Può il minimalismo elettronico convivere con la musica barocca? È questa la sfida che si è imposta Elena Rivoltini, musicista, cantante lirica e attrice, con il progetto Barocco Elettronico, una fusione di mondi apparentemente agli antipodi e, proprio per questo, dall'incredibile fascino. Ho sentito parlare di lei per la prima volta durante un lavoro sull’eredità dal punto di vista di tecnica vocale di Demetrio Stratos. Lo storico frontman degli Area è stato uno degli alfieri in Italia nel campo della ricerca sulla voce, realizzando esperimenti incredibili anche col “canto polifonico”, che nel suo consisteva nell'emettere più suoni contemporaneamente con la voce. Elena ha preso in parola quanto detto, fatto e suonato/cantato da Stratos anni orsono, costruendo la sua musica sulla sovrapposizione di layer vocali uniti a un tappeto di elettronica e un’attitudine barocca che mi ha immediatamente conquistato, tanto da raggiungerla per scambiarci qualche parola.
Se dovessi definirti oggi parleresti di te come cantante o come attrice? Oppure una somma di queste due figure?
Una somma, direi. Mi sono diplomata al Piccolo Teatro di Milano come attrice e parallelamente ho portato avanti gli studi di canto lirico rinascimentale e barocco. Ora sto contaminando questa formazione iper classica con la musica elettronica e sto creando un progetto performativo che unisce teatro, musica antica, musica elettronica e arti multimediali.
Rispetto a tante altre proposte della musica contemporanea, la tua si muove su un piano piuttosto differente: com'è nata questa tua ricerca sonora e performativa?
Sono sempre stata attratta dalla voce e dal fenomeno della vocalità, espressa in tutte le sue forme, dal canto gregoriano ai vocalist anni '90. Da piccola suonavo la chitarra classica, poi ho scoperto che la mia insegnante di chitarra era anche cantante lirica e le ho chiesto di darmi lezioni di canto. Poco a poco ho abbandonato le corde della chitarra per dedicarmi solo alle corde vocali. Al provino d’ammissione in una scuola di teatro ho portato Sequenza III per voce femminile di Luciano Berio. Mi sono appassionata alle
sperimentazioni vocali di Carmelo Bene, di Demetrio Stratos, di Cathy Berberian e allo stesso tempo alla musica vocale classica, soprattutto sacra e antica. Ho iniziato a studiare canto lirico e ho subito provato a trasferire la polifonia vocale del '500 su una loop station, cantando io stessa e sovrapponendole tutte le parti vocali, dal basso al soprano. Da lì ho continuato a studiare il fenomeno vocale sia applicato al linguaggio che inteso come puro suono e ho capito che la cosa che mi interessava di più era trasferire la conoscenza dell’apparato vocale che si apprende col canto lirico non per applicarla al classico vibrato da cantante lirico ma all’elettronica.
Visualizza questo post su Instagram
Che poster avevi in cameretta?
Avevo quello di Unknown Pleasure dei Joy Division e al suo fianco una foto di Maria Callas alla Scala. Ascoltavo tantissimo Battiato, i CCCP e Bach.
Quanto conta la polifonia nella tua musica?
Moltissimo! È il principio compositivo su cui mi baso, soprattutto per i live. Sovrappongo layer vocali uno dopo l’altro e creo poco a poco l’armonia complessiva. Applico i principi della polifonia dell’Ars Antiqua anche quando sto creando un beat a cassa dritta, voglio dire, nella mia mente ragiono sempre pensando alle parti che compongono una polifonia in senso classico. Ho passato tanti anni a studiare, cantare, ascoltare il repertorio polifonico dal '200 a inizio '500 e mi sono rimaste in mente molte frasi
melodiche che affiorano da sé, senza che io me lo imponga, quando faccio improvvisazioni vocali polifoniche live.
Visualizza questo post su Instagram
Sui social posti bizzarri mash-up di immagini di quadri del '500-'600 con strumenti contemporanei: da dove nasce questo cortocircuito?
Credo da una spontanea predisposizione a trovare delle connessioni tra l’antico e il contemporaneo. Tre anni fa ho portato alla Biennale Teatro di Venezia under 30 un rifacimento elettronico dell’opera seicentesca L’Incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi e avevo cercato di mixare gli elementi della classicità con elementi elettronici contemporanei. Al posto di cantanti lirici e orchestra, sul palco c’era un tavolo consolle da cui suonavo synth, cantavo, recitavo e davo indicazioni ad altri tre performer. Per creare le immagini dello spettacolo avevo chiesto a un’amica di photoshoppare, in modo anche un po’ naïf e giocoso, delle statue classiche con il mio viso e gli strumenti elettronici e da lì poi ho continuato a creare piccole incursioni del contemporaneo nell’arte figurativa.
Se avessi la possibilità di dividere il palco con un artista o una band, chi/quale sarebbe?
Ci sono un po’ di artisti contemporanei sperimentali che ascolto con grande curiosità e con cui mi piacerebbe fare un live. Una che mi piacerebbe è Vica Pacheco, videoartista e musicista messicana che vive a Bruxelles.
---
L'articolo Quando Vivaldi finisce in un rave di Mattia Nesto è apparso su Rockit.it il 2022-05-09 10:37:00
COMMENTI