Paolo Angeli è un chitarrista sardo che ha collaborato con Iosonouncane nel brano “Buio” contenuto nell’album “DIE” del 2015. I due si sono esibiti insieme in alcuni eventi speciali nel 2017, ovvero ad ottobre a Nuoro e a novembre al Linecheck Festival, e ora si preparano a partire in tour, per una serie di date che prenderanno il via il 13 marzo da Bologna. In questa intervista, Angeli racconta com’è nata la collaborazione, cosa aspettarci dai loro spettacoli dal vivo, cosa ama ascoltare e come nasce la sua musica, con il sogno di trasformare questi concerti in un album live.
Dall’intervista a Iosonouncane in occasione del Linecheck di Milano abbiamo avuto qualche anticipazione su come sarà il vostro live: un set duo dove l’improvvisazione è al centro. Tu come presenteresti il vostro spettacolo dal vivo?
Il nostro live è il perfetto connubio tra due maniere di lavorare diametralmente opposte: Jacopo tende a controllare tutti gli elementi, il suo live è un affresco quasi maniacale del singolo dettaglio. A me, invece, piace suonare libero, improvvisare, assumermi il rischio che qualcosa possa non funzionare bene. Quando suoniamo insieme, pochi elementi sono da supporto. Di certo partiamo dalla struttura di brani già noti al pubblico, ma l’unicità del nostro live consiste nel rielaborarli in una lunga suite dove l’improvvisazione è al centro. È un processo in divenire: partiamo da un punto del brano, poi lo abbandoniamo, successivamente ci ritorniamo sopra… Il nostro live è un’opera creativa che dà vita, sul palco, ad una materia informe, affascinante.
Come è nata l’idea di questo show?
Io e Jacopo avevamo già collaborato. Ci conosciamo da diverso tempo. L’idea è nata con molta naturalezza dato che io sono un suo fan. Amo molto i lavori di Iosonouncane, soprattutto il disco d’esordio (“La Macarena su Roma” ndr), che proponiamo con convinzione nel nostro live poiché contiene un magma sonoro facilmente manipolabile. Quando due artisti si incontrano e si stimano, collaborare è il miglior modo per dirsi grazie.
Cosa significa per te condividere il palco con un artista come Iosonouncane?
È una sorta di scommessa che ci permette di unire due mondi musicali diversi. Chi mi conosce sa che il rock e il post-rock sono alla base della mia poetica, rimanendo molto legato agli ambienti sonori d’avanguardia, piuttosto che agli schemi strutturati della forma canzone. Tra me e Jacopo avviene un po' quello che succedeva negli anni ’70, quando si univano forme espressive diverse con l’obiettivo di costruire insieme qualcosa di speciale, fregandosene della catalogazione del prodotto e condividendo ricerche, percorsi. Questo è ciò che ci gratifica mentre stiamo suonando. Il più delle volte, oggi, le collaborazioni artistiche sono marchi di fabbrica, scelte che partono dalle etichette solo per scopi commerciali: poca spontaneità, poca naturalezza. Io e Jacopo abbiamo scelto di lavorare insieme perché lo vogliamo noi, perché ci divertiamo e ci stimiamo.
(Paolo Angeli, foto di Nanni Angeli)
Esibirvi insieme davanti ad un pubblico mette più in gioco che lavorare in studio?
Lo studio permette di lavorare più approfonditamente su alcuni parametri in maniera creativa, ma anche meno libera. Sicuramente hai la sensazione di poter controllare meglio quello che stai realizzando ed io, che sono un maniaco della perfezione, in studio divento puntiglioso, cavilloso; ricerco il dettaglio più adatto, verifico ogni aspetto, finendo per rimanere poco spontaneo. Il live, al contrario, è sporco, imperfetto, storto. È uno specchio che ti restituisce quello che sei in quel momento, assumendoti il rischio di renderlo ancora più imprevedibile con l’improvvisazione.
Quindi il live è una sfida con il pubblico e anche con se stessi.
La sfida con il pubblico è forte perché lo rendi partecipe del tuo processo creativo ed ogni concerto è diverso. Suonare al Linecheck, di fronte a pochi spettatori in piedi, è differente rispetto ad un’esibizione in un club o a teatro, ma la magia del live è proprio questa. Amo molto anche lavorare in studio. Mi piace l’approccio visionario che la realizzazione di un disco richiede, quella tensione verso qualcosa di misterioso che sta per prendere forma tra quattro mura. Ancor prima di parlare al pubblico, infatti, io parlo con il mio strumento, ma è nell’improvvisazione che scaturisce la vera essenza della mia musica, di fronte ad un pubblico in ascolto.
Suonare dal vivo sembra un po' come aprire la porta di casa ad amici e conoscenti.
Esattamente. Io sto molto attento al feedback ogni volta che suono dal vivo. Apro la porta di casa, le persone arrivano e inizia lo scambio. D’altra parte non invito amici a casa mia per farli rimanere seduti sul divano, ma parlo con loro, rido, scherzo, e capisco subito se stanno a loro agio o no.
Nella tua musica convivono tradizione e sperimentazione. Come riesci a legare insieme queste due componenti, apparentemente in antitesi?
Per molti anni ho pensato che queste due anime della mia musica fossero in contrapposizione. In Sardegna mi legavo alla tradizione e ogni volta che tornavo a Bologna sperimentavo nuove sonorità, credendo di non poterle far convivere. Ho capito che non c’è niente di più sbagliato in questa convinzione. Ad esempio, moltissime delle strategie che utilizzo quando improvviso, sono quelle che ho appreso dai cantadores della tradizione sarda su cui mi sono formato. Pensare alla tradizione come materia viva è corretto. L’idea che i cantori sardi fossero capaci di improvvisare cose sempre diverse mi fa impazzire, alla stessa maniera di quando scopro, dentro ad un brano dei Radiohead, una quantità immensa di piccole rifiniture che svelano la complessità del pezzo, dietro un ascolto apparentemente facile. Io sono molto attratto dalla complessità, soprattutto quando è nascosta all’interno di qualcosa che appare semplice. Questo è il punto di contatto tra la tradizione e l’avanguardia, perché la musica tradizionale sembra banale, semplice, immediata, dal vocabolario ristretto ma, in realtà, nasconde stratificazioni di linguaggi ed elementi vivi nel tempo. D’altra parte anche la musica d’avanguardia presenta una sua tradizione e, dentro al suo solco, io mi sento un musicista tradizionale. Seguo il percorso di qualcuno che l’ha tracciato prima di me. E quando sai da dove arrivi, non hai paura di rinnovare un linguaggio. Allora sperimenti.
Quindi il ‘qui ed ora’ nell’improvvisazione in fondo non esiste.
Il ‘qui ed ora’ è sempre più difficile nell’improvvisazione. Questo può succedere quando non hai conoscenze, riferimenti, sei ‘incontaminato e inconsapevole’, in un certo senso. La musica improvvisata, a partire dal jazz degli anni ’60, dal rock più sperimentale e innovativo, si avvicina alla musica colta e viceversa. Non c’è più distinzione di genere, la musica si contamina. Questo permette a Paolo Angeli e Iosonouncane di suonare insieme e di sentirsi perfettamente a loro agio, pur provenendo da percorsi artistici differenti. Che cos’è realmente il nuovo? Quello che scopri oggi e ti sembra nuovissimo, in realtà ha riferimenti passati. Ogniqualvolta si ha a che fare con la musica, c’è sempre questo gioco di corrispondenze tra passato, presente e futuro. È la sua bellezza, è ciò che la rende tanto speciale.
(Iosonouncane, foto di Silvia Cesari)
Qual è la musica che oggi ascolti più volentieri?
Io sono un ascoltatore un po' strano. Pensa che ho scoperto i Radiohead da pochissimo e non faccio altro che ascoltarli. Li trovo straordinari perché sono alla continua ricerca di linguaggi trasversali che dialogano insieme perfettamente. Mi rimandano al free jazz, alla musica elettronica, ai Beatles, ai Pink Floyd e avverto in loro il richiamo di una tradizione storica, pur nella sperimentazione. Ma il marchio è Radiohead: unico e originalissimo. Lo stesso vale per Björk, da anni la mia fissazione. Come anche l’ascolto dei cori tradizionali sardi degli anni ’30 o di Salvatore Stangoni, un noto cantores sardo. Ultimamente amo moltissimo Tigran Hamasyan, un pianista armeno che unisce il jazz alla radice tradizionale della sua terra.
Parliamo di Bologna, città significativa per entrambi e da cui parte il vostro tour.
Jacopo ci vive ed io ci ho abitato per sedici anni. Bologna per me è stata la città giusta al momento giusto. Dall’89 ho avvertito gli stimoli di una città in fermento, ricca di creatività e buone vibrazioni culturali. Sembrava di essere in una grande capitale europea, seppur all’interno di una dimensione quasi provinciale. Ci tenevamo molto che il nostro tour passasse anche di lì. Ti confido però che suonare a Bologna mi provoca un certo nervosismo, mi fa confrontare con la mia storia ogni volta. Paradossalmente sono più disteso quando mi esibisco all’estero dove mi sento uno sconosciuto in terra straniera.
Progetti per il futuro?
Sto viaggiando molto per promuovere il mio album e la mia musica si muove prevalentemente su tratte intercontinentali. Sono appena tornato dagli Stati Uniti e dal Canada, presto sarò in Asia, a novembre in Sud America. Più che progetti nuovi, il mio desiderio sarebbe quello di fermarmi a casa per qualche tempo. Mi piacerebbe realizzare un disco di questo tour con Jacopo: sarebbe il modo più bello per lasciare il segno di questa felice collaborazione.
PAOLO ANGELI E IOSONOUNCANE - LE DATE DEL TOUR
13.03 Bologna - Teatro Duse
14.03 Roma - Auditorium Parco Della Musica
15.03 Salerno - Teatro Nuovo
16.03 Lucca - Auditorium San Romano
17.03 Cagliari - Auditorium del Conservatorio
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L'articolo Unire due mondi musicali diversi: Paolo Angeli racconta il tour con Iosonouncane di Libera Capozucca è apparso su Rockit.it il 2018-03-06 12:26:00
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