Ogni giorno la vita di ciascuno di noi incrocia decine di altre vite. Questi attraversamenti di esistenze possono essere più o meno intensi, e suscitare una gamma di reazioni che va dall’indifferenza allo struggimento. Dipende da noi, dalla nostra predisposizione, e dalla potenza delle storie e delle anime altrui. Quella di Nicol Castagna mi ha turbato, indotto pensieri e posto interrogativi. Credo che sia qualcosa di molto prezioso.
Sarà che ultimamente ho la pretesa di provare a capire tutto quello che posso di una generazione, gli attuali 20enni o giù di lì, che anagraficamente non mi è così distante, ma che sento aliena e inafferrabile. Per tanto affascinante. Sarà che da qualche tempo – credo dopo aver visto un documentario su Lil Peep su Netflix – ho maturato una specie di teoria secondo cui i vari Lil Peep, XXXTentacion e Mac Miller siano i Kurt Cobain, i Jimi e i Jim Morrison dei tempi recenti, le menti più luccicanti e ingombranti di una generazione che, per via di questi tempi troppo accelerati, si brucia ancora più in fretta di quella precedente, e i 27 li vede forse col binocolo.
Mi sono chiesto che pensare di Nicol, quanto stessi capendo veramente di lei e quanto le stessi proiettando addosso le mie idee sul mondo. Mi sono chiesto se io, col mio lavoro, potessi esserle d’aiuto, o arrecarle ancora più danni di quanti lei ne abbia fatti a se stessa. E mi sono chiesto se il solo pensiero di doverla o poterla aiutare facesse di me uno stronzo e un arrogante. Nicol mi ha messo in crisi, per questo la ringrazio.
Nicol viene da Vicenza e nella vita fa la cantautrice – “non mi piace dire rapper, sto cercando di costruire un genere attorno a me” –, è nata nel 1999. A 20 anni, nel 2019, aveva pubblicato un Ep di quattro brani cantato in inglese chiamato S, seguito da altri tre brani in italiano. Allora si faceva chiamare Sadpup.
Qualche mese fa è uscita Ritornerai, canzone pubblicata come Nicol, il suo nome di battesimo. Prodotta da Sedd e Bias, già al lavoro con la concittadina Madame – di tre anni più giovane –, è uscita per Hokuto Empire, etichetta di Francesco Facchinetti. Il brano parla di un amore finito per eccesso di cazzate ed è allo stesso tempo amaro e dolce come solo un tardo-adolescente sa essere. Un pezzo emotivo, che sotto le sonorità trap e un approccio parecchio emo cela capacità e istinto d’autore.
Pochi giorni fa ecco Satellite. Una produzione più elettronica – realizzata a quattro mani da Francesco “Katoo” Catitti (Mahmood, MamboLosco e Boro Boro, Tommaso Paradiso) e kariiim28 –, un brano notturno e altrettanto ricco di significanti.
Ciao Nicol, dove vivi?
A Valdagno, un paesino vicino Vicenza, con mia mamma e i miei due fratelli affidatari.
Cosa fai, oltre alla musica?
In questo momento faccio la musicista. Mi mancavano tre mesi a finire il liceo, indirizzo economico, ma non ho finito e al momento sento che non è quello che mi serve. Non ho energie infinite, oggi le voglio usare per le canzoni.
Qual è il tuo primo ricordo musicale?
Ho un ricordo indelebile di quando i miei ascoltavano Another Brick in the Wall, era la versione originale e ogni volta che partiva il rumore dell’elicottero impazzivo. Ero solo una bimba, ma quel suono mi muoveva qualcosa. Così scendevo dalla mia camera e andavo in sala, per star più vicino alla canzone.
Quando hai cominciato a suonare?
A cinque anni mi sono fatta comprare una chitarra e per un anno ho frequentato una scuola di musica, ma seguire le lezioni non è mai stato il mio forte. Ho ripreso a suonarla e 16 anni, nel pieno nella fase teenager. Che oggi spero tanto di poter considerare definitivamente terminata.
Come nascono le prime cose tue?
Sempre verso i 16 anni ho capito che avevo bisogno di scrivere cose mie, di esprimermi. All’inizio non pensavo di condividere le cose con gli altri, anzi usavo la musica per rinchiudermi in me stessa, ma col tempo sono cambiata. Le prime cose che ho fatto erano in inglese, mi facevo chiamare Sadpup. Tutti dicevano che somigliavo a Lana Del Rey, io in realtà volevo fare cose che fossero solo mie.
Ci sono offese peggiori di Lana Del Rey...
Ma certo, per altro l’ho sempre ascoltata e amata. È che ho sempre avuto influenze e ascolti vari, per quello mi dà fastidio l’idea di essere etichetta e incasellata.
Cosa ascolti?
Ho sempre ascoltato quello che non ascoltavano gli altri. La mia band preferita sono i The Neighbourhood, che sono californiani. Adoro Billie Eilish, che ascolto da quando ha fatto Ocean Eyes a 16 anni, e poi Tash Sultana, Jamie xx. Poi è arrivato il rap grazie a Tyler the Creator, ASAP Rocky e Kanye. Ah, e Lucio Dalla. Lui sempre.
Mi sai che non sei pronta al fatto che tutti diranno che sei la nuova Madame…
Penso che sia un po’ inevitabile: veniamo dalla stessa città e quelle che fanno musica urban al femminile in Italia, a differenza degli uomini, si contano sulle dita di una mano. Con Francesca ho un ottimo rapporto: frequentiamo lo stesso studio ed è stata lei tra le prime a notare le mie cose.
Com’è successo?
Aveva trovato online le mie canzoni in inglese e mi ha scritto. È stata lei a farmi incontrare con Bias, il mio producer, che già lavorava con lei. Per conoscerci meglio siamo andati assieme a Padova a un concerto di M¥SS KETA. Senza rendercene conto, abbiamo fatto tardi e quando siamo arrivati al parcheggio era chiuso. Siamo rimasti in auto a parlare tutta la notte, aspettando che tirassero su la sbarra. È iniziato tutto così.
Perché il passaggio all’italiano?
Già come Sadpup avevo fatto cose in italiano, il mio primo pezzo nella nostra lingua si chiamava Vita sintetica. Ho deciso di cambiare quando ho sentito forte il bisogno di fare arrivare prima e a più gente possibile il mio messaggio, la mia storia.
È per lo stesso motivo che hai deciso di chiamarti con il tuo vero nome?
Direi di sì. A un certo punto è come se fosse scattato un clic. Ero in studio da Bias e non volevo fare nulla, ero devastata emotivamente. A un certo punto mi è scattato qualcosa e mi sono detta “basta chiudersi, butta fuori quello che hai: magari può essere utile a te e pure agli altri”. E così ho registrato tutto in una volta Ritornerai, che è un pezzo che per me significa davvero molto.
Che valore ha per te?
Ho scritto quel brano la scorsa estate, una sera che ero tornata a casa distrutta da una festa in cui avevo litigato con una persona che frequentavo. Avevo sbagliato io e lo sapevo bene: anche se ero consapevole del fatto che avevo rovinato tutto, volevo comunque esprimere le mie emozioni. Farlo attraverso la musica.
È tornata quella persona?
No. E va bene così, gli errori nella vita si pagano.
Già che ci siamo, Satellite cosa racconta?
In quel pezzo vorrei spiegare che ci sono viaggi che bisogna fare per forza da soli. E che evadere è fondamentale – soprattutto di questi tempi –, se si vuole raggiungere una consapevolezza. Volevo un brano che spedisse tutto nello Spazio.
Com’è stare nella testa di Nicol?
Non è mai stato semplice, ma è sempre stato emozionante. Con la musica voglio fare delle confidenze, spogliarmi di un pezzo di me per volta. La mia è la storia di chi ha toccato il fondo. Per questo Nicol non è chi deve farcela, chi deve raggiungere soldi e successo con la musica. Io ce l’ho già fatta: quando non vive ma sopravvive, quando vuole farla finita, ha già combattuto la battaglia più dura che ci sia.
Parli di te in terza persona: stai prendendo le distanze da te stessa?
Nicol è da sottoterra fino a sopra il cielo. È chi mi ha fatto male e allo stesso tempo è chi voglio essere. Siamo la persona con cui dobbiamo convivere in ogni momento: la vita è solo una questione di equilibrio con se stessi, il resto è nulla.
Quando hai capito che le cose non andavano?
È stato un crescendo. Più passava il tempo e più capivo di essere triste: avevo creato un mio mondo in cui rinchiudermi, ed era un mondo parecchio buio. Ho capito di essere depressa attorno al 2016, da allora sto affrontando un percorso molto doloroso. Ho passato anni a non interagire con nessuno, per questo ora l’unica cosa che voglio è connettermi con le persone: devo recuperare il tempo perduto.
Come sei finita nel buco?
Sicuramente il carattere e poi le cose che succedono nella vita, cose che capitano a tutti ma che ognuno vive a modo suo. Problemi in famiglia, problemi a scuola. Da adolescenti è tutto più difficile. La nostra generazione, poi, è molto sensibile e tende a fare cose esagerate. Un grosso pregio e allo stesso tempo un enorme difetto.
Cosa provavi?
Ansia per tutto, principalmente. Stare in mezzo alle persone mi faceva stare male, andare a scuola e relazionarmi con i compagni mi faceva stare male. Non mi sentivo mai capita: quando mia mamma mi chiedeva cosa volessi a pranzo mi innervosivo, pensavo “io sto male e lei pensa al ragù?!”. Ovviamente non era colpa degli altri: stavo male con me stessa e quindi con gli altri. Quando ho accumulato troppo, ho sentito l’esigenza di estraniarmi da quella realtà. E ho complicato le cose: le dipendenze sembrano una via d’uscita, invece ti danno un calcione e ti affossano ancora di più.
Quando hai iniziato ad avere problemi di tossicodipendenza?
A 17 anni non avevo più pace. All’inizio prendevo le goccine: ho cercato su Internet “rimedi contro l’ansia” , ho cominciato in quel modo. Poi sono passata agli psicofarmaci, senza prescrizioni né nulla, infine droghe ancora più pesanti. Se all’inizio le prendevo e uscivo di casa, andavo a qualche serata techno o cose così, più passava il tempo e più mi servivano solo per isolarmi. Soprattutto da me stessa.
Cosa spinge una ragazza di 18 anni a volerla fare finita?
L’idea che ormai tutto sia inutile, che sei solo una delusione per chi vorrebbe salvarti. Pensarlo non è così difficile, è passare all’azione che è complicato.
Tu cosa hai fatto?
Ho provato a uccidermi con le sostanze. Non è stato un grido d’aiuto, o cose del genere. Ero convinta che sarebbe successo e quando mi sono risvegliata ho pianto: “un altro fallimento”, ho pensato.
Che è successo a quel punto?
Dopo il ricovero in ospedale, mi hanno mandato in comunità. È allora che ho mollato la scuola. A quel punto avevo due problemi da risolvere: le droghe e la mia testa, ed era chiaro quale fosse il più grave. In comunità ho riprovato a farla finita e mi hanno allontanato.
Quando è arriva la "luce"?
Dopo un paio di mesi nel letto, senza vedere nessuno e quasi senza mangiare, ho deciso di andare un periodo da mio padre, che vive in un’altra città. Sono finita in uno di quei corsi di life coaching, dove ci sono persone che ti insegnano a vivere. Stavo male solo all’idea, pensavo fossero una setta o cose così, però ho accettato. Lì è scattato qualcosa in me: un giorno, dopo aver ascoltato tanto gli altri parlare, ho deciso di raccontare la mia storia davanti a tutti. C’erano 200 persone.
Perché l’hai fatto?
Non voglio parlare di illuminazione, ma ho provato una sensazione del genere. Ho semplicemente deciso che volevo provarci. E siccome i miei mi hanno insegnato che quando prendi un impegno è bene farlo con dei “testimoni”, se no poi è troppo facile non rispettarlo, ho parlato. Ho detto che volevo vivere. In poco tempo tutto si è allineato: sono tornata a Vicenza, mi sono messa a fare musica e ora sto parlando con te.
Come stai oggi?
Molto più in equilibrio. Ho alti e bassi, soffro e piango, ma sento di potere affrontare ciò che mi accade. Perché ora io e me stessa siamo dalla stessa parte e non più contro.
Hai ancora bisogno d’aiuto?
Sì, ma ora aiuterò me stessa attraverso gli altri. Quello che mi danno coloro che mi ascoltano mi aiuta molto. Non voglio fare la psicologa o dire a qualcuno come si affronta la vita, voglio raccontare il mio dolore per insegnare che tutto si può affrontare.
Perché mi hai raccontato tutte queste cose, la droga, il suicidio?
Perché ci sono troppi tabù, tante cose che andrebbero normalizzate e rese meno difficili da affrontare. Sento il dovere di rinunciare alla mia privacy per dare una mano. Se parlassi in modo indiretto, per metafore, il messaggio non arriverebbe allo stesso modo. Voglio portare la mia verità, e nella verità c’e il bene come il male. E il male è quello che mi ha portato ora al bene. Con la musica, e con questa intervista, voglio ripetere il percorso che ho fatto come persona, per quanto ricordare e condividere possa fare male.
Allora io pubblico…
Vai, vediamo che succede.
Aggiornamento del 28 ottobre 2021: Nicol è una delle concorrenti di Amici 2021, il talent di Canale 5 condotto da Maria De Filippi. Fa parte della squadra di canto "allenata" da Rudy Zerbi.
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L'articolo Nicol è di nuovo tra noi di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2021-02-03 00:09:00
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