Dice di saper suonare tutto, ma malissimo, e che il suo strumento preferito sia il computer. Definisce la sua musica come "un brand che lancia drop di abbigliamento", la sua identità è ancora in parte sconosciuta, ma una cosa è sicura: non è un narcotrafficante (e non viene dagli States). Si chiama Pablo America l’ultimo accolto da Maciste Dischi, ha quasi 28 anni ed è nato e cresciuto nella meravigliosa Torino, ma ora vive nella linda campagna marchigiana (vicino Civitanova), dove passa le sue giornate a passeggiare fra i boschi, annaffiare l’orto, scrivere e produrre la sua musica "un po’ pop, un po’ cantautorato, un po’ elettronica, un po’ psichedelica".
Prima di dedicarsi esclusivamente alle sue canzoni, fino a qualche mese fa Pablo guadagnava qualche soldo con Uber: "Tra Roma e Milano ho collezionato oltre tremila corse, che forse sono state la migliore ispirazione per le mie canzoni", dice, e continua: "Se ci fosse la possibilità, continuerei a fare quel lavoro, ma la situazione attuale non lo permette". Perciò, da quando è esplosa la pandemia, musica a tempo pieno per il giovane artista, che ha debuttato qualche mese fa con Noi non siamo il punk, pezzo dondolato chitarra e voce con ritornello da prendiamoci le mani e cantiamo a squarciagola.
Un esordio nel periodo peggiore per la musica, e per questo inizialmente Pablo aveva paura di essere inopportuno: "Ma si tratta di canzoni che sono conservate sotto il letto da tanto tempo", dice, "piano piano le svelerò tutte. Per me è indifferente che esca fuori prima l’una o l’altra, perché mi sono divertito a farle tutte". Unico disclaimer: "In chiusura a tutte le uscite ci sarà una canzone in cinese", anticipa il cantautore.
Quattro singoli all’attivo, Loco Loco è l’ultimo, nato su un riff di basso improvvisato. Ce lo racconta così: "Ho iniziato a farci sopra dei versi, finchè è uscita la parola 'loco' e ho iniziato a ripeterla", fino a costruire la colonna sonora perfetta per una festa in un McDonald’s in Bolivia, dove tutti ballano e twerkano, come gli aveva raccontato un amico che aveva visto la scena con i suoi occhi qualche anno fa.
Grabowski, pezzo dance con cassa dritta, era un suo compagno di classe ai tempi del liceo: "Un tizio totalmente fuori di testa, ma costruttivamente. Non ho idea se lui abbia ascoltato la canzone o meno, perché ci siamo persi del tutto di vista. Se non sbaglio i genitori erano polacchi, ma lui era nato in Italia: mi piaceva il suo cognome e l’ho utilizzato come titolo della mia seconda canzone", racconta Pablo.
Ascoltavo i Nirvana, invece, è un quadretto intimo e realista che si ispira al Postino di Bacalov: "Mi piaceva l’idea di tentare un 'temino' inizialmente solo musicale, che avesse quell’aspetto e quella musicalità lì. Poi, ho cominciato a trovare una linea definita, e a scriverci sopra. Così è nato il pezzo", dice Pablo, che per creare la sua musica non parte mai premeditato su quello che vuole, ma cerca sempre di lasciarsi andare liberamente a quello che può succedere in corso di creazione.
"Parto dai suoni, non da frasi o da immagini, né da idee precise. Solo se trovo un suono che mi piace, allora ci scrivo intorno. Non so se questo sia un metodo, ma io lavoro così", dice. Tutto parte dal suo studietto, lo chiama: "Per me è importante che le canzoni abbiamo una connotazione sonora e intendo la produzione essa stessa scrittura di un brano. Non riesco a fare il contrario".
I quattro brani sembrano appartenere a due esperienze sonore del tutto diverse. Da una parte l’anima edulcorata e dance di Loco Loco e Graboswski, dall’altra quella nostalgica, romantica e pop di Ascoltavo i Nirvana e Noi non siamo il punk, come se si trattassero di due identità distinte dell’artista, che attraverso la sua musica cerca di disegnare una linea retta tra due stili differenti. "Sono sempre io, e anche se da fuori capisco che possano sembrare due cose molto diverse, e due anime distinte, io non la vedo così", spiega, invece, Pablo.
"Ascolto tantissima roba e ogni artista che amo appartiene a genere diverso (tra le sue cose preferite, ci sono i King Gizzard & The Lizard Wizard e Mac de Marco, ndr) e mi piace l’idea di fare qualcosa che innanzitutto sia lo specchio dei miei gusti. Dal risultato finale, in effetti, poi si sono sviluppate due direzioni parallele e per argomentarle si è scelta la strada delle due identità distinte, ma specifico che entrambe convivono in me", spiega l’artista torinese.
Ci sono delle figure fondamentali che accompagnano il lavoro di Pablo e che contribuiscono alla realizzazione del suo progetto: "C’è Federico Nardelli, che io considero un grande artista, non semplicemente un produttore. Il confronto con lui è un punto di partenza per i miei lavori", dice, "e c’è tutta la crew di Maciste Dischi, che sono stati gli unici a rispondermi quando agli inizi cercavo di far conoscere la mia musica".
Antonio "Gno" Sarubbi del management di Maciste è stato colui ha spronato Pablo a scrivere cose "un pochino più up" e ad accelerare il ritmo: "Ricordo che una delle prime volte che andai da lui, io ero solo un cantautore. Mi fece sentire Le ruote, i motori! di Fulminacci in formato demo (il pezzo doveva ancora uscire). Alle mie orecchie si trattava di una cosa totalmente folle, ed è stato quell’ascolto la mia prima spinta", racconta.
E continua: "In quel momento ho capito che potevo fare il matto e ho iniziato a comporre brani che avessero una valenza – almeno nella mia testa – anche estetica. Amo i suoni delle parole e per questo canto in russo, in spagnolo, in cinese. La prima cosa che faccio quando prendo una chitarra in mano è divertirmi e giocare con gli strumenti". E se dal cantautorato Pablo si è allungato verso Loco Loco e Gabowski, è perché il resto è venuto da sé.
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Topo da studio – come dicevamo all’inizio, il computer è il suo strumento preferito –, con l’America Pablo ha molto a che fare, anche se purtroppo non l’ha mai visitata: "Sono ossessionato dagli Stati Uniti: mi piace come vendono le cose, mi piace la loro musica, mi piacciono i film, e in generale mi affascina il mondo/sogno americano. Non c’è un motivo reale, è un’attrazione che non so spiegare meglio con le parole".
Pablo – che ha scelto il suo nome perchè gli piaceva, a prescindere da tutto – ha deciso di non mostrarsi chiaramente in volto e di mantenere la sua identità ancora avvolta da una sottile nube di mistero. Innanzitutto, perché è molto timido, dice: "Sembra assurdo, ma è realmente così". Tuttavia, in futuro non avrà nessun problema a svelarsi. Ma che importa? Noi vogliamo ascoltare la sua musica, e questo basta.
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L'articolo Pablo America, da autista per Uber a cantante poliglotta di Claudia Mazziotta è apparso su Rockit.it il 2021-02-11 14:00:00
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