“Radical Bending”, il nuovo disco dei veneziani Wora Wora Washington, è una dimostrazione di potenza che li candida di diritto ad un posto tra i migliori gruppi in circolazione sotto il capitolo violenza sonora. I tre, Marco De Rossi, Matteo Scarpa e Giorgio Trez, ringraziano, Renzo Stefanel approfondisce con un'intervista dove si parla di suoni e di suono, di parole, di band Vs. cantautori, di provincia italiana Vs. pubblico estero.
Come avete lavorato sulla scrittura delle canzoni e sulla definizione del suono?
In realtà “Radical Bending” è una continuazione di “Techno Lovers”: non a caso alcune canzoni sono state concepite al termine della registrazione del precedente... Poi le abbiamo portate ad un nuovo livello, cercando nuove sonorità che avevamo cominciato a capire con il precedente lavoro. La differenza la fa oggi l’esperienza. Due anni intensi spesi in Italia ed in Europa rendono le idee più chiare e la mente più veloce; i cambi e aggiornamenti della strumentazione (nuovi synth, nuovi effetti, nuova batteria, o meglio vecchia batteria customizzata a suon di seghetto e fresa) ne sono state la più evidente conseguenza. Noi per la definizione del suono abbiamo lavorato così. Riguardo la scrittura dei brani, ci troviamo a volte in sala prove a volte nel nostro studio. Come si diceva il sistema è rodato, noi affiatati, perciò le “cose” ci riescono spontanee. Le canzoni le registriamo, le pre-produciamo self-made e archiviamo quelle che potenzialmente farà parte del prossimo album.
Avete scelto di cantare in inglese. È un modo per dire che le parole, poi, in fondo, non sono così importanti (una bestemmia nel Paese dei cantautori)?
Al contrario, noi alle parole teniamo moltissimo. I nostri testi sono in parte scritti da Giulia Galvan, una music poet vicentina che sfida a colpi di penna (e secondo noi stravince) la noia dei testi di molti pseudo-cantautori italiani. Cantare sul palco ciò in cui ti stai immedesimando è un privilegio che noi vogliamo tenerci ben stretto. Il non sense lo lasciamo a chi sa farlo. “Distraction”, ad esempio, integra nelle liriche le scritture di Chomsky. Il testo è per noi uno strumento di solfeggio e di melodia, fondamentale per dare significato a ciò che stiamo suonando… noi sfruttiamo le parole: Sillabe Sonore Su Strofe Sensate. Poi, certo, non vogliamo precluderci l'estero e l'italiano è appunto la lingua dei cantautori, noi invece siamo una rock band!
Il disco mi è piaciuto molto, ma ho anche apprezzato che sia molto breve, in quanto dura mezz’oretta. Una scelta voluta (se dispiace, non rompe troppo; se piace, lascia l’acquolina in bocca) o casuale?
Non ci siamo mai posti il problema della durata di una canzone o del disco. C’è chi “compone” con il cronometro in mano e incolla una canzonetta al disco solo per aggiungere minuti. Durante le registrazioni di “Radical Bending”, abbiamo optato per il “solo quello che ci piace veramente”. Sembrerà un concetto banale ma da questa decisione ne è scaturito, a nostro avviso, un disco ricco e denso, privo di fronzoli o lungaggini.
Capita che le le testate e il pubblico raginano ancora in termini di album, ha senso secondo voi? Non sono meglio i singoli o gli ep in stile anni '60.
I singoli indie, in Italia, non se li caga nessuno; al momento hanno una logica solo per chi distribuisce su ITunes o per quei gruppi che hanno il passaggio radio. I Wora Wora Washington distribuiscono gli album principalmente ai loro live o tramite i vari incontri di etichette indipendenti. Sarebbe impossibile vendere gli mp3 in questi contesti. È vero anche che ci piace credere che l’album sia un contenitore, e raccolte al suo interno le diverse canzoni che cantano di un'unica lunga storia, cosa che un singolo non potrà mai trasmettere in soli tre minuti.
Inoltre per noi il “media è il messaggio”, il supporto stesso è una presa di posizione. Il cd è un oggetto da custodire in teca, da trasferire magari nell' Ipod, ma assolutamente da avere fisicamente in mano. Penso solo al lavoro che serve per la parte grafica che ha l’oneroso compito di trasferire in un'unica immagine di copertina, il mood e il sound di due anni di lavoro. È un tassello di un’opera più grande senza il quale sarebbe tutto in bianco e nero. La risposta quindi è che per noi, ad oggi, ha ancora senso ragionare in termini di album.
Con “Radical Bending" abbiamo reso un omaggio a tutti i collezionisti e dj che amano ballare con la nostra musica: un vinile di colore rosso da veri feticisti.
Arrivate tutti da altre band importanti - Libra, Travolta, The Transiste - quanto contano queste esperienze a livello musicale, nella costruzione della musica dei WWW?
L’esperienza ed il background musicale (anche a livello di gusti musicali) di ognuno di noi è completamente diverso. Ognuno di noi ha attitudini, pregi e difetti che però alla fine si compensano e bilanciano. Nei Wora abbiamo sempre voluto essere tutti egualmente protagonisti, tant'è che ove possibile nei live set suoniamo allineati e non nella classica posizione, batteria dietro, cantante avanti. Non abbiamo un frontman, per capirci.
I gruppi precedenti sono state ottime palestre, ma qui facciamo uno sport diverso. Qui ci divertiamo.
A proposito: il nome? Perché? Che significa?
Una bambina che adesso è una mamma da piccola giocava ad essere una rappresentante di commercio con una valigetta viola regalatagli dal suo babbo. I prodotti che vendeva servivano a salvare il mondo: Wora Wora Washington era il suo datore di lavoro.
Da fuori, mi sembra che la scena veneziana non sia più così dominata da reggae e funky. Le cose sono cambiate davvero?
Nel veneziano c'è di tutto, e forse c'è sempre stato. È cambiato forse il sistema di promozione, che non è più esclusivamente dettato da dei buoni dischi e da dei buoni live. I vari Facebook, Youtube etc. etc… spostano di molto le attenzioni dalla buona musica alle buone foto/video. La percezione che si ha dal di fuori del “giro” è quella di repentini cambi di scena, ma per chi vive all’interno, il fermento, in questa isola musicale, è sempre vivo sia per il reggae, sia per il funky, sia per il jazz, che per il rock. Aneddoto in proposito di scena veneziana: un paio d’ anni fa a Latina, al termine di un concerto, ci chiesero: “Ma cosa avete voi in Veneto che siete tutti così incazzati?!” Non abbiamo ancora trovato risposta.
Vi state muovendo molto anche all’estero. Ci sono differenze nell’approccio del pubblico nei vostri confronti rispetto a quello che ha il pubblico italiano?
Fino ad oggi siamo stati bravi a far di divertire e ballare gli spettatori sia in Italia che all’estero. A volte, però, si ha la percezione che il pubblico italiano, se non ti ha già visto/sentito, ti etichetterà come il gruppetto di periferia fine a sé stesso senza godersi lo spettacolo. Sembra mancare la curiosità di vedere qualcosa di diverso da ciò che già si conosce. I motivi sono moltissimi: dai locali che non vogliono o non possono investire sulla musica, fino ad arrivare alla stampa che concede pochi spazi ai recensori i quali spesso e volentieri cercano il paragone o/e l’ accostamento (“…bello qui assomiglia a questo, toccando punte di quest'altro con connotati di quell'altro ancora”) a discapito dei veri commenti o critiche (“Bello, punto…” o “Schifo totale, addio!”).
È come se il pubblico italiano avesse bisogno di essere sempre imboccato su come inquadrare un gruppo e fosse disposto ad ascoltarlo solo se è simile a qualcosa che già gli piace... Manca la curiosità.
All’estero i Wora vengono presentati come il gruppo Punk o Krautrock o Electro: chi viene al concerto è perciò consapevole, preparato e curioso di vedere uno spettacolo live di Punk, o Krautrock, o Elettro a sorpresa. E se sarà stato un bel concerto sarà tutto di guadagnato. Questa è la differenza.
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L'articolo Wora Wora Washington: quindi le parole sono importanti? di Renzo Stefanel è apparso su Rockit.it il 2012-07-23 00:00:00
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