"La miseria è una piscina che si paragona al mare per bellezza e profondità. È la vita che finge di essere la vita, in tutte le sue declinazioni 'trashendentali'". Esordisce così Luca Romagnoli nello spiegare il suo primo disco solista, La Miseria, uscito per La Tempesta Dischi. Luca è il frontman dei Management (del dolore Post-Operatorio), una delle band più interessanti degli ultimi anni. Ora ha deciso di ritagliarsi uno spazio suo, per "raccontare la sua parte più intima, strettamente intrecciata alla visione della società in cui viviamo".
Sono 10 canzoni in cui ha voluto mettere, tra le altre cose, "il linguaggio della politica, il linguaggio più basso della nostra epoca, è l’orrore della guerra (ancora), la povertà dell’odio verso l’altro. La miseria è un bambino che non è più in grado di inventare un gioco, una storia, è anche un genitore che per metterlo a tacere gli piazza tra le mani uno schermo. Dentro quello schermo è tutta una miseria che ci vuole consumatori, consumatori e basta, che ci vuole drogare di desiderio, del ciò che non abbiamo, anche quando abbiamo troppo".
Un disco denso, attuale, ben scritto e ben suonato. Qua quello che ci ha raccontato Romagnoli.
Com'è nata in te la volontà di sviluppare il concept della miseria contemporanea?
Credo che tutto quello da cui siamo circondati e sommersi sia molto misero.
Sia chiaro, non odio la modernità, non odio la tecnologia e non voglio vivere come eremita in un bosco. Tifo per la scienza e odio la natura.
Ma questa nuova civiltà costruita sull'ostentazione di piccoli e grandi conquiste giornaliere documentate in diretta, mi fa veramente pena.
C'è un'immagine che spiega meglio questo concetto?
Ce ne sarebbero un milione, forse anche più alte e intellettuali di quella che sto per citare, ma voglio volare basso.
Due persone sono sedute in poltrona, si stanno baciando. Non sono contente, decidono di prendere il telefono e mostrare questo bacio agli altri.
Cosa stanno mostrando?
Quello che a loro manca.
Sono nulla senza lo sguardo degli altri. Non sono completi, non si bastano.
Mostrano ovviamente una mancanza, mostrano quindi la loro miseria.
Nella musica e nella discografia dove sta la miseria?
Nell'imitazione come processo industriale, in quelle che vengono chiamate "reference" e sono invece dei totali plagi di modelli di successo.
Perchè hai sentito l'esigenza di avere "uno spazio tuo"?
A volte le band hanno bisogno di prendere una pausa. L'ultima volta che ci siamo fermati ho passato un brutto momento che mi ha svuotato.
Noi non siamo altro che quello che facciamo, ho preferito nutrirmi di altri mondi piuttosto che andarmene in vacanza.
Nella lavorazione quanto è stato diverso dal lavoro con la band?
La cosa più interessante della lavorazione di un primo disco solista, è quella di poter partire da zero e non avere nessun passato.
Anche la propria storia a volte influenza la scrittura e la fa diventare un macigno dal quale è difficile allontanarsi.
Insieme al produttore Fabrizio Cesare abbiamo deciso di non pensare. Assolutamente non pensare.
Sei "venuto fuori" più che quanto fossi riuscito a fare fin qua?
Ho sempre lavorato guardandomi dentro, ma quando hai la band che ti protegge si notano meno le fragilità.
Le band sono magiche perché i componenti sommano le loro energie.
Qui ho voluto mostrare solo le mie debolezze.
Dici che il disco è un omaggio ai poeti. In che senso?
Ho voluto omaggiare i poeti che mi hanno più ispirato e che ho più amato, poeti molto marginali, non illuminati da quelle orribili luci al neon del mondo dello spettacolo.
In particolar modo Paolo Maria Cristalli e Vik Stragovin. Due delle loro poesie sono diventate canzoni.
Chi è Fabrizio Cesare e perché è stato cosi importante?
Fabrizio Cesare è il produttore di Setak, Targa Tenco 2024 per il miglior disco in dialetto. Fabrizio ha lavorato con tantissimi grandi artisti della storia della musica italiana.
È stato molto importante perché ho trovato in lui un artista, un musicista e una persona che, come me, non vuole appartenere a niente, a nessuna moda, a nessun circuito, a nessuna scuola di pensiero. Mi ha incoraggiato molto a cercare un altro pianeta in cui potevo vivere.
Il disco è nato in due settimane. Com'è stato possibile?
Proprio perché non dovevamo avere modo di riflettere su quello che stavamo facendo, non dovevamo sporcare il processo istintivo e depensato che ci avrebbe permesso di rimanere puliti da influenze particolari.
Siamo entrati nel suo studio di Velletri ed abbiamo cominciato a urlare e suonare con i gomiti.
La musica è innanzitutto un rito, e anche attraverso la tecnologia si può costruire un processo mentale "tribale”.
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L'articolo Dei poeti e del fare pena: Luca Romagnoli racconta il suo esordio solista di Redazione è apparso su Rockit.it il 2024-12-13 12:03:00
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