I milanesi Pekisch nascono nel 2000. Sono vincitori nazionali del concorso Rock Targato Italia 2003. Hanno partecipato a tre compilation di diffusione nazionale (“Rock Targato Italia”, Terzo Millennio/distr. Self -- “Soniche Avventure”, Fridge Records/distr. Self -- “Rock & contaminazioni”, Sana Records/distr. Audioglobe).
Cosa significa il vostro nome? Perché lo avete scelto?
FraC: Pekisch è un personaggio di “Castelli di rabbia”, un romanzo di Baricco. Pekisch è un inventore geniale capace di creare musica da ogni cosa: per esempio inventa l’umanofono, strumento costituito da un organo i cui singoli tasti sono collegati ciascuno ad una persona, ognuna delle quali emette una singola nota. Una notte accade che un motivo musicale gli risuona nella testa; questo non andrà via, anzi si sommerà all’infinito con altri mille suoni e canzoni, fino a portarlo ad impazzire e a morire di troppa musica.
Abbiamo scelto questo nome perché nelle nostre teste succede all’incirca la stessa cosa: c’è perennemente uno strumento che suona… per ora non siamo ancora impazziti… chissà…
Cosa c’è del vostro nome nella vostra musica?
FraC: Poesia, energia, kamasutra, isteria, semplicità, concretezza, hic est.
La musica stessa, vissuta come esperienza quotidiana, ricerca sonora, perenne volontà di esprimerla, per liberare la mente e non impazzire, appunto.
Quali sono le difficoltà che incontra una giovane band che fa la vostra musica nel vostro territorio?
FraM: Dovremmo iniziare forse con il solito elenco “mancanza di spazi live”, “le etichette non investono” e varie ed eventuali. La risposta più veritiera e stupefacente a questa domanda è stata scritta da un tale Judah in merito ad una discussione sulla mancanza di pubblico al festival di Mantova (marzo ’04):
“ [..] Ho letto in un altro messaggio che la malattia di cui soffre la musica "alternativa" e indipendente" italiana è la mancanza di fruitori. Ed è vero. Guardate il cast del festival di Mantova. Snob o no, mi sembra molto molto interessante. Si va da Cristina Donà agli Zu. Mi sembra che il programma copra parecchio a livello di generi musicali, eppure quante persone c'erano ieri sera? 200? 300? Forse 500 (non credo)?
Dove sono tutti quelli che si lamentano che non ci sono spazi, che non ci sono opportunità, che la musica è una merda, che le case discografiche fanno cartello, che le radio passano solo certa roba...... Dov'è tutta questa gente?
Certo, nelle salette prova. Tutti presi a guardarsi la punta dei piedi mentre premono su 18 pedalini diversi con la loro chitarra di marca sconosciuta (più sconosciuta è meglio è). Ieri il pubblico era composto all'80% da musicisti frustrati che non fanno altro che guardare dove mette le dita quello sulla tastiera e che bacchette usa Tizio e il plettro di Caio.
Nessuno compra dischi. Per forza, sono tutti impegnati a registrare il proprio.
Ripeto. Peccato.”
Quali sono i vantaggi, invece, di vivere nella vostra zona, per far musica.
FraM: A Milano ci sono circonvallazioni, dove tu giri giri e puoi ritrovarti al punto di partenza. Ci sono strade dove si scorre anche a due corsie, ma c’è sempre tanto traffico perché si è sempre in tanti, ma davvero tanti a circolare. Ci sono i semafori, dove tu lo voglia o no, ti devi fermare quando ti devi fermare. Potresti andare avanti, ma faresti un passo più lungo della gamba, anzi, una ruota più lunga dell’auto. Ci sono diversi modi per muoversi, di solito, ma non sempre, i più veloci sono quelli delle tue gambe.
A Milano c’è tutto quello di cui hai bisogno, anche quello di cui non hai bisogno.
Ci sono anche tanti rifornimenti di benzina che ti permettono di andare avanti, ma più ti avvicini al centro e meno rifornimenti trovi.
Ah, si, certo, c’è anche un centro, è sempre il più affollato, però non ci puoi arrivare facilmente. Certo, con le tue gambe arrivi dove vuoi.
In tutto questo puoi giocare anche sporco per andare dove vuoi e fare quello che vuoi, ma come in tutte le cose il rischio è elevato a meno che non ti puoi permettere di rischiare.
Ecco, fare musica a Milano non è tanto distante dalla sua città.
Tre dischi stranieri e tre italiani da portare nell’isola deserta.
FraC: CSI: “In quiete”; Marlene Kuntz: “Catartica”; Fabrizio De Andrè, tutto.
Sonic Youth: “Washing machine”; Beck: “Mellow Gold”; The Beatles: “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”.
FraM: Scisma: “Rosemary Plexiglas”.
Depeche Mode: “Songs of Faith and Devotion”; Nine Inch Nails: “The Downward Spiral”; Soul coughing: “Irresistible Bliss”… anche se mi dispiacerebbe molto lasciare a casa Tori Amos, Björk, Cornelius, Radiohead, Blind Melon, Blur, Supergrass e blablablabla…
FranK: Fabrizio De Andrè: "La buona novella"; Fabrizio De Andrè: "Non al denaro non all'amore né al cielo"; una raccolta qualsiasi di Ennio Morricone; U2: "Achtung baby"; Portishead: "Dummy"; Motorpsycho: "Blissard".
NicoD: CSI: tutto.
John Coltrane: "1960", Ravi Shankar: "The sound of the sitar", Beck: "Odelay".
Se proprio dovessimo stare tutti e quattro su un’isola deserta, ci porteremmo dietro gli strumenti cercando la musica che emoziona pesci e alberi.
Un disco straniero e uno italiano da buttare nel cassonetto.
FraM: Parliamoci chiaro.
A parte rare eccezioni, per fare un disco in Italia (registrazione, produzione, edizione, distribuzione, blablazione) ci sono due modi:
- hai soldi e conoscenze ed il gioco è fatto.
- Non hai nulla del suddetto punto, ma hai i coglioni, grande forza di volontà e grande volontà di continuare ad avere forza di volontà e speri che il gioco si faccia.
Quindi, a cuore, non mi sento di buttare via nulla che appartenga alla seconda categoria, fosse anche la cosa più lontana dal gusto che il mio apparato uditivo possa percepire. Certo, un disco che inneggia al razzismo o alla violenza carnale non lo approvo ugualmente, mi sembra ovvio.
Nella prima categoria invece il cassonetto dovrebbe essere davvero capiente.
Non conosco invece con esattezza la situazione estera, quindi preferisco non pronunciarmi a riguardo. Comunque se proprio devo, così al volo, un disco di Ramazzotti o Pausini in lingua straniera…J
Musicalmente da che parte state: Inghilterra o Stati Uniti? O altro?
FraC: Musicalmente stiamo dalla parte della musica, quella sincera e appassionata, non importa da quale angolo del pianeta proviene.
Ps. Il cantante anche dalla parte della musica giapponese… :)
Un buon motivo per venirvi a vedere dal vivo.
FraC: Ipnosi collettiva
La più bella serata della vostra vita di musicisti.
FraM: La più bella serata…la più bella serata coincide quasi sempre con un momento significativo della propria vita di/da musicisti. Una volta un mio caro amico ligure mi chiese quale sensazione provasse un gruppo in generale a passare la vita a suonare e provare e suonare e provare gli stessi brani e proporre dal vivo quei particolari brani che li avrebbero rappresentati per anni. Io gli risposi che anche nella musica esiste un concetto di evoluzione, dove passi da bambino ad adolescente ad adulto a canuto. E come nell’evoluzione che tutti viviamo, il passaggio da una fase all’altra talvolta è definito da eventi precisi della nostra esperienza, eppure in quei precisi momenti non ce ne accorgiamo… Ce ne rendiamo conto solo guardandoci indietro e capendo in un istante di aver passato una di quelle fasi. Questo concetto nella musica rende un concerto sempre diverso da un altro, per quella inconscia evoluzione di se stessi che porta a presentare la propria musica in ogni concerto come un evento a sé, in continua evoluzione. In questo senso, ogni concerto possiede un suo significato e non ha senso paragonarne uno all’altro.
Ogni concerto possiede sempre un suo significato, ma non sempre un suo fascino. Se devo considerare una serata live per la quantità di emozioni regalatemi, tra le più significative ricordo la nostra esibizione al Binario Zero di Milano (aprile 2002), fu un momento importante per noi, suonavamo in un locale con una fama “storica” alle spalle e davanti ad un pubblico molto caldo e numeroso.
Aggiungo tra tutti anche il nostro concerto a Milano in apertura di Paolo Benvegnù (marzo 2004). E’ stata una serata bellissima e sarà un ricordo indelebile per me, data l’incontrollabile stima che ho sempre avuto per lui e per quello che ci ha regalato la sua storia finora.
Questo è un mondo difficile perché…
FraM: Dunque, un mondo difficile, fammici pensare.
Beh, già che si parla di mondo vuol dire che siamo coi piedi per terra e non è male.
Difficile, sì, insomma, hai presente quando sali su un monte, sei lì sulla cima coi piedi per terra e poi guardi giù, il vuoto che a capire quanto è vuoto ti senti il vuoto dentro? E poi, hai presente da lì senza pensare per abbattere quel fottuto istinto di sopravvivenza, per capire quanto sia difficile il mondo, quanto sia difficile tutto, hai presente buttarti giù senza guardare? Ecco, se intanto apri gli occhi vedi tutto scorrere veloce, ma veloce veloce, pensi a quel fiore che prima o poi appassirà, al primo bacio, a Dio che gioca a carte con Caino, poi hai ancora qualche secondo per grattarti il naso e ridere, si ancora un attimo, ridi, cheese, sei su candid camera. Capisci perché è così difficile?
Nel mondo di oggi è difficile immaginare ad occhi aperti.
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L'articolo Pekisch - Padova, via mail, 09-04-2004 di Renzo Stefanel è apparso su Rockit.it il 2004-04-09 00:00:00
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