Paletti: ascolta in anteprima "Super" e leggi l'intervista

Domani sarà pubblicato "Super", il nuovo album di Paletti, ma noi ve lo facciamo ascoltare in anteprima e ce lo siamo fatti raccontare da lui

Tutte le foto sono di Giulia Bersani
Tutte le foto sono di Giulia Bersani

"Super", il nuovo album di Paletti prodotto assieme a Matteo Cantaluppi, sarà pubblicato domani per Woodworm, ma oggi qui a Rockit.it ve lo facciamo ascoltare in anteprima assoluta. Per l'occasione Pietro Raimondi ha intervistato Pietro Paletti, che ci ha raccontato come questo album scavi molto in profondità nella sua vita di uomo pieno di contraddizioni. Un disco nato dalla voglia di tirare fuori tutto, anche alcuni aspetti magari morbosi o molto personali, ma anche dalla libertà di contraddirsi e scoprire un nuovo sé.

Ascoltando il disco ho avuto l'impressione che questo fosse il cosiddetto "lavoro della maturità" di Paletti.
Stamattina nel guidare per arrivare a Milano pensavo proprio che i testi di "Super" sono nati da un rifiuto del giudizio nei confronti degli altri. Gli altri sono il nostro specchio, di conseguenza non giudicare gli altri è un tentativo di attenuare il giudizio nei confronti di noi stessi. Questo fa parte del processo di maturazione: superare quello che gli altri si aspettano da te e quello che tu ti aspetti dagli altri! È molto paritaria la questione ed è valida per tutte le relazioni: amorose, ma anche con i tuoi genitori, i tuoi amici, i tuoi eventuali figli.

E a Socrates sulla copertina come ci sei arrivato?
Me ne parlava mio papà da piccolo, perché come lui era un po' un sovversivo, un sindacalista di quelli seri. Mio papà l'ho riscoperto un po' tardi, ma in realtà è il mio idolo. Ho dovuto scremare il rapporto conflittuale con lui, la difficoltà a comunicare, ma superando la fatica mi sono fatto raccontare di cosa ha fatto lui da giovane e questo ha sbloccato tutto.
Socrates è un personaggio con molte facce, ha più livelli di lettura. A me piacciono le cose a più livelli, perché ho bisogno, vista la mia curiosità, di andare sotto alla maschera, di approfondire. Nei rapporti con le persone mi piace colpirle subito, eliminare la patina, anche chiacchierando. Anche se posso sembrare un po' invadente e rompicazzo, voglio la relazione vera. Subito. Mi devi mostrare il tuo vero tu, perché io ti mostro il mio vero me.

Ecco, visto che si sente anche in alcuni testi del disco, cosa vuol dire "il vero me"? Di cosa parliamo quando diciamo "essere noi stessi"?
Il vero sé, purtroppo, è una piccolissima percentuale di quello che siamo diventati. Infatti noi non siamo una cosa sola, e questo fatto è bene accettarlo. Siamo tante cose! Io non sono solo un musicista, un compagno, sono pieno di contraddizioni. Sono una persona molto gelosa, per esempio. Quello che sembro di facciata non è esattamente quello che sono in realtà. Per me la ricerca della verità è veramente una cosa fondamentale, importantissima. Non so se ti ricordi il mio disco "Ergo Sum", sulla copertina avevo messo una foto di me stesso nudo. Anche Socrates, per esempio, era sì un calciatore, ma era anche un medico, un attivista che all'80% ha avuto il merito di aver fatto diventare il Brasile una democrazia dalla dittatura militare che era. Però era anche un bohemian, un alcolizzato che è morto di cirrosi epatica, uno di noi. Dall'altra parte, era anche un personaggio molto carismatico ma a quanto pare anche un po' instabile, gli piacevano le donne... probabilmente non era un personaggio facilissimo da gestire per chi stava a stretto contatto con lui. 

Hai studiato qualcosa come filosofia?
Io ho sempre fatto sound design, ho studiato a Londra, però di fatto queste cose le ho approfondite di mio. Ho i libri di mia sorella filosofa. Poi ho fatto un percorso che è più complicato da descrivere, più esoterico, non esattamente un culto religioso ovviamente, ma un culto dell'accrescimento del sé, della scoperta del sé. Ti cito Gurdjieff, per esempio. Un personaggio che è vissuto a fine '800. Lui era critico sulla psicanalisi, preferiva lo studio di vecchie culture, come il sufismo, le culture mediorientali. Era un armeno che è andato alla ricerca di vecchie scuole di accrescimento dell'essere umano, quelle che vertono alla vera consapevolezza della presenza di sé. Mi sono appassionato a esperienze diverse che mi hanno portato a studiare, a leggere, a partecipare. Anche Battiato ha frequentato quegli ambienti. Quando stavo a Milano ho frequentato questa comunità, è un paio di anni che non frequento più, è un lavoro duro. Cercare di essere presenti a qualsiasi gesto si faccia: come metto la mano, com'è l'ambiente in cui sono, come mi sento. È un percorso molto pesante. Non c'è niente a pubblicizzarlo, non lo trovi su internet.

In generale un rapporto col mistero del sé che diventa ricerca continua e progressiva.
Sì, ed così che affronto qualsiasi sfida della vita. Ti arriva qualcosa che ti scombussola, ti fa male: la delusione amorosa, un figlio, un lavoro che non va bene... tutto ciò che ti da quello stress che ti fa conoscere meglio te stesso.

Uno dei motivi per cui lo definirei un disco "maturo" è che si vede, nel modo di scrivere le canzoni, l'intento un po' terapeutico. Per cui prendi gli argomenti più imbarazzanti per te, li sventoli in faccia a chi ascolta.
Centomila volte sì. È la mia prima terapia la scrittura, poi cerco di fare in modo che riguardi anche gli altri, perché se no non pubblicherei un disco: mi rendo conto che queste sensazioni non sono solo mie, è tutto facilmente condivisibile. Però il mio punto di vista è espresso in maniera chiara e soggettiva nelle mie canzoni. E proprio grazie ad esse io mi curo.
Spesso succede che di fronte a un testo scritto in cinque minuti, a braccio, leggi e dici "un bel testo", però non lo capisci. E cinque mesi dopo lo capisci. Il moto di scrittura diventa quasi inconscio, premonitore. Non viene dal razionale, ma da una sfera un pochino più sottile, nascosta. A proposito ancora di livelli e di sé... Noi usiamo molto la testa, ma non si può fare un disco o un lavoro creativo solamente di testa. C'è chi lo fa: il mio lavoro d'autore spesso è stato di testa, ma è proprio quando scrivi per te stesso in maniera terapeutica che esce tutto quel magma che ti serve per analizzarti. Poi, stranamente, quando qualcosa è scritto con verità e sentimento arriva prima e si fa strada in maniera diversa rispetto a un testo scritto meccanicamente. 

Questo discorso dal punto di vista della produzione come l'hai affrontato? Perché Cantaluppi dà l'impressione di essere un produttore invasivo, che impone il suo suono in ogni disco che fa. Come è stato lavorare con lui?
Essendo una coproduzione, occorre dire che spesso arrivo da lui con delle preproduzioni abbastanza curate. Poi Matteo può decidere di stravolgere o arricchire: il 70% viene arricchito, il 30% viene ribaltato. Il lavoro di produzione è proprio un lavoro. È un pochino meno immediato della scrittura. Visto che arrivo con delle cose immediate (vere, ma non troppo grezze) in studio si cerca di elevarle a livello tecnico. Si segue il testo, ma lì diventa un lavoro più artigianale che umorale. Il lavoro di verità, invece, è quello di prendere in mano la penna, nemmeno il computer, solo penna e foglio bianco. A volte non sembra che le stia scrivendo io le mie canzoni! C'è qualcosa nell'aria, sulla mia testa, che mi suggerisce cosa fare e io sono solamente il tramite. Mi è successo di scrivere canzoni in cinque minuti! Non intendo il testo, intendo proprio tutta la canzone: musica, bridge, tutto in cinque minuti. Le riguardi e pensi "Questo non l'ho fatto io!!". Avevo sentito dire da vari artisti che c'è l'energia, ci sono le muse, e tu devi soltanto essere recettivo e tradurre su carta.

Quali canzoni di questo album sono state scritte in cinque minuti?
"Accidenti a te", "Capelli Blu", "A che serve l'amore", sono canzoni che sono venute in cinque minuti. È una cosa che mi fa sclerare! Sei lì che vorresti fare un disco, vorresti farlo in due mesi, magari andando in montagna apposta. E invece arriva nei momenti più imprevisti... e lì devi essere pronto. Io per fortuna ho lo studiolo in casa: è successo di alzarsi alle quattro del mattino con un'idea in testa e andare giù e lavorare perché tanto non mi faceva dormire. Poi magari è una brutta, solamente un abbaglio, magari non sei stato capace di tradurla bene... però sono molto attento a cogliere l'attimo.

Dicevi che c'è qualcosa come un'energia, come le muse, ma prima hai parlato anche di verità di sé, di tirare fuori un aspetto profondo di te. È strano: da un lato mi dici "non sono io", dall'altro "sono io, sono più io". 
Sono cose che non si possono spiegare eppure succedono, sono tutte e due delle verità, entrambe imprescindibili.
Anche questa cosa di non avere una risposta su tutto mi interessa. Magari non ho una risposta ora, magari l'avrò più avanti. Adesso iniziano le interviste, e io questa volta voglio prendermi razionalmente la libertà di dire "ragazzi non lo so". Richiede troppa energia razionalizzare tutto. C'è bisogno davvero di razionalizzare tutta questa roba? A volte io credo che siamo sì artefici del nostro destino, ma... ma lascia perdere, ci sto già cascando, non devo razionalizzare.

Poco fa mi hai detto di essere un uomo molto geloso, e già volevo chiedertelo perché nel disco spiccano le parole "gelosia", "tradimento". È un aspetto interessantissimo del rapporto amoroso, lì ci si gioca tutto. Mi racconti qualcosa a riguardo?
La prima volta che ho incontrato la mia attuale compagna, mi sono innamorato subito. Però subito ho anche avuto la sensazione di non poter innamorarmi di una persona così, di non potere possederla, è talmente bella (sia fisicamente che spiritualmente) che deve essere di tutti. Dovrebbe essere patrimonio dell'UNESCO. Purtroppo come esseri umani siamo votati al possesso. Lo vedo anche nei bambini piccoli, che imparano subito a dire "io! mio!". C'è un errore di fondo nel voler possedere una persona con cui si sta: "la mia fidanzata", "mio figlio".  Questa concezione del possesso crea un sacco di danni. Ti cito Sting che diceva "If you love someone set them free", però ti confesso che io su questa roba faccio una fatica boia: sono abbastanza geloso. Cerco di limitarla, di lasciare la strada libera all'altro, anche se non si capisce esattamente dove voglia andare.
Nel disco ho detto anche che la mia gelosia diventa paranoia, ma parlandone in quei termini, come dicevamo prima, io esorcizzo. Perché mi rendo conto che è una cosa negativa, che non mi piace, un ragionamento di possesso del quale io sono succube. Se riesco a buttarlo su una canzone posso andare al livello successivo, perché io credo che la gelosia sia un muro da saltare. 

Per prendere un attimo fiato da tutta questa esistenza vorrei chiederti qualcosa di più classico. Sembra che in questo periodo ci sia un certo fermento musicale a Brescia. Qui su Rockit.it abbiamo spinto Margo Sanda, i Kaufman, Frah Quintale...
Super Frah! Lo adoro, ho pure prodotto un pezzo del suo nuovo disco, "Branchie". Siamo amici, ci sentiamo spesso. Gli auguro un mondo di bene perché se lo merita, e poi ha una facilità di scrittura impressionante.
Per il resto io sono anche un po' distratto, però a Brescia c'è sempre stato fermento, c'è sempre stata una buona scuola, personaggi che hanno fomentato la scena. Ti parlo di promoter, locali. Pur essendo una città piccolina ha sempre avuto i luoghi in cui ti puoi esprimere. In alcuni momenti di più, in altri di meno, ma comunque mi trovo bene a Brescia. Ho vissuto a Londra, a Milano e a Roma, ma Brescia è indubbiamente una città ricca dal punto di vista dell'intrattenimento. E ci sono stati molti personaggi che nel tempo si sono fatti in quattro perché a Brescia ci fosse qualcosa da fare. Per me è sempre stata casa.

Tu che altri progetti hai in ballo al momento?
Adesso sto iniziando questa nuova avventura a Bergamo: praticamente seguo una startup che ha creato questa applicazione particolare, accompagna la lettura degli eBook con una colonna sonora e del sound design. Sarà un bella sfida con tanta scrittura di musica senza testo, poi ci sarà tanta ricerca. Mi ricordo che quando lavoravo a Londra facevo proprio un lavoro del genere: c'è da fare un documentario sul ragtime, vai a studiare Django Reinhardt e impari a suonare, per un mese non fai altro che suonare ragtime. Una volta sono andato in Turchia a trovare gli strumenti e a imparare a suonarli per un lavoro sulla musica mediorientale.

Per concludere, il tuo punto di vista è quello di una persona adulta, che si è fatto una carriera e una famiglia. Cosa può arrivare di "Super" a qualcuno che ha vent'anni? Io, sebbene viva nel cuore della mia vita universitaria, tante serate avrei voglia di cantarmi in testa "la notte infondo così giovane non è"...
Nemmeno io a vent'anni avevo chissà quale vita ludica, uscivo forse una volta ogni due settimane. Eppure avevo quella convinzione interna del tipo "dovresti uscire", poi a volte ne hai davvero bisogno, però per me è stata una cosa davvero inflazionata. "Vai a conoscere persone nuove!" e poi ti ritrovi a parlare delle solite quattro stronzate. Raramente si riesce a approfondire le cose. Vedo tanti che, anche ben più giovani di me, decidono razionalmente di stare a casa, banalmente uscire costa tanto! Mi ha stupito vedere il messaggio di un fan all'uscita di "La notte è giovane" che diceva: "hai dieci anni in più eppure queste cose risuonano anche dentro di me!".

Questo disco secondo me lo si può sintetizzare in questa frase: "Stare con te è un po' una menata, eppure...". Riempi lo spazio dopo i puntini.
...eppure mi stai facendo crescere un sacco, mi stai facendo diventare un uomo.

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L'articolo Paletti: ascolta in anteprima "Super" e leggi l'intervista di Pietro Raimondi è apparso su Rockit.it il 2018-01-25 10:00:00

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