Chiusa la conversazione con Giacomo Proia – in arte Proia e basta –, ho capito perché la musica dell’artista abruzzese nato a L’Aquila la notte di Halloween del 1986, nonostante la sua stranezza, mi piacesse un casino: lui è una di quelle persone che aprono la bocca ed è un piacere ascoltarle. Ti incuriosisce, lo ascolti volentieri, e il modo che ha di dire le cose – e di scriverle, nei suoi testi, ma anche nei suoi libri – è un modo speciale, che ti cattura a prescindere dal significato o dal ritmo che prende il discorso, e la sua musica.
Con le sue canzoni insolite ho provato lo stesso interesse a stare zitta e ad ascoltare. Solo così, dietro l’elenco dei tagli di carne suina celebrati in Maiale – prima traccia del suo nuovissimo Animalia, disco sperimentale convulso di parole e basi elettroniche – ho scoperto che Proia la musica la sa fare. Non solo perché gli ha dedicato anni di pratica e di studio, ma soprattutto perché la musica lui fa liberamente, nel modo che gli pare e che gli piace, senza nessun’altra condizione all’infuori di quello che vuole e si sente di fare. Proprio per questo è felice, o piuttosto, lo vedo sereno, mentre parliamo. Al contrario di quelli che rincorrono qualcosa che non è loro a tutti costi, pur di piacere.
Vorrei fare come lui, che ha preso la vita dopo anni di università, una laurea in Scienze della Comunicazione e una in Filosofia, ha mollato la città e si è trasferito tra le montagne dell’Abruzzo, a Corvaro, operando una scelta di vita radicale: "Io e la mia compagna vivevamo da tre anni a Milano. Lei faceva la graphic designer, io facevo la maschera al Teatro Dal Verme e componevo e producevo le mie cose", dice Proia. Insieme frequentavano Mare Culturale Urbano, una delle tante Cascine milanesi dove si fa cultura, si fa aggregazione, dove si fa quartiere.
Un giorno la sua compagna Ilenia – anche lei abruzzese–, gli fa: "Ti piacerebbe aprire un luogo del genere, però da noi?". Erano quelle solite chiacchiere che si fanno ogni tanto per sognare di evadere, tipo quando immagini di aprire un bar alle Canarie, stare lì e rimanerci. "Piano piano, però, questa conversazione tornava e ritornava, sempre più insistente. Finchè un giorno è uscito un bando comunale per prendere in gestione un’ex scuola a Torano di Borgorose (provincia di Rieti, dove tra l’altro è nato mio padre) e abbiamo partecipato", racconta l’artista.
"Abbiamo fatto la follia contro tutto e contro tutti, con il pensiero di creare il nostro 'centro culturale'. Nel 2018 abbiamo aperto e lo abbiamo chiamato Ostello Casa Bella". Con un riferimento spudorato all’Ostello Bello di Milano: "Tanto Milano ormai è lontana", sorride Proia.
D’inverno è un centro culturale, d’estate, invece, è un Ostello e ospita i pellegrini di uno dei cammini più in voga d’Italia. Il Cammino dei Briganti, che passa per Torano: "L’estate scorsa abbiamo ospitato gente praticamente tutti i giorni. È un’esperienza che andava fatta e la rifarei, siamo abbastanza soddisfatti", dice.
Adesso, causa Covid, il flusso di persone è inesistente, allora l’Ostello è diventato il suo studio, dove Proia ha realizzato il suo secondo disco, Animalia: otto brani di poco più di 20 minuti, tutti con qualche animale di mezzo, che popolano un disco complesso, sperimentale, pieno di parole e discorsi impegnati, su una base elettronica. Totalmente autoprodotto con voce, chitarre, basso e synth missati e masterizzati da lui.
Un disco che arriva dopo tre anni dal primo, omonimo, giunto tra l’altro fino a Battiato. O meglio, fino a casa sua: "Appena chiuso il disco, nel 2017, ho scritto una lettera a Battiato con allegato Proia, in cui cercavo di dirgli che era bella musica. Negli angoli più impervi di Internet sono riuscito a trovare il suo indirizzo e gli ho spedito il disco con ricevuta di ritorno, per essere sicuro che mi tornasse indietro con l’autografo", racconta. E continua: "La ricevuta è tornata, ma con una firma diversa: c'era scritto Said invece di Franco Battiato", ride.
Nello stesso periodo, Proia incontra Carmen Consoli durante una serie di concerti al Teatro Dal Verme, dove lui lavorava, e aveva accesso al backstage: "Ho confezionato un cd anche per lei, raccontandole che l’avevo mandato a Battiato, solo che mi era tornato indietro firmato da Said. Così lei mi risponde, con una nonchalance che non dimenticherò mai: 'Ah, si, è il suo giardiniere'. Credo che il disco non l’abbia ascoltato né lei né Battiato, mai”, sorride l’artista.
Il terzo disco è in lavorazione, anche se, di solito, subito dopo la pubblicazione di un suo lavoro, Giacomo si sente un po' svuotato. Ne ha fino alla testa, quindi non vuole saperne nulla per un po’: "In questi giorni, però, sono un po' elettrico e ho voglia di fare, ho voglia di riaccumulare, di tornare alle origini di me stesso – un accumulatore seriale di cose, pensieri e parole – e mi è tornata la voglia fare qualcosa di più corposo, di più epico, un pochino più lontano da Animalia e un pochino più vicino a Proia", anticipa l’artista. Ma riavvolgiamo il nastro:
Domanda banale, ma voglio sentirlo dire da te: chi sei?
Altro che banale. Questa è una domanda esistenzialista su cui si potrebbe scrivere un libro, oppure liquidarla con poche parole. A parte tutto, io ho un nome e anche un cognome: sono Giacomo Proia e attualmente ho 34 anni. Faccio diverse cose nella vita e la musica è una di queste.
Oltre all’Ostello, ho pubblicato in crowdfunding Ordinari Imprevisti, un libro di racconti con Bookabook. E ce n'è un altro più corposo già pronto, che sto spammando in giro per cercare un editore. Nel frattempo, scrivo altre cose su Contrasti e La Balena Bianca, dove ho pubblicato un racconto sulla mia città dieci anni dopo il terremoto.
6 aprile 2009: eri a L’Aquila quando c’è stato il terremoto?
Non ero all'Aquila, ma avevo una casa in affitto all'Aquila. Al tempo ero studente, ma quella domenica sera ero tornato al mio paese, Corvaro, che sta a 20 minuti dalla città. Praticamente c'è il mio paese, c'è la montagna, poi c'è l’Aquila. È stata uno degli eventi che più mi ha segnato e ha segnato tutti noi: per tutte le persone che passano per questi posti, c’è un prima e un dopo quel giorno.
Quando hai imparato la musica?
Nel mio paese c'era un maestro di musica che teneva delle lezioni a domicilio, allora mi riunico con i miei amici e suonavamo con lui. Avevamo cinque o sei anni: c'era quello che suonava la fisarmonica, quello che suonava la chitarra, e io suonavo la pianola. Per diversi anni è stato questo il mio approccio alla musica. Avevo il desiderio di imparare a suonare altri strumenti e l’ho fatto a modo mio. Quando mi sono trasferito a Milano mi sono iscritto alla Civica Claudio Abbado e con gli anni posso dire di aver provato più o meno tutti gli strumenti. Così, adesso, mi trovo nella condizione di poter creare una canzone dalla A alla Z, in piena autonomia.
Strumento preferito, anche se non si dice?
Eh, non lo so, perché dipende dallo stato d’animo, da come mi sento. Magari quella chitarra la metto lì e non la tocco per mesi, la guardo e basta. In questi ultimi giorni, però, la sto suonando parecchio e mi piace molto. Sarà che ho visto un video di Adrianne Lenker che la suona con il pennello e adesso la voglio suonare anche io così.
Prima di Proia, cosa è successo?
Prima mi ero messo in testa di voler fare il compositore. Ma il compositore è una figura un po' strana, un professionista che,però, non sono riuscito ad essere: non riuscivo a dare al cliente quello che voleva, perchè volevo convincerlo che quello che facevo io fosse migliore di quello che voleva lui. Non sono in grado di fare il musicista professionista. Nè voglio farlo, anche perchè ho altre cose in testa oltre la musica.
E cosa significa essere professionisti?
Dal punto di vista musicale significa lavorare e vivere con la musica. Io non mi ritengo tale perché scrivo musica, suono, registro, strimpello quando me la sento, quando mi va. E questo può capitare anche una volta ogni due anni. Prima di registrare l'ultimo disco ci ho messo tantissimo: ho vissuto mesi e mesi senza la minima voglia di toccare uno strumento. Il professionista non è questo, ma è uno che la vive sempre la musica e che in qualche modo fa sempre qualcosa relativo alla musica.
Un bicchiere d'acqua è la copertina scelta per Proia: perchè?
Quello era il mio Battiato e il mio periodo Zen: ero invaghito di questa filosofia, leggevo solo libri che parlassero di questo e anche i testi che scrivevo erano densi di citazioni e di riferimenti alla filosofia orientale. Il bicchiere d'acqua mi sembrava un segnale che indicasse il fatto di non dover spiegare niente a nessuno: la purezza dell'acqua è qualcosa che basta da sola, non deve essere spiegata.
Un album a volte indecifrabile se non si è dentro la tua testa. Non trovi?
Vero. Proia era un album pieno, era massimalista. Un accumulo di cose, ci ho ficcato a forza qualsiasi cosa mi venisse in mente. È questa la cosa che l'ha reso un po' indecifrabile, come dici tu, perchè lo ha sopraelevato rispetto al gusto comune. Non perché più alto della musica pop italiana – intendiamoci –, ma perché c'è troppa roba dentro, rispetto all'effetto che volevo raggiungere.
Un esempio?
All’inizio di NOF4 c'è un campionamento di Mahler, e poi c'è un lift hip hop dove c'è Wagner, con Il funerale di Sigfrido. Lì per lì mi sembrava una cosa geniale ed effettivamente sono contento di questa scelta. Però, l'atteggiamento generale di mettere dentro il mondo in ogni canzone, alla fine ha ottenuto un effetto troppo confusionario. Ogni lavoro che ho fatto prima del presente, per me, significa nascondere rimpianti. E il rimpianto di quell’album lì è stato l’averci messo troppa roba.
Questo aspetto è cambiato in Animalia?
Sì, perchè sono andato molto più dritto e sicuro al punto. Con un messaggio chiaro da dire, senza sovrastrutture, senza troppe idee a coprirlo. Avevo delle idee semplici da esprimere e non ho avuto problemi a farlo. Ho usato poche cose, pochi suoni rispetto al solito: basso, chitarra, synth e voce. Senza archi e senza l’eccesso di un’arte barocca.
Perchè gli animali al centro del disco?
Dopo il periodo orientalista, c’è stato il mio periodo animalista, che comunque continua. Da qui l’idea di mettere insieme delle canzoni che parlassero di animali. È nato un album in cui la prospettiva del mondo animale e la messa in discussione di quella umana si incontrano. E si fondono i due punti di vista.
Anche la copertina di Animalia è schiaccante: me la spieghi?
Come per ogni album, c'è il mio amico fotografo, Alberto Blasetti, uno mega forte soprattutto nel food. Tutte le copertine dei miei lavori sono sue e ogni volta che gli chiedo una foto, lui mi dice: "Senti, non mi scocciare: vai su Instagram e cercatela". Sul suo profilo ho trovato il primo piano di un maiale gigante che mi piaceva tantissimo, lui mi ha dato la cartella di quel servizio fotografico sui maiali. È andata a finire che quella del maiale in primo piano l’ho usata per il singolo Specie, e quella dei maialini che camminano nel fango l'ho usata come cover dell'album.
Come è stato passare dal caos di Roma e Milano, alla vita appartata di paese?
In realtà, il paradosso è che vivevo molto più appartato a Milano o a Roma, perchè a parte il lavoro o a parte qualche amico su appuntamento, non incontravo chissà quanta gente. Da quando vivo qui, se mi affaccio alla finestra e sto un quarto d'ora con lo sguardo fuori, parlo con dieci persone diverse. E questo è l'aspetto anche un po' anche negativo, perché semmai volessi camminare e stare sulle mie, pensare alle mie cose senza salutare nessuno, non potrei farlo liberamente: qui muoversi implica l'incontro, che non sempre è gradevole. Però in un paese di 700 abitanti, qualsiasi cosa succeda, ti senti protetto. Hai sempre qualcuno a cui chiedere una mano o qualcuno da aiutare. È una vita di comunità.
Quindi, meglio vivere a Milano o meglio vivere a Corvaro?
Quando abbiamo lasciato la città, io e la mia compagna abbiamo fatto un elenco dei pro e dei contro: è finita pari, non c'era una vittoria schiacciante del paese rispetto alla città. So di aver lasciato il cinema, il teatro, i negozi, però so anche di aver di aver trovato aria pulita e un bel paesaggio. So di aver perso una moltitudine di persone da vedere e da conoscere – anche se in realtà in Ostello ne ho conosciute parecchie –, però ho trovato la calma e la tranquillità, che va comunque bene.
Tua personale lettura di questo periodo?
È come stare dentro un libro di storia, come vivere dentro delle pagine che si stanno scrivendo nel mentre che le viviamo. Quando la storia ha luogo, spesso noi siamo lontani, e la leggiamo sui libri. Non succede sempre di vivere un evento così grande. A me è successo un paio di volte. Tra queste, il terremoto de L'Aquila. Ma un evento dalla portata storica come questa ci ha portato dentro la storia, mentre che si stava costruendo. Questo ha spiazzato tutti e ha cambiato la mentalità di ognuno, inevitabilmente. Non si può dire semplicemente che ci ha reso migliori, o ci ha reso peggiori: ha modificato le nostre categorie mentali in modo trasversale, e continuerà a farlo. Probabilmente dobbiamo ancora elaborare quello che è successo è quello che sta succedendo, quindi ne riparleremo tra qualche mese. Magari quando uscirà l’altro album mi rifarai la stessa domanda e ne riparleremo, chissà cosa ti dirò.
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L'articolo Proia, musica per pellegrini e briganti di Claudia Mazziotta è apparso su Rockit.it il 2020-12-01 12:30:00
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