È da poco uscito il documentario, Dope Boys Alphabet, per la regia di Marco Proserpio, che ripercorre la ventennale carriera di Emanuele Frasca, altrimenti noto Noyz Narcos, dagli inizi con i TruceBoys e il collettivo TruceKlan, fino alla creazione del suo ultimo album in studio, Virus. Lo aveva presentato così: "La mia musica è sempre stata una piaga per il sistema, come un virus, che nel tempo ha continuato a mutare per diventare più forte dell'organismo che ha scelto di abitare".
Qui trovate la recensione di Virus, in cui Noyz torna come piace a noi: immagini crude, testi densi, attitudine hardcore, ma anche tanto sentimento e malinconia. Come taglia lui le parole e il tempo, nessun altro sulla scena.
"Sto carico", dici nel tuo documentario a Ketama mentre ti chiede se hai deciso il nome del disco. Quando gli dici: "Mi sa che lo chiamo Virus", risponde coloritamente sorpreso.
Sì, sto bello carico, molto. Non ti posso negare che io volevo dare una connotazione anche a questo periodo storico e cercavo questo nome con una parola sola, in inglese, molto d'impatto, come spesso è stato per i miei album, Guilty, Monster, Enemy e volevo continuare la saga di una parola che funzionasse da sola e che fosse anche graficamente figa, visto che io sono pure un malato del lettering, dei font, di queste cose qui, io un nome me lo immagino sempre anche in veste grafica. Quando m'è venuto in mente è stata un'illuminazione, se non sbaglio era notte tarda, ero con Night Skinny a lavorare ai nostri pezzi, ed era da un po' che cercavo sto titolo e a un certo punto gli faccio proprio: "Ma se lo chiamo Virus?" Mi ha dato del genio e si è fomentato ancora più di me, poi l'ho proposto ai miei collaboratori, con cui lavoro sempre, tutti mega entusiasti e insomma, secondo me non potevo trovare titolo migliore in questo periodo, sono contento.
Dici anche che le prime sette canzoni del tuo disco devono staccarti la testa. In che senso?
In realtà nei tempi che corrono adesso siamo un po' legati a delle logiche di mercato per cui se dovevo fare la scaletta, la sequenza dei pezzi, come volevo io, magari la facevo leggermente diversa; visto che però queste esigenze di mercato ci sono, devi prestarci attenzione, devi rimetterti al loro gioco e fare un'alchimia fra le tante tracce. L'importante è che non cali l'attenzione dell'ascoltatore nelle prime perché se vuoi che arrivi alle ultime, le prime tracce devono essere belle coinvolgenti, devono staccarti la testa appunto. Credo d'esserci riuscito. È stata una bella battaglia con il team per decidere quale pezzo prima e quale dopo, però alla fine abbiamo trovato una bella quadra e mi sembra che scorra bene anche avendo tenuto conto di quelle logiche.
A proposito di questo, sai che Adele ha chiesto a Spotify, che ha accettato, di disattivare la funzione riproduzione casuale di default per il suo ultimo disco? Devi ascoltare le canzoni nell'ordine in cui lo ha deciso lei.
Giusto, giustissimo, brava Adele. Sono cose che succedono solo nella testa malata degli artisti, perché se io dico una cosa e magari in un altro pezzo ne dico un'altra che giustifica o rafforza quella cosa lì, preferirei che tu sentissi prima questa e poi quell'altra. C'è anche tutto un viaggio personale per cui io voglio che prima ascolti questo e dopo ascolti quello perché secondo la mia logica è più giusto che prima senti questo e dopo senti quell'altro e le canzoni devono necessariamente essere messe in quella sequenza, non sono assolutamente shuffleabili. Poi ci sono artisti che non gliene frega una mazza della sequenza dei pezzi, sinceramente ne ho conosciuti tanti; ma ho avuto anche altri amici, sia del mio collettivo che altri colleghi che mi hanno detto proprio: "Tu sei molto bravo a fare la scaletta del disco, ti va di farmela anche per il mio visto che io non ho idea di come farla?" E allora ti devi mettere là, ascoltare attentamente tutti i pezzi per dire che questo va messo prima di quell'altro. Non lo so, secondo me è una cosa fondamentale, per altri è una stronzata. Sono totalmente d'accordo con Adele, ha fatto bene.
Magari almeno al primo ascolto, perché poi uno si affeziona alle canzoni e giustamente ascolta il disco come preferisce.
Dubito che al giorno d'oggi i ragazzi si sentano un disco tutto filato, secondo me se vedono il mio disco prima si vanno a sentire il featuring di cui sono curiosi, poi quell'altro, poi quell'altro, poi magari se lo continuano ad ascoltare tutto di seguito. Prima con il cd, era una cosa un po' strana dover fare skip skip skip fino alla traccia che volevi ascoltare, invece adesso con un tasto non senti l'inizio delle altre tracce ma metti direttamente quella che vuoi perché appunto magari c'è il featuring che ti interessa più sentire. Anche per questo adesso questa cosa della sequenza è stata messa in secondo piano, invece secondo me è molto importante.
Con Virus torni a pubblicare la tua musica da indipendente con le etichette Thaurus e Believe. È anche un discorso di indipendenza o di libertà di espressione?
No, non è per quello, è una scelta dettata da altre scelte, e nulla da togliere alle altre etichette con cui ho lavorato. No, la libertà adesso viene data agli artisti, siamo in un momento in cui le etichette si fidano degli artisti, hanno finalmente capito che bisogna lasciarli fare e che non ci stanno tutte queste strategie musicali. Se uno spacca, spacca e punto. Come è sempre stato poi d'altronde, è stata a un certo punto come una presunzione loro di pensare di dover metter in riga il lavoro di un artista. Secondo me un artista se è bravo ha ben chiaro cosa vuole fare e le cose che vuole dire. Chiaramente uno lo puoi guidare se è un po' acerbo, ma se uno ha dieci album alle spalle, non è che più di tanto gli puoi dire qualcosa; se dura ancora un artista vuol dire che le idee chiare le ha, quindi più lo lasci fare meglio è.
Ci sono due giganti di New York nel tuo disco, Raekwon e Cam'ron, come è andata questa collaborazione e che sensazioni provi ascoltandoli nel tuo disco?
È chiaro quanto sia importante per me avere due tra i mei rapper preferiti di sempre nel mio ultimo album, mi fanno un props tutti e due, è un sogno che diventa realtà. Sono entrambi due boss del rap di New York, che hanno scritto delle pagine di storia incredibili per quanto riguarda il rap, hanno scritto dei testi e hanno fatto dei pezzi veramente iconici, che nessun altro ha fatto, e sono i miei preferiti del loro collettivo. Il Wu-Tang è sempre stato fonte d'ispirazione per noi, tanto che si è chiamato TruceKlan in tributo al Wu-Tang Clan. Nei collettivi hai, che so, dieci rapper diversi, ognuno con il suo mondo, ognuno con la sua visione in cui ogni ascoltatore si può identificare. Nel Wu-Tang, Raekwon è sempre stato il mio preferito, secondo me è il più forte di tutti, è l'essenza del Wu-Tang. Cam'ron invece è sempre stato un po' il padrino del Diplomax e per me è sempre stato il capo, sono entrambi due rapper che, quando li ascolto, li sento come se fossero vecchi amici. Non so come dire, conosco così bene il loro timbro vocale e il loro modo di fare rap per cui sentirli dopo la voce mia è proprio un sogno, una cosa folle proprio. È stato faticoso, ma ce l'abbiamo fatta, sempre anche grazie al mio team, c'è stato un gran bel lavoro e loro due non è che abbiano lasciato la strofetta così per lasciarla, ma si sono interessati al mio percorso, si sono dati parecchio da fare, hanno fatto lo skit, ci siamo interfacciati parecchio, è stata una cosa molto, molto figa per me.
Night Skinny dice che per fare dischi di livello devi far sentire le tue cose oltre che ai professionisti anche ai tuoi amici.
Ci sono delle figure, oltre ai colleghi e agli addetti ai lavori, a cui io mi rivolgo quando ho dei dubbi, che sono più spietati e conoscendomi bene sanno bene quali sono le mie corde, quindi io tante volte preferisco far sentire un pezzo a uno che non fa rap ed è un amico mio, non uno yes man, tutt'altro, una persona di cui ti fidi, che ti sa dire spietatatamte questo sì, questo no. Quindi ogni tanto, quando hai il dubbio proprio, ci sono quelle tre, quattro persone che chiamo e gli dico: "Mi dai un consiglio? Senti un po' 'sto pezzo, che dici?" E mi fido ciecamente di quello che dicono perché il percorso per cui li conosco mi fa pensare che saranno sinceri più che la maggior parte delle persone che in linea di massima ti dicono sempre una bomba, bellissimo.
Nel tuo Virus c'è anche dolcezza, amore, quasi inaspettatamente; possiamo parlarne?
Sì, in questo disco c'è del sentimento, che è quello che io non voglio mai mettere nella musica, però poi paradossalmente sono tra le tracce che piacciono di più alla gente. Che poi uno pensa sempre che devi fare sta parte da supereroe, invece quando ti apri un pochetto, è quello che alla gente piace di più. Ora è stata un po' sdoganata la canzone d'amore, ma prima nell'album rap c'è sempre stata al massimo una canzone un po' d'amore, io parlo sempre del rap anni '90, 2000, americano che mi piace. Era una al massimo, perché era vista non proprio come una debolezza, però non era il rap il campo di battaglia di questa roba qui. Poi con gli anni il rap si è fuso un po' di più col pop e adesso se vai a sentire i dischi dei rapper, tre quarti sono canzoni d'amore o di sentimento. Crescendo poi ti rompi i coglioni di parlare sempre delle stesse cose e allora ogni tanto vai a toccare qualche argomento fuori dalle tue corde e niente, io mi lascio trasportare dalle basi che sono fighe e cerco di dare qualcosa fuori dalle solite corde mie, tutto qua. Con le pinzette, però mi sembra che ho dato, ce sta pure del sentimento dentro 'sto disco.
Sentimento espresso benissimo, Blister, Cry Later, sono molto belle.
Blister è così bella per la base, e poi Franco126 ha fatto un ritornello che mi piace un botto e pure Spine, il pezzo con Coez mi piace un sacco; sono pezzi che ho cercato di fare un attimo diversamente da come di solito approccio il rap, e secondo me sono usciti bene.
Ormai è stato sdoganato anche questo rap da adulti, introspettivo, conscious, cosa che a ben vedere è sempre stata. Ma è davvero cambiato il rap o qualcosa in chi lo ascolta?
Sì, ho letto da qualche parte che abbiamo capito che il rap fatto per bene lo fanno solo i quarantenni o giù di lì. Anche tra i pischelli ci stanno tante belle penne e tante belle cose invece; secondo me la gente è uscita da un periodo in cui era veramente satura di sentire cazzate fini a se stesse e aveva bisogno di sentire un po' quel friccicore che si sentiva nel rap di noialtri cristi un po' più grandi, che magari tocchiamo anche altre tematiche un po' più interessanti rispetto alla maggior parte dei rapper che sta girando adesso e che comunque non lo so fino a quanti anni puoi ascoltarli. La gente ha avuto bisogno di uscire da questo momento in cui noi, e noi intendo sempre noi un po' più grandi, avevamo lasciato un po' più spazio ai ragazzi per vedere cosa facevano, c'è bisogno di sentire qualcosa un po' più di spessore rispetto alla maggior parte della roba che gira adesso.
Virus è un album scritto, creato, registrato, fatto tutto completamente in studio, è un nuovo metodo di lavoro per te?
Sì, questo disco rispetto agli altri miei passati è stato tutto scritto in studio con il producer di turno, pochissima roba, anzi niente, scritto a casa, magari qualcosa corretta in viaggio ma a casa proprio mai. Io prima scrivevo sempre a casa, per quest'album ho scritto tutto in studio ed è un nuovo metodo di lavoro che mi piace un botto, perché mi faccio meno paranoie, sto lì, cerco di entrare nel mood del pezzo e cerco di farlo e definirlo in un tempo limite che non vada oltre il troppo, che poi uno si impalla; tanto ormai diciamo che sei arrivato a una maturità artistica per cui se entri in studio lo sai quello che vuoi fare non è che devi sperimentare niente. Quindi se hai le idee chiare su quello che sai fare basta farlo, è una cosa che sai fare, basta capire quelle quattro cose, poi chiaramente qualche cazzata la cambi. Tutto è stato scritto molto d'istinto e i pezzi li ho iniziati e finiti più o meno nel tempo in cui dovevo farlo. Una volta che raggiungi il tuo metodo di scrittura e capisci cosa devi fare in studio, sei un po' più skillato del passato quindi ti metti là, testa bassa, finché non l'hai chiuso non molli, e a un certo punto lo chiudi.
Fare un disco è una cosa seria, una vera e propria creazione.
Fare un disco ti leva la vita. Ti leva completamente le vita. Se fai i dischi vivi per fare i dischi, poi vabbè, io faccio duemila altre cose quindi diventa ancora tutto più complicato. Io non ho mai messo meno di un anno per fare un disco, poi se qualcuno riesce a fare un disco in tre mesi bella per lui, ma io non ci riesco. Sono anni e anni ormai, sono vent'anni. Questo era anche un po' quello che volevo far capire e vedere con il documentario, che sono vent'anni di musica e di vita.
Uno dei pezzi più emozionanti del film è quello sul finire, con le immagini dei tuoi concerti dal vivo, forse perché ci mancano tanto. Quanta voglia hai di portare in giro questo Virus?
Dillo a me quanto mi mancano i concerti. Ho voglia da morire di portarlo in giro perché io faccio sempre i dischi in funzione di portarli live perché io mi rompo a fare sempre le stesse canzoni dal vivo quindi cerco sempre di fare dischi nuovi così ho altre canzoni da fare dal vivo. Spero veramente che a sto giro quando sarà il momento non s'inventino niente perché non ce la faccio più; la mia dimensione è sempre stata più quella del live che quella di studio quindi mi manca proprio, è una cosa che mi condiziona anche la vita. Io sapevo che il giovedì, il venerdì e il sabato andavo a suonare, quindi poi il resto delle mie giornate era in funzione di ricaricare le batterie per il prossimo giovedì venerdì e sabato; questa cosa non succede da due anni e mi sta destabilizzando un pochetto, quindi ho proprio bisogno di riprendere il via con la macchina, con la band che si parte, si va, si torna dopo tre giorni, finiti, devastati, però contenti e soddisfatti. Questa cosa deve tornare al più presto perché non ce la faccio più.
Perché hai voluto raccontare anche con un documentario la tua storia e la tua carriera artistica?
Credo che valesse la pena raccontarla perché come gruppi, come musicisti in Italia credo non ci sia mai stato un prodotto del genere, non so se qualcuno dispone del materiale di quegli anni che sono mega interessanti come periodi storici, perché non c'erano tutti i mezzi di oggi per documentare cosa succedeva. Io invece avevo 'sta telecamera sempre appresso, non so per quale motivo, ma ce l'avevo sempre appresso, forse pensavo che appunto sarebbe servito a qualcosa un domani filmare queste cose, pensavo di essere un predestinato, non lo so, comunque avevo sempre 'sta telecamera e ogni volta che vedevo una situazione che poteva essere un domani interessante, la filmavo. Poi le ho tenute nascoste, anche involontariamente, tutto questo tempo finché, tra un trasloco e l'altro, sono saltate fuori da una scatola di scarpe, piena di videocassette, ma non sapevo cosa c'era dentro sinceramente. È stato un lavoro epico che abbiamo fatto con Marco (Proserpio, il regista) che è stato bravissimo.
Oltre che documentare però, sembra tu voglia dire anche altro, magari ai futuri rapper, e toglierti delle soddisfazioni.
Volevo far capire quanto è stato elaborato il nostro percorso, quante sfaccettature aveva. Il nuovo pischello ti conosce da adesso come uno che ha fatto musica, ma non aveva la più pallida idea di cosa voleva dire al tempo andare in un centro sociale in cinque in una macchina a dormire per strada in mezzo allo schifo o all'autogrill, perché così era veramente, mentre ora 'sti pischelli hanno l'albergo a cinque stelle al secondo disco che fanno. Forse era quella l'unica cosa che gli volevo far capire, che comunque sia era molto più complicato fare queste cose di quanto non lo sia adesso.
Ormai sei a Milano da un po', ma io ho sempre la tua immagine di te che "Porto Roma su una spalla perché adoro trasportarla". Come stai e cosa ti manca?
Roma la porto sempre con grande orgoglio, mi manca il dialetto, mi manca il parlare con la gente anche al bar anche con gli sconosciuti che magari qua a Milano sono tutti un po' più testa bassa di fretta che pensano ai cazzi loro. A Roma c'è sempre il momento per una battuta e per una stronzata, magari pure troppo (ride) per quello pure me ne so andato, perché se perde più tempo a dì cazzate che a lavorà. Però comunque si mi mancano un sacco di cose, ma ci vado sempre e quando ci vado ogni volta me ne vado con dispiacere. Qui a Milano ho trovato una dimensione più piccola, perché la città è più piccola, dove riuscire a lavorare meglio, a muovermi meglio a fare più cose, che pure io sono uno che si lascia andare facilmente al bivacco, ma qui c'è un bel ritmo e sono più produttivo; mi trovo molto bene qua, sto bene.
Siamo contenti che sei tornato.
Guarda dopo quel disco, Enemy, e non lo dicevo per mossa commerciale, lo dicevo seriamente che non sapevo più come collocarmi all'interno di questa scena che si era riempita di tutt'altro, era diventata molto distante da quello a cui ero abituato io. Quel disco mi ha dato un sacco di soddisfazioni, ottimi riscontri, ci ho fatto un tour di due anni veramente ricco, con numeri pazzeschi, ho fatto platino, che era una cosa che non avrei mai pensato.
Ma arrivato a un certo punto, pensavo che non interessasse più quel tipo di rap perché mi sembrava diventata talmente tutta un'altra roba che ho detto, che cazzo sto a fa qua io ancora? Chi cazzo la vuole sentire sta roba? E invece mi sono reso conto che gran parte della gente implorava che tornasse questo tipo di musica perché proprio non ce la faceva più. Quindi a quel punto ho detto, va bene, se sono io che mi sono fatto un film strano e invece vi interessa, allora io ho ancora qualcosa da dire e finché ho le corde vocali al posto mio, come dice Gué, il buon Gué Pequeno, finché le corde vocali stanno al posto loro vediamo di fare altra roba.
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L'articolo Noyz Narcos è ancora l’uomo che mozza le teste di Carlotta Fiandaca è apparso su Rockit.it il 2022-01-17 10:03:00
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