Come le cose più belle, stateci attenti o rischiate di perdervele. In questa settimana di ritorni pesantissimi tanto per l'indie quanto per il rap italiano, c'è un disco che colpisce per la quieta grazia con cui si presenta. Pure la copertina sembra suggerirlo, con questo volto sfocato in mezzo alle sfumature rosa. Si chiama Selva e porta la firma di Marta Del Grandi, cantautrice e musicista milanese che ha vissuto diversi anni in Belgio prima e in Nepal(!) poi. Da qualche tempo Marta è ritornata a Milano, dove il grosso di questo album ha preso forma: 12 tracce molto varie tra di loro, come tutta la commistione di vite diverse che animano il sottobosco, qua declinate in una forma tra l'indie folk e l'avant pop che trova nella sua voce un filo rosso delicato e tenace al tempo stesso. Ci è piaciuto, parecchio, come era successo con il suo esordio solista del 2021, Until We Fossilize.
Tra qualche giorno Marta porterà le sue canzoni dal vivo in un contesto speciale, ossia quello del Dr. Martens Fest 2023 presented by MI AMI, il prossimo 28 ottobre all'Ex Macello di Milano (trovate qua i biglietti). Sul palco però non ci sarà nessuno ad accompagnarla, ma lei da sola, per un momento di raccoglimento che ci porterà all'essenza pura dei suoi brani. Sarà speciale, sarà unico. Per questo abbiamo preso il telefono e l'abbiamo chiamata per una chiacchiera.
Dove sei adesso?
Sono nella mia casa, nella zona sud di Milano, la stessa dove sono cresciuta. Con la pandemia mi sono ritrovata un po' per caso bloccata in Italia, ma avevo già in programma di rientrare dopo 3 anni a Kathamandu, un posto inquinatissimo. Anche se Milano ultimamente non è messa benissimo da quel punto di vista...
Com'è stato tornare per te, così abituata a vivere lontano? Riconosci la Milano che avevi lasciato?
Io sono andata via nel 2012, non erano gli anni migliori di Milano. Per me era il momento giusto per andarmene, l'opportunità è stata fare l'Erasmus con il Conservatorio e così sono finita in Belgio. Milano non era la città che è adesso, c’è stato un cambiamento netto, mi ha colpito trovare molte più aree verdi da vivere. Poi possiamo parlare di quanto manchino spazi di aggregazione per creare una comunità, però quello è un aspetto che mi ha sorpreso. In generale comunque la trovo una città molto difficile.
È da qua che sei partita per scrivere Selva?
Il disco raccoglie qualche brano che avevo voluto mettere via e che poi ho ripescato, per il resto sono tutte canzoni che ho scritto negli ultimi due anni, nei ritagli di tempo. Ho suonato tanto in giro, per fortuna, quindi quando avevo un attimo libero lo sfruttavo per dedicarlo al disco. Poi nei miei dischi non seguo mai un’idea concettuale, il titolo non è dettato dal fattore boschivo, ma perché indica un insieme eterogeneo di elementi. Anche la canzone omonima è nata dopo, inizialmente come traccia strumentale, poi ci ho scritto questo verso in italiano sopra come se fosse un piccolo haiku, ma con una metrica mia.
In effetti ti muovi parecchio, mentre nel disco c'è un brano che si chiama Stay, in cui chiedi a una persona di starti accanto. Quanto è difficile farlo?
Quella è una delle canzoni più vecchie del disco, quando suonavo in un altro progetto che si chiamava Marta Rosa. Poi mi sono spostata in Nepal, ma quella canzone mi è sempre piaciuta ed è rimasta con me e l'abbiamo recuperata prima come singolo nel 2022, poi in questa versione riadattata. Però sì, è parecchio difficile starmi vicino per quanto mi sposto (ride, ndr).
Anche Marble Season è una canzone che arriva da più lontano. Com'è nata?
Vivevo in Nepal ed era un periodo particolare: da un paio di anni che non scrivevo non canzoni, mi ero presa una pausa, fare l’artista indipendente è tosta, lavoravo come curatrice/promoter. A spingermi a scrivere questa canzone è stata la fine di un’amicizia con una persona con cui ero molto affiatata. Ho proprio percepito che fossimo arrivati a un punto di non ritorno, qualcosa che non si potesse più aggiustare questa volta, infatti non l'ho più sentita, ed è stato qualcosa di difficile da accettare. Circa nello stesso periodo è successo che il mio cane si è messo a litigare con un altro, io mi sono messa in mezzo per dividerli e lui mi ha dato un morso. Non mi ha fatto niente di particolare, ma è stato uno shock. E poi era la stagione dei monsoni, non la smetteva di piovere. A quel punto ero arrivata a un livello quasi di estraneazione, il pezzo era un modo per ammettere di doversi ritirare da tutto e da tutti.
Dicevamo prima di quanto sei abituata a viaggiare: quindi non sei molto casalinga?
In realtà ho una natura un po' eremetica, se non ci sto attenta potrei stare a casa anche un mese senza problemi. Poi non succede, ovviamente, però per spingermi a uscire di più cerco di sempre attenta a quello che succede nelle scene musicali che seguo, vado volentieri ai concerti, in generale mi impegno per ascoltare musica nuova, almeno di quella che potrebbe piacermi.
Ci sono dei dischi recenti che hanno ispirato Selva?
Be', ci sono tante influenze, anche inconsce magari, però durante le session di registrazione avevo dato dei riferimenti ai musicisti in studio con me. In particolare avevo portato quattro dischi: Apocalypse, Girl di Jenny Hval, che in realtà è di qualche anno fa, però lei è una delle mie cantautrici preferite, l'ispirazione qua era più d'approccio, nel cogliere la sua libertà di composizione; ¡Ay! di Lucrecia Dalt, uscito l'anno scorso; Gold di Alabaster DePlume, che ha degli arrangiamenti bellissimi ricchi di strumenti acustici; e poi un disco italiano pubblicato dall'etichetta Maple Death, Alto//Piano di Everest Magma, che ha un songwriting molto particolare, ero andata totalmente in fissa.
Una delle cose più belle di Selva è proprio la sua natura così varia nei suoni. Al Dr. Martens Fest invece porti un set che sarà molto diverso da quello del disco. Cosa dobbiamo aspettarci?
Nel disco precedente, Until We Fossilize, se togli gli archi rimaniamo io e la mia chitarra, e così saremo sul palco. Quello che voglio fare è ricavare una dimensione molto raccolta con le mie canzoni, lavorare solo sul suono e rimanere il più vicino possibile al pubblico, entrarci in contatto. Io quando suono la chitarra faccio un fingerpicking molto essenziale, quindi sarà proprio intimo, alcuni brani li farò solo cantati senza accompagnamento. Anche guardando la line up, ci sono un sacco di act molto vari tra loro, quindi ho pensato che fosse bello portare qualcosa di etereo, diverso da tutto il resto.
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L'articolo Nel bosco di voci di Marta Del Grandi di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2023-10-20 16:17:00
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