Uno fa da una vita pop elettronico. Gli altri il pop elettronico ce l'hanno in testa da quando hanno iniziato a suonare. Far scambiare loro qualche chiacchiera è sembrata la cosa più semplice e insieme sensata. Raf intervistato dagli Amari.
Dariella: Premessa: per noi è un onore fare questa intervista, siamo di fronte a un musicista che ha avuto una carriera piuttosto eccezionale. E complimenti per il disco "Le ragioni del cuore": ci è piaciuta l'idea di cambiare gli arrangiamenti ai pezzi e ascoltandolo abbiamo trovato che, per l'uso delle parole e delle metriche ci sia parecchia affinità con quello che facciamo noi.
Raf: Credo che in quello che ho fatto io nel pop e in quello che fate voi ci sia sempre una certa irrequietezza, una voglia di complicarsi un po' la vita. Vedo che è una cosa che fate anche voi e questo è un complimento che vi faccio.
Dariella: Grazie, ma cosa intendi per irrequietezza?
Raf: Intendo quei cambiamenti evolutivi, che ti spingono sempre a non ripeterti e a trovare strade nuove, sperimentando sempre su se stessi e sulla propria pelle.
Dariella: Prendersi dei rischi...
Raf: Sì, è sempre rischioso e comunque è una cosa che io apprezzo. Al di là di tutto, anche dei risultati, perché chi lo fa dimostra di fare musica con estrema passione, mette al primo posto questo piuttosto che risultati che, a volte, possono essere di comodo.
Dariella: Partiamo dal principio. Sappiamo che il tuo esordio è stato nel rock con Ghigo Renzulli nei Cafè Caracas, ma poi hai ottenuto il successo in chiave elettronica. Era la Firenze dei primi anni '80 e la new wave era il suono che ti circondava. Per noi, iniziare a usare campionatori e simili è stata la cosa più facile perché era quello che avevamo intorno. Anche per te è stato così? Seguivi la scena elettropop e ne eri appassionato?
Raf: Allora c'era il fascino della prima tecnologia elettronica che usciva, perché venivamo da anni di strumenti canonici nel rock. C'erano già stati i primi sintetizzatori analogici - alcuni dei quali ancora possiedo, che sono degli strumenti splendidi, eccezionali. Però in quegli anni era uscito il suono elettronico-digitale, che, per noi vecchietti di quella generazione, era un'innovazione notevole. In quel periodo - parlo del periodo con Ghigo, nelle cantine con i Cafè Caracas - non c'erano programmi per fare musica e anche il personal computer era una cosa per pochissimi.
Dariella: Non c'erano ancora i primi sequencer, insomma...
Raf: C'erano dei sequencer ma erano assolutamente ingestibili. Non prevedevano l'uso di un software, di un computer. Erano macchine quasi primitive, ma per noi avevano comunque un fascino incredibile, nonostante fosse quasi impossibile usarle dal vivo.
Dariella: In un certo senso c'era quindi la voglia di abbracciare il nuovo della tecnologia per portarlo nel nuovo della musica.
Raf: Sì, anche se, ai tempi, con Ghigo e Renzo Franchi non utilizzavamo nulla di tutto ciò, perché eravamo un gruppo rock classico, basso, chitarra e batteria. All'epoca molti ci hanno affiancato ai Police, ma io volevo fare qualcosa più vicino ai mod inglesi. Però siccome facevamo anche brani con una base ska, il paragone più facile - visto che io ero anche un bassista cantante - era per molti quello con i Police.
Dariella: Non possiamo non dire che "Self Control" è stato uno dei pezzi della nostra infanzia.
Pasta: E' uno dei pezzi chiave di quel periodo e vorremmo chiederti un aneddoto riguardo quel pezzo?
Raf: "Self control" è un pezzo che avevo provato a realizzare già quando stavo a Firenze con Ghigo. Poi ho fatto un periodo a Londra in cui ho fatto diversi lavori e al ritorno avevo in mente di iniziare a lavorare come produttore musicale. In realtà poi ho conosciuto Giancarlo Bigazzi (autore e produttore fiorentino tra i più importanti nella musica pop italiana, NdR) e ho cominciato a fare delle cose con lui. Avevo questo brano, che poi è diventato un brano dance, molto diverso da quello che era all'origine. Tutto partiva da un giro di basso di Grandmaster Flash, solo che io non lo facevo con il basso, ma con la chitarra.
Dariella: Qual era la cosa che avevi più paura di perdere degli anni '80 quando hai scritto "Cosa resterà di questi anni '80"?
Raf: In realtà non mi sono mai fermato a pensare a cose come questa e ancora oggi faccio così, perché mi aiuta a vivere in modo più sereno il presente. In quel decennio, fino ai primi '90 ho avuto una vita molto intensa, considerando poi che venivo da un piccolo paese della Puglia, molto provinciale e privo di qualsiasi contaminazione con il mondo esterno. Vengo da questo mondo totalmente isolato e poi all'improvviso, lungo tutti gli anni '80, ho affrontato un'attività molto intensa: a Firenze, Bologna, Londra e poi la svolta con "Self Control" che è diventata una hit mondiale, senza che nessuno se lo aspettasse.
Pasta: Quando stavi scrivendo "Cosa resterà di questi anni '80" eri conscio di stare facendo qualcosa che sarebbe diventato una sorta di manifesto?
Raf: L'idea è nata semplicemente dal fatto che eravamo nel 1989, alla fine di un decennio. Pensavo sarebbe stato interessante scrivere qualcosa su un decennio in cui è cambiato tutto, è stato rivoluzionario.
Dariella: Si è dovuti arrivare alla fine degli anni '90 per capire quanto quel decennio sia stato influente a livello musicale e quanto lo sia tuttora
Raf: Sì, tutto quello che stiamo ascoltando, nel bene e nel male (più nel male, mi viene da dire), è legato a quegli anni. L'idea era nata per quello: scrivendo non pensavo a cosa era successo a me in quegli anni, ma a cosa era successo nel mondo.
Pasta: I tuoi successi, messi in fila e ascoltati in questo disco, hanno due soggetti comuni: un io e un tu a cui ti rivolgi. E allora vogliamo chiederti: quanto c'è di autobiografico nelle tue canzoni e se credi al potere curativo dello scrivere canzoni.
Raf: Non c'è quasi mai niente di autobiografico, a parte forse le ultime canzoni, come "Le ragioni del cuore", uno dei due inediti della nuova raccolta. Questa è un po' un biglietto da visita, parlo di me e lo faccio come non avevo mai fatto prima. Dalla fine degli anni '70 ho suonato in gruppi progressive, new wave, punk, rock e ho avuto a che fare anche con cose che riguardavano l'hip hop di New York degli anni '80, ho conosciuto anche graffittisti... tutti morti peraltro. A un certo punto mi sono accorto che non avevo mai scritto canzoni d'amore. Quando ho cominciato a farlo, ho avuto prima un certo imbarazzo, mentre poi ha iniziato a prendermi e oggi molti mi conoscono solo per quello.
Dariella: Evidentemente funzionavano...
Raf: Sì, evidentemente funzionavano. Mi dispiace essere identificato solo con quel tipo di canzoni, però se succede così, è un dato di fatto, perché alla fine le radio passano quel tipo di canzoni. E comunque è qualcosa di cui vado fiero, perché alcune canzoni d'amore le ho scritte in totale onestà e ancora oggi, ascoltandole, trovo che il risultato sia buono. Come "In tutti i miei giorni", ma anche "Infinito": sono canzoni d'amore, ballate che non è poi così facile scrivere. Sono pop, ma nella loro semplicità sono complesse da scrivere.
Dariella: Ecco, collegandoci proprio a "Infinito"... Noi abbiamo iniziato a metà '90 da hip hop e rap, spostandoci poi verso il pop, ma mantenendo alcuni elementi del genere. In brani come "Infinito", però, ci sembra di sentire che anche tu hai mantenuto certi aspetti e certe metriche vicine a quel mondo.
Raf: Un po' mi appartiene. Nell'85 andai a New York, perché mi ero innamorato di una ragazza che abitava lì. In città, uno dei miei punti di riferimento era un amico, Steve Piccolo dei Lounge Lizards.
Pasta: Grandissimo!
Raf: Eh, sì. Io lo conoscevo perché stava con una mia amica di scuola a Firenze. Prima che si trasferisse in Italia, era un mio riferimento a New York e lì ho conosciuto anche gente che faceva street art, dei rapper e ne sono rimasto subito colpito. Mi ha affascinato molto quel mondo. L'esigenza di voler dire tante cose in una canzone obbliga a inventarsi una metrica complessa, simile al rap: se provi ad adattarla in un contesto pop viene fuori qualcosa come "Infinito", che poi ha un'apertura e un ritornello, ma le strofe le sono questa sorta di ibrido tra rap e una melodia mono-tono, su cui magari girano armonie e accordi, mentre tu rimani fisso su una nota.
Pasta: In pratica gli Amari!
Dariella: Conosciamo bene questa cosa, la facciamo sempre anche noi. Secondo te perché il rap italiano oggi è così pop?
Raf: È molto pop perché oggi tutto è sempre più pop, soprattutto se parliamo del rap che è tornato di moda tra i pischelletti. Al di là di questo, tutto rientra in un appiattimento culturale devastante che va avanti da metà degli anni '90: prima cercavi e trovavi delle ragioni all'interno di un mondo alternativo. Con i Cafè Caracas ci proponevano contratti discografici e noi li rifiutavamo puntualmente. Credo che oggi tutto sia riportato all'immediatezza, alla semplificazione e quindi al pop. È la cultura in generale che è così, anche la letteratura e qualsiasi forma di comunicazione.
Dariella: Quando tu hai iniziato era il periodo d'oro dei cantautori. Anche adesso sono tornati di gran moda: sembra che, in Italia, puoi anche scrivere la poesia più alta, ma se non imbracci una chitarra acustica il tuo repertorio non sarà mai considerato cantautorale. C'è una vera e propria resistenza culturale.
Raf: In Italia noi dobbiamo fare i conti con una cosa molto radicata che è avvenuta tra anni 60 e 70, quando c'è stato un movimento giovanile e studentesco politicizzato e quindi anche la cultura di quegli anni andava inserita in quel contesto. E da quel contesto, a cui appartenevo anche io, è uscita la critica musicale: così, ancora oggi, chi fa musica che può essere ricollegata a Dylan o Guthrie oppure, restando in Italia, ai cantautori di quell'epoca, viene considerato istituzionalmente a posto. Poi ci sono dei rari casi in cui la critica si butta su cose che non capisce, ma tendenzialmente devi avere ancora le caratteristiche del cantautore anni '70. Io più di voi, penso, perché facevo parte di quel mondo frivolo e sempliciotto degli anni '80. Ho avuto e ho molti problemi con la critica.
Dariella: Penso anche a un personaggio come Max Pezzali, che ha saputo raccontare in modo realistico una generazione, ma ancora oggi nei suoi confronti c'è una grande resistenza.
Raf: Sì è vero, poi certo, uno non ne fa una malattia, ma non puoi fare a meno di notare la differenza tra la nostra piccola Italia, che in queste cose diventa ancora più piccola, e gli altri paesi, che hanno un respiro molto più internazionale e non hanno avuto la nostra storia musicale e culturale. Per questo hanno una diversa apertura.
Dariella: C'è una frase di Jovanotti su chi ascolta la musica che penso riguardi sia i nostri, sia i tuoi dischi: "O li fai ballare, o li fai emozionare". Condividi questa affermazione o pensi che si possa far convivere questi due aspetti in una sola canzone senza sminuire uno dei due?
Raf: Secondo me stanno sullo stesso piano. Ci sono alcune canzoni che ti colpiscono profondamente, che devi stare ad ascoltare e ti toccano anche se non ti fanno muovere. E poi ce ne sono altre che ti toccano perché non puoi proprio fare a meno di muoverti. È una cosa felice, istintiva, primordiale, bellissima. Se c'è una divisione, la farei tra canzoni che ti emozionano stando fermo e altre che ti emozionano ballando.
Dariella: Cosa ti ha colpito nella musica elettronica contemporanea? Preferisci le cose più clubbing o della musica più introspettiva? Riassumendo: cosa c'è nel tuo iPod in questo momento?
Raf: C'è un po' di tutto, c'è un gran casino. Che poi l'iPod lo uso pochissimo, preferisco ascoltarmi i cd, per non parlare poi dei vinili. Sto ascoltando tantissima roba. Giusto per fare un nome, Alessandro Cortini, ha un nome italiano ma vive in America, e fa cose molto interessanti con dei synth analogici. Poi sto riascoltando cose vecchie di elettronica, a partire dai Kraftwerk che rimangono tra i maestri dell'elettronica. Poi di quei tempi anche i primi Depeche Mode. Sorprendentemente ascolto anche tutt'altro, come concerti per solo pianoforte, non solo musica legata a quello che faccio. Ascolto anche l'hip hop attuale, sia italiano che americano. Io sono prima di tutto un grande ascoltatore, perché mi piace proprio ascoltare musica. Visto che non sono della generazione Playstation, passo il mio tempo ad ascoltare musica.
Dariella: Beato te che non sei stato distratto!
Raf: I miei figli, invece, nonostante i miei veti...
Dariella: Ma tu cerchi di portarli sulla strada della musica?
Raf: Secondo me la cosa più giusta è non forzarli. Mio figlio, che ha solo 12 anni, ha voluto una chitarra e prende lezioni. Non da me, a scuola, però è stato lui a volerlo, io non ho mai cercato di spingerlo su quella strada.
Dariella: Per concludere: hai mai sentito qualcosa di nostro?
Raf: Ho sentito soprattutto singoli pezzi, ma ho ascoltato anche un vostro disco... aspetta che cerco il titolo (naviga tra Wikipedia e il sito in cerca di una copertina, NdR)... ecco, era "Grand Master Mogol" ed ero rimasto davvero piacevolmente sorpreso.
Dariella: Beh, dentro c'è un pezzo che potrebbe essere tuo: "Tremendamente belli" ha una linea che è Raf al 200%.
Raf: Non lo so, perché sono gli altri che riescono a capire queste influenze. Tu da solo non lo capisci: è come quando ti dicono che assomigli fisicamente a qualcuno, tu guardi e poi ti sembra che non c'entri nulla. Comunque di vostro mi piacciono molto anche le ultime cose: ho visto il video "Il tempo più importante" ed è veramente carinissimo. Ma invece, scusate... "Grand Master Mogol" è del 2005? Ammazza quanto tempo è passato...
---
L'articolo Raf intervistato dagli Amari di Amari è apparso su Rockit.it il 2012-11-16 00:00:00
COMMENTI