Foto Profilo è la nostra nuova rubrica di interviste con la quale continueremo a seguire la nostra vocazione primaria: presentarvi nuove, validissime band italiane. Le regole sono semplici: con ogni risposta, una foto.
Oggi tocca a Hazina Francia in arte Petit Singe, producer di base in Emilia Romagna che ha pubblicato all'inizio dell'estate un bellissimo ep per Haunter Records, "Tregua".
"NO" / PETIT SINGE / TREGUA Ep from pttsng on Vimeo.
Il tuo ultimo ep “Tregua” (uscito per Haunter Records il 28/6) sembra la sonorizzazione di un sogno lucido, una tregua dai fastidi del mondo. Da cosa vorresti avere una tregua?
Sì, la traccia che ha dato il nome all’Ep è nata proprio in un contesto tranquillo e lontano da ogni agitazione: in camera mia, dopo cena. In realtà più che tregua in senso globale o pacifista del termine, cerco una tregua costante dalle piccole cose, non per forza brutte. Per esempio, la tregua che ho - e che esigo - durante la digestione, appunto.
Nella tua musica si percepisce un’attrazione forte e quasi fisica per le percussioni di ogni tipo. Che funzione hanno nei tuoi pezzi?
Le percussioni sono un elemento molto importante all’interno del miei lavori pur non essendone colonna portante perché non voglio né limitare me stessa nella produzione né il pubblico nell’ascolto dei pezzi. Sono importanti per un radicato affetto che provo per lo strumento. Le ho sempre suonate fin da quando ero piccola, ora semplicemente le ho sistemate all’interno di un contenitore, il progetto Petit Singe. Cerco di mischiare un po’ la nostra scena musicale underground fondata su un basso e una cassa belli ingombranti con sonorità acute, più rare nella nostra cultura. Il suono della tabla egiziana accostato ad una cassa della Roland 808, ad esempio, è la fine del mondo, secondo me. Sinceramente non so da cosa derivi questa mia predisposizione al ritmo, potrebbe essere dovuta alle mie origini (Hazina è di origini indiane, ndr), ma così ipotizzando, come si spiegherebbe il talento dei millantati percussionisti europei? È una teoria che non regge al 100%. Sicuramente le mie origini hanno inciso in parte, ma c’è un ulteriore gap: la cultura musicale indiana si fonda sulla melodia e non sul ritmo, quindi mi ritrovo al punto di partenza.
Qual è l’ultimo suono di cui ti sei innamorata?
Questo, assolutamente. Appena ho visto il video ho deciso di campionare le urla di questa donna, ed ora anche lei fa parte di "TREGUA", della traccia “Metra” per l’esattezza.
Qual è la tecnica e il sentimento che ti guida quando componi una traccia?
Entrambi cambiano di volta in volta. Ti può capitare la traccia che componi in un paio d’ore, come quella che ti ruba una settimana di tempo, se non di più. Mi sono sempre mantenuta molto istintiva nella preparazione della mia musica. Per ritornare al discorso della digestione, per esempio, quel giorno ho creato un sound semplicissimo formato da una linea di basso, un synth, un 16 tempi di drum al quale ho applicato un effetto delay e un suono di un sms perché nel momento in cui stavo registrando un amico mi ha scritto per uscire. Poi ci sono quei lavori che ti fanno stare attaccato al monitor per giorni e giorni senza darti un minimo di soddisfazione. Mi è capitato e li ho buttati nel cestino.
In molti tuoi lavori ci sono voci e atmosfere orientali: in “Festa” c’è un cantato in arabo, nel nuovo singolo “Double Queen” (che hai presentato su Rockit) ci sono percussioni e frammenti di melodie indiane. Che rapporto hai con le tue origini?
In realtà non ne ho. Non disprezzo il paese in cui sono nata, ma ne conosco solo in parte la cultura. Credo sia una realtà molto interessante proprio perché totalmente diversa dalla nostra. Esiste, come esistono tantissimi altri paesi e culture da cui prendere spunto artisticamente. In realtà di indiano nella mia musica c’è molto poco (anche in "Double queen" quello che può sembrarne un richiamo è in realtà un sax “stretchato” ed allungato in 8 tempi). L’unico riferimento voluto è una preghiera indiana che ho inserito nella traccia "Alone". Il problema è che sentendo un paio di percussioni e vedendo che è una ragazza asiatica a suonarle si tende a fare un 2 + 2 molto affrettato, quando, in "Jump" ("Ba//et Ep") i ritmi sono assolutamente extra-asiatici e quelli di altri miei lavori possono tranquillamente fare parte della cultura egizia o di quella turca. Quindi, certamente riconosco e accetto il mio passato e le mie origini, ma ancor di più distinguo il contesto presente in cui vivo e mi muovo ogni giorno.
(Questa fotografia è stata scattata da mio padre quando venne in India per l’adozione, nel 1987)
Tempo addietro hai anche prodotto “Ba//et”, un lavoro pensato per essere accompagnato ad uno spettacolo coreografico di una ballerina. Durante un live, in che modo cerchi di interagire con i movimenti della folla davanti a te?
Esattamente, il progetto Petit Singe nasce proprio da questa ricerca tra musica, performance e visual grazie al pezzo di debutto "Jump". Devo essere sincera, quando salgo sul palco, ho solo l’ansia che Ableton tenga duro e, soprattutto, che rilevi il Launchpad. I primi 10 minuti purtroppo li passo quasi sempre in questo stato, poi, mano a mano, prendo sempre più sicurezza e confidenza col pubblico. Voglio un pubblico attento, è l’unica pretesa che ho per chi mi ascolta/guarda. Ogni video, ad esempio, ha una sua ragione d’essere. Mi piace il coinvolgimento visivo e anche fisico - ballare fa sempre bene -, ed è quello che mi prefiggo per una buona riuscita del live.
(La foto è stata scattata durante la performance di Jump lo scorso anno al Bronson di Ravenna)
Qual è l’ultima foto che hai scattato?
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L'articolo Foto Profilo: Petit Singe di Nur Al Habash è apparso su Rockit.it il 2014-09-25 10:44:00
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