesco.
Quindi ti piace andare a cercare parole dei poeti?
A volte è bello essere pigri, avere altre cose da fare, cose migliori che scrivere canzoni. E poi è proprio bello dare modo a dei poeti di essere conosciuti anche attraverso una canzonetta. Magari un giovane ascolta una mia canzone e scopre Caproni. È importante, perché i poeti possono cambiare la vita, le canzonette no. È anche per questo che sono andato a cercare Franco Loi: è una specie di guru occidentale, un capo tribù anziano e sono contento di avergli fatto leggere una poesia all'interno del disco.
L'intervento di Franco Loi è straniante: da milanese è stata davvero una sorpresa sentire all'improvviso il dialetto - appunto - milanese
Ho inserito la sua voce anche per uscire un po' da Livorno. E poi il modo in cui recita in dialetto è molto bello, ha un suono quasi sudamericano. La sua poesia è piena di vezzeggiativi e il suo dialetto è una lingua per anime dolci, naif.
A proposito di uscire da Livorno: nel documentario che Paolo Virzì ha girato con te e su di te ("L'uomo che aveva picchiato la testa", 2009), si vede chiaramente che i livornesi ti vogliono davvero tanto bene. Alcuni tuoi concittadini musicisti, però, hanno detto che questo affetto è stato un po' una gabbia per te, che ti ha impedito di diventare più conosciuto anche fuori dalla città. Cosa ne pensi?
In parte è vero, però credo che spesso sia la situazione discografica in sé che proprio non ti fa uscire. In Italia c'è un pubblico che gradisce questo tipo di musica e che potrebbe anche gradire quello che faccio io, ma è troppo complicato riuscire a raggiungere quel pubblico. Sono giri strani, spesso segnati da raccomandazioni.
Il pezzo che dà il titolo al disco è l'ultimo della scaletta e parla di "quando è l'ora dell'ormai troppo tardi". Ovvero di quando ci si rende conto che si è perso qualcosa, che qualcosa è sfuggito. Invece di disperarsi, però, si reagisce con un "chi se ne frega".
L'importante è trarre godimento anche dall'ora dell'ormai. Quando soffri pene d'amore, stai male, ma poi l'amore riparte. E allora un tramonto è tutto tuo, le canzoni più belle sono per te, gli animali che si avvicinano sono più dolci. Una volta ho trovato un cane abbandonato da una canina. Era distrutto e si faceva portare dappertutto. Io lo presi e lo diedi a qualcuno. Poi, di ritorno da un viaggio, lo trovai che era ritornato con la canina. A volte va anche così. L'amore porta malinconia, dolcezza e dolore e il dolore in amore è comunque un bel viaggio, anche se quando ci si è dentro è davvero tosta. Ultimamente ogni tanto ho deciso di firmarmi Bobenhauer perché scrivo delle cose un po' filosofiche. Ti leggo l'ultima che mi sono segnato: per sfiorare la gioia occorrono collezioni di eleganti disastri. Per un cantante, poi, gli abbandoni sentimentali sono un avvicinamento al lupo mannaro che ulula nella notte. Il canto migliora. Nella voce di Otis Redding si sente tutta la sofferenza che ha vissuto lui, la sua famiglia e la sua gente.
Negli anni hai fatto qualche comparsata come attore e poi hai anche "doppiato" Mastroianni in uno spot. Ti piace vederti come attore?
Penso sarei bravo a fare il caratterista. Parlare ha comunque una musicalità e facendo musica sono comunque più portato a giocare con i suoni e a fare imitazioni. A trasformarmi in un animale. Sul fatto di essere attore, vorrei citare una frase di Diderot, per il quale un attore deve essere una persona insensibile. Solo se si è insensibili si riesce a essere bravi attori. Un attore deve aggredire, essere prorompente. Se invece cerchi la poesia, di solito hai un tono dimesso rispetto alla vita, hai paura anche a calpestare l'erba.
Se pensi a com'era quando hai iniziato e a come è oggi, qual è la prima cosa che ti viene in mente su come è cambiata la musica in Italia?
Quando ho cominciato, c'era più possibilità di suonare musica propria dal vivo. In realtà la musica la fa il pubblico, che dà energia. Per questo la musica va vissuta insieme, perché la musica in solitudine si perde. Dover suonare cover nei bar è un po' triste e così facendo non si educa più all'ascolto, allo stare insieme. Manca la spontaneità nel fare musica nei posti, anche se poi qualcosa riparte. Riparte sempre. Quello che non mi piace è che si arriva a conoscere un gruppo solo se c'è alle spalle un lavoro di produzione industriale. Una volta si partiva di più dalla propria casetta: io sono partito dalla gente e poi un discografico, quello dei Litfiba (Albero Pirelli, NdR) è venuto a cercarmi perché mi ero fatto notare, anche per delle provocazioni. In generale, però ci sono meno spazi. Ed è strano, perché i ragazzi che suonano sono molto più bravi rispetto a una volta. Forse anche perché c'è più tempo per dedicarsi alla musica, per via della disoccupazione e del fatto che la gente lavora meno. O forse anche perché gli strumenti cinesi costano meno. Una volta ci voleva anche una mesata di lavoro per comprarne uno strumento.
Per chiudere, tornerei su Livorno. Da dove arriva "Vista da un cieco, stanotte Livorno è bellissima" di "Livorno Nocturne"?
È una poesia di Dimitri Grechi Espinoza, che suona il sax con me. È naif, non ha pretese poetiche. È una di quelle poesie-antipoesie che sono più che altro dichiarazioni di stati d'animo, anche pessimisti, ma chi se ne frega. A volte è bello sentirti tristi, malinconici. La poesia mi ricorda una vecchia barzelletta: il colmo per un cieco è andare a vedere film muto. Qui è diverso, ma non tanto, perché Livorno la puoi odorare: se mi bendano e mi portano in certi posti, io Livorno la so riconoscere. Ho deciso di mettere la poesia nel disco dopo aver incontrato per caso un attore non vedente, che pensava fosse mia e mi fece i complimenti: dopo averla ascoltata si era messo a ridere e si era commosso. Allora ho deciso di inserirla nel disco. A volte le cose succedono così, semplicemente perché ti capita un incontro. Credo che sia la forza del caso.
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L'articolo Bobo Rondelli - Musica per anime dolci di Marco Villa è apparso su Rockit.it il 2011-11-07 00:00:00
COMMENTI (4)
Quest'intervista e'...un'intervista.
Le altre che ho letto..intendo quella tra Bugo(?)e Giorello(!?!)..non sono riuscito a completarne la lettura..meno male che esiste il Loperamide..
grandissimo Rondelli
belle le domande, ancor più belle le risposte.
comprate il disco di Bobo, merita davvero e non ve ne pentirete.
e venite a vederlo dal vivo, è uno sssspettacolo!!!!!!!!!
intervista molto bella. complimenti.