A tre anni dall'ultimo album "Silenzio", Rancore e Dj Myke sono tornati con nuovo ep, "S.u.n.s.h.i.n.e.", che conferma tutto quello che già sapevamo: i due hanno inserito un qualcosa che nel rap nostrano non si era ancora sentito, sia a livello di metriche che di soluzioni sonore. È una sfida continua, parola dopo parola. Abbiamo raggiunto Rancore al telefono per intervistarlo.
Partiamo con una domanda facile: di che parla “S.u.n.s.h.i.n.e”?
Parla del nostro rapporto con la musica: le parole che ho tirato fuori, il viaggio emotivo/filosofico che volevo trasmettere, tutto questo è associato al nostro percorso musicale. La chiave di lettura del pezzo la trovi in “non devi venerare il sole ma la luce che vedi”: non devi venerare l'artista ma quello che produce, il suono che emana. Si tratta di una pulsione, è il motivo per cui l'artista fa una cosa. Non è un caso se, pochi giorni dopo l'uscita dell'ep, abbiamo messo tutta la nostra discografia in free download.
Che parallelo c'è tra questa e "D.a.r.k.n.e.s.s.", la traccia che apriva "Silenzio", il vostro album precedente?
In primis nell'acronimo del titolo. I pezzi si svelano in più ascolti, non subito. L'acronimo è una parola di cui ogni lettera può costruire un'altra parola ed un altro concetto ancora. In "D.a.r.k.n.e.s.s." c'è il nostro lato più oscuro, "S.u.n.s.h.i.n.e" è l'altra faccia della medaglia, o meglio: se prima regnava il caos ora possiamo dirti con chiarezza su cosa puntare. "S.u.n.s.h.i.n.e" viene dopo "D.a.r.k.n.e.s.s.", se fosse il contrario saremmo messi male. Dopo la notte c'è l'alba, lo speriamo almeno (ride, NdA).
Credevo fossero entrambi pezzi sulla depressione.
È un aspetto presente nel nostro rap, è vero. Tanta creatività nasce dall'ansia ma, ad essere sincero, per "S.u.n.s.h.i.n.e" mi sono proprio fermato a guardare il cielo e ho descritto nella maniera più semplice possibile il raggio di sole che bucava la nuvola. Dovevo esprimerlo con delle parole che restassero per sempre, in modo che ogni volta che riascoltavo il pezzo ricordassi perfettamente quell'immagine. A priori è un messaggio positivo.
Positivo o no, 8 minuti sono tanti per una canzone.
L'idea iniziale è stata di Myke. Il sole ci impiega otto minuti per raggiungere la terra con i suoi raggi. Una volta sentita la base mi è piaciuta talmente tanto che sono partito a scrivere e non mi sono più fermato.
In “Factotum” racconti tre figure ben distinte: un mafioso, un banchiere, un prete. A differenza di altre canzoni, qui non c'è un alcun giudizio morale dietro. È corretto?
Assolutamente sì, volevo immedesimarmi il più possibile. Ovviamente cercando di rimanere nei limiti delle legalità (ride, NdA). Tramite la mia esperienza personale, le cose vissute e quelle lette, ho cercato di entrare all'interno di queste tre mentalità; questo il primo step. Il secondo step è stato raccontare i tre personaggi all'interno di una città piccola ed il loro atteggiamento nei confronti della vita di tutti i giorni. Il prete sente le confessioni di tutti, il banchiere gestisce i soldi di tutti, il criminale gestisce quello che è l'underground della città in cui abitano tutti. Fa parte del mondo, chiamiamolo “ermetico”, che ho costruito nelle mie canzoni. Il mio messaggio è che ogni cosa è collegata ad un'altra e, a suo modo, la influenza.
E questo succede anche in “Capolinea”. Sei uno dei pochi nel rap italiano che fa canzoni con dei personaggi e parla poco di sé stesso.
Perché, appunto, è tutto collegato. Io sono in tutti gli altri e tutti gli altri sono in me. Tutti per uno, uno per tutti (ride, NdA). Osservando le cose che mi circondano e provando, poi, ad esprimere ciò che vedo con determinate parole... si crea un tipo di ricerca che, forse, è davvero l'unico modo che ho trovato nella vita per accettare la realtà, le persone e tutto ciò che ne consegue.
Hai mai provato a scrivere un libro?
Mi piacerebbe ma spesso l'ansia va contro la scrittura.
Sei un tipo particolarmente ansioso?
Troppo.
E come riesci a gestirla l'ansia?
Non te lo so dire: un po' vado a caso, un po' mi sforzo di scrivere anche se in quel momento sono agitato. Spesso è la scrittura stessa a tranquillizzarti e, quindi, una volta che inizi tutto va a posto. È importante darsi dei limiti, canalizzare bene le forze, altrimenti è il caos e nel caos non puoi esser sereno. La rima, in fondo, è un tentativo di mettere un senso matematico alle parole, attraverso l'uguaglianza. Serve un po' di pace interna per farlo e per trovare le parole che, oltre ad essere in rima, rappresentino quella parte visiva che vuoi raccontare. La canzone nella mia mente è un film.
Quanto ci metti a scrivere un pezzo?
Ci posso mettere un giorno come un mese o un anno. Non c'è una regola.
Facciamo un passo indietro: perché scrivi?
Perché ho delle cose da dire, e sono cose che devo dire. Per quello scrivo.
A volte sembra che tu non voglia descrivere solo un insieme di persone, come i protagonisti di “Capolinea” o di “Factotum”, ma l'umanità intera. Prendi “La macchina del tempo”, “Tempi moderni”, “L'architetto”.
Non tanto l'umanità intera quanto tutto quello che “sono stato”. Ovviamente non sono mai stato realmente nella preistoria - mi riferisco a “Macchina del tempo” - ma, in un certo senso, è come se ci fossi stato. La mente e il cuore sono due cose molto, molto forti, che ci permettono di viaggiare ed essere in tanti posti. In “Tempi moderni” idem, è come se fossi un uomo venuto dal futuro.
E adesso arriva la domanda pesante. Consapevole che non si possa risolvere tutto in una chiacchierata al telefono, te la faccio lo stesso: a differenza di molti altri rapper, e diversamente da come lo facevano le posse negli anni '90, spesso le tue canzoni hanno un preciso intento morale. Ne parliamo?
Della morale concettuale non mi va di parlare, c'è una morale musicale che è altrettanto importante. Ho sempre portato molto rispetto verso il nostro suono, è il frutto di una sintesi che richiede tanto lavoro, tante idee e tanta ricerca. È questa la morale, se proprio vogliamo trovarla.
Non mi hai risposto però.
Voglio dire che, fondamentalmente, abbiamo dato tutto ai nostri pezzi e quello che ne è uscito è il nostro messaggio più importante. Sull'altro tipo di morale, sul dire che andare da McDonalds è sbagliato o cose del genere, non saprei risponderti. È solo uno degli aspetti che compongono un discorso, a mio avviso, molto più complesso. La morale la trovi negli atti, nel come produci le cose, non in come le spieghi.
“UlulA” è ambientata a Roma?
Sì. Parla metaforicamente di un bosco e degli animali che ci vivono dentro. Parla dell'idea di trasformazione: di persone che diventano molto aggressive, come lupi mannari, ma poi si ritrovano a dover gestire la rabbia. Parla del ritorno alla natura, inteso come il ritorno ad una città selvaggia. E, infine, parla di animali che possono rappresentare il potere, piuttosto che la lotta al potere o i collegamenti tra la lotta al potere ed il potere stesso.
Canzoni d'amore ne hai mai scritte?
Sono tutte canzoni d'amore.
Probabilmente anche Jovanotti risponderebbe così.
(ride) Ce ne sono alcune che parlano anche d'amore, ma come spesso accade hanno più di un'interpretazione. La risposta seria è: no, non ne ho mai scritte di canzoni d'amore.
Il rap è va fatto tutti i giorni?
Sicuramente, come tutte le cose. Ti devi sempre allenare. Ogni tanto devi dare un colpo più deciso in modo che la ruota continui a girare per più tempo ma, di norma, devi sempre metterti in discussione. Devi sempre creare qualcosa di nuovo: sia in “S.u.s.h.i.n.e” che in “D.a.r.k.n.e.s.s.” ci sono cose che non avevamo mai fatto prima e che nel rap italiano non avevamo ancora sentito. Era una bella sfida riuscirci, sono tutte sfide.
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L'articolo Uno per tutti: il ruolo di Rancore nel rap italiano di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2015-09-14 10:19:00
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