Diego Sciucca è un cantante nato a Trieste nel 1999. Ora vive a Claut, "un piccolissimo comune nel Pordenonese". Lì fa il cameriere, il barista e scrive poesie e canzoni con il moniker di Dieg. La vita da eremita – come la chiama lui – e la provincia rendono i suoi brani unici. Parla di una vita lontano dalle luci della ribalta, cercando di creare "una piccola nicchia di gente che apprezza davvero quello che faccio, che si sente capita e coccolata", dice.
Come ti sei avvicinato alla musica?
Ho sempre vissuto a contatto con la musica, ricordo che fin da piccolo sono sempre molto legato a Zucchero e alla musica italiana grazie a mia madre, invece al metal e hard rock da parte di mio padre. La mia formazione artistica parte circa nel 2010 quando ho scoperto la musica indipendente, in particolare Le luci della centrale elettrica, Sick tamburo e Tre allegri ragazzi morti. Poi il resto vien da se. Diciamo che dal 2010 al 2016 ho divorato tutto quello che era minimamente indie. Negli ultimi anni mi sto aprendo di più alla musica straniera.
Collabori con qualcuno?
Di recente collaboro con un ragazzo fantastico, si chiama Elia (Controimuliniavento) e mi dà una grossa mano nella parte musicale. In passato ho collaborato spesso con Soffio, artista Piemontese che consiglio di andare a vedere. Cerco sempre di trovare artisti nel Pordenonese con cui suonare, ma vivendo come un eremita è molto difficile... È altrettanto difficoltoso trovare qualcuno a cui vada bene "l'arte" che faccio.
Come definiresti la tua musica?
La definirei agrodolce, un amarcord. È un misto di rock indipendente, pop, elettronica... Non saprei. Di solito quando sto male scrivo e suono, quello che esce esce. Sono molto aperto musicalmente, forse per questo non saprei bene come descriverla. Tempo fa mi piaceva il termine electro rock ma non mi si addice più. Sono un misto di idee appiccicate con le puntine su una bacheca infinita, tipo quelle per le cartoline. Le mie più grandi ispirazioni sicuramente sono state Vasco Brondi e Gian Maria Accusani, senza contare Giovanni Lindo Ferretti e Franco Battiato. Ma ne avrei veramente troppi da elencare. Però devo aprire una parentesi, perché credo di essere uno dei pochi "artisti" (se posso definirmi così) a fare musica del tutto originale. È raro che dica: "Questo pezzo l'ho fatto pensando a Pomezia di Calcutta". È un mood tutto mio.
Qual è il significato de tuo nuovo lavoro?
L'ultimo mio lavoro si chiama Un gioco noioso. È stata una scommessa, siccome ho ripreso 3 brani molto vecchi e li ho rimescolati in modo che non suonino come le mie demo del 2014. Ho cercato di crearmi una nicchia comoda mettendo un sacco di riverbero, così da dare l'effetto di pienezza, ma allo stesso tempo di malinconia. Gli altri 3 pezzi sono stati scritti tra il 2021 e il 2022, e sono legato soprattutto alla Canzone della provincia, dove parlo dello svuotamento continuo di piccoli paesini di provincia. Oltretutto, come sempre, storia vera.
Qual'è il ricordo più bello che hai di un live?
Avrò suonato letteralmente 3 volte, vivendo in mezzo al nulla mi è sempre stato difficile trovare dove suonare. Però un bel ricordo che ho è stato a un talent show a cui ho partecipato nel 2016. È andato molto bene, non avevo l'asta del microfono e allora uno dei presentatori mi ha tenuto il microfono per 10 minuti. Poi una volta ho fatto un po' di live in giro per Pordenone assieme a Este (mio collaboratore), stessa cosa l'ho fatta a Vienna e mi hanno pure dato delle mance. Lì è tutto diverso.
Progetti futuri?
Ultimare il nuovo album (sarà veramente bello stavolta, avrà una linea conduttrice con intro, outro e intermezzi). Vorrei trasferirmi a Roma, ma tempo al tempo. Purtroppo non posso lasciare il lavoro così facilmente, i soldi sono soldi. In futuro vorrei ritagliarmi una piccola nicchia di gente che apprezza davvero quello che faccio, che si sente capita e coccolata.
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L'articolo Prova a star con Dieg un altro inverno a Pordenone di Redazione è apparso su Rockit.it il 2023-11-05 16:59:00
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