(Ettore Giuradei in una scena del video di "La Repubblica del Sole")
Una lunga intervista che affronta la sua storia, il modo di scrivere canzoni e il suo rapporto con gli altri cantautori - anche se non gli piace la parola cantautore - ma, soprattutto, che ci rivela una piccola e semplice idea: l'Italia deve riappropriarsi delle parole, liberarsi della patria, della nazione, della religione, dell'educazione, e ripartire dal proprio vissuto. Ettore Giuradei inizia parlandoci del suo ultimo album, "La Repubblica del Sole", per finire a ridefinire confini e poetica del nostro Paese. L'intervista di Ester Apa.
La rinascita fra le macerie. In una congiuntura storica in cui l'unica forma di azione possibile sembrerebbe essere la traversata nel deserto, pensare che arriverà certamente una Repubblica del Sole, non è solo uno un auspicio ma una forma di resistenza auspicabile. Quando nasce e cosa rappresenta "La Repubblica del Sole", per Ettore Giuradei?
Nasce dal pensiero di provare a credere in una dimensione diversa da quella attuale. Il tentativo di provare a pensare che non è il posto fisso o la pensione che dà senso alla vita ma la consapevolezza di vivere. Essere "sani" dentro per poter esplodere fuori. Riuscire ad arrivare ad un livello di energia talmente potente da distruggere abitudini e pregiudizi che ostacolano la "normale" convivenza e lo spirito libero. Il disco è frutto di un percorso molto lungo iniziato con i primi provini al Bunker di Rubiera (RE) a luglio 2009, proseguito a casa nostra, TavernaStudio, a ottobre e novembre dello stesso anno e nei mesi di maggio e giugno 2010 allo studio Adesiva Discografica di Milano e concluso, sempre alla Taverna Studio, con le ultime correzioni di mio fratello Marco e il mixaggio finale di Domenico Vigliotti.
Nelle righe che accompagnano questo lavoro ed esplicano il significato del titolo scelto, citi una frase di Artaud: "Mai come oggi si è parlato tanto di civiltà e di cultura, quando è la vita stessa che ci sfugge". Da queste parole sembra chiaro come il tentativo di riflettere in musica sul proprio presente storico debba per te passare necessariamente dal racconto personale, che può e deve diventare però oggi narrazione sociale...
Credo di essere inserito totalmente nel contesto che mi circonda. Il mio paese è il mio laboratorio di idee. In questi anni ho avuto l'occasione di capire che la gente non parla più di quello che pensa e vive ma parla con parole suggerite, in modo sempre più banale e scontato, da personaggi che, da destra a sinistra, approfittano del loro potere per rendere sempre più estenuante e sterile la vita del Paese. Quindi credo che ci sia bisogno di tornare soprattutto ad una coscienza personale e dunque collettiva, allontanandoci rapidamente da persone a cui crediamo ma che non conosciamo. Dovremmo iniziare a conoscere noi stessi e parlare solo di persone e cose che incontriamo e viviamo realmente e non virtualmente. In questo modo potremo finalmente liberarci da concetti sempre più astratti e inutili come patria, nazione, religione, educazione, morale.
Da "Panciastorie" a "La Repubblica del Sole" sono passati 4 anni. In questo arco temporale hai visitato, toccato con mano, suonato in ogni angolo possibile dell'Italia. Quanto è rimasta dell'attitudine degli inizi e quali sono state invece le certezze acquisite con gli anni, che ti hanno portato alla scrittura odierna?
È rimasta la voglia di suonare ovunque, di vivere il tour con compagni fantastici, di incontrare persone che insistono nel proporre nuova musica, che portano avanti una vera battaglia culturale fatta di vita sul posto, di conoscenza del territorio e della sua gente, persone che riescono a decidere e pensare senza seguire per forza le mode del momento o il consiglio di un'agenzia. Le certezze che ho acquisito negli anni sono purtroppo il contrario di quello che ho appena detto: purtroppo c'è ancora troppa gente, soprattutto addetti ai lavori, che parla, commenta e decide senza conoscere, senza sapere, e che, tra l'altro, esige il rispetto ad ogni costo, sia del proprio ruolo che della propria fantomatica professionalità all'italiana: fare e dire cose col culo ma ad effetto. Sono convinto che questa realtà, che rispecchia la realtà italiana in pieno, fatta di finto rispetto e scarsissime capacità, di slogan e pubblicità, di partiti e religioni sempre più distanti dalla dimensione "uomo", abbia condizionato la mia scrittura odierna.
Le immagini che accompagnano il singolo, girate da Giacomo Triglia, su una spiaggia della Locride, ti ritraggono mentre scavi nella sabbia e ritrovi anime perse, ricordi, vite che passano intorno, figure italiane rappresentative come Pasolini, Gaetano, Fellini, Gaber. Qual è il tratto d'unione che le tiene insieme?
Quasi tutti i personaggi che compaiono nel video sono accomunati da una lucidità incredibile che è sempre riuscita a smascherare i trucchi del potere. Purtroppo sono accomunati anche da un accanimento spietato da parte dell'opinione pubblica, da un abbandono, soprattutto nel momento della morte, e dal rammarico di sentirsi spesso incompresi e banalmente semplificati.
Quanto necessaria è la narrazione provinciale, l'eredità dei padri, le colpe e le possibili liberazioni in questi brani?
Credo che tentare di capire la realtà di provincia ma, ancora di più, del paese e della famiglia in cui si è nati sia un ottimo modo per focalizzare l'attenzione sull'essenziale permettendo di individuare i motivi di mutazioni distorte.
L'importanza delle storie, delle melodie scelte ma anche e soprattutto degli arrangiamenti. Sono questi ultimi la parte preponderante, la metà della mela che divide il torsolo insieme alle parole scelte?
Hai perfettamente ragione. La cura estrema del particolare da parte di mio fratello Marco, che consiglio a tutti come produttore/arrangiatore, e di Domenico Vigliotti, nostro amico/fonico, anche a mio avviso, ha fatto la differenza. Due ventiquattrenni con una consapevolezza incredibile del proprio mestiere e del proprio ruolo. Instancabili nell'inseguire la perfezione del momento. Ci tengo a citare tutti i musicisti che hanno partecipato e condiviso la realizzazione dell'album: in primis il leggendario ed energico Alessandro Pedretti alla batteria, il mistico artista Danilo Di Prizio alle chitarre, Giulio Corini al basso, Accursio Montalbano, Andrea Faccioli e Max Carinelli alle chitarre elettriche, Roberta Carrieri e mia sorella Emma ai cori, Daniela Savoldi al violoncello e Maurizio De Virgilis ai fiati.
Il mood che tiene insieme le nuove canzoni allarga lo spettro della cifra stilistica: teatrale, carnale, che ti appartiene come tratto musicale genetico. Cosa non ti è mai piaciuto degli stilemi cantautorali italiani e quanto del tuo songwrtiting di oggi pesca però in quel background?
È il termine cantautore che m'ha dato sempre un po' fastidio. Anzi che m'ha sempre dato fastidio è il bisogno che c'è sempre stato di catalogare. Secondo me oggi la differenza la fa chi ha qualcosa da dire e porta avanti argomenti che ho citato nelle risposte precedenti, alcuni esempi? Baustelle, Caparezza, Zen Circus, Teatro degli Orrori, Dino Fumaretto, Momo. Come dico spesso la mia figura di riferimento è ed è sempre stato Fabrizio De Andrè, soprattutto per la sua capacità di coinvolgere e farsi influenzare da personaggi del suo stesso calibro come Pagani, Piovani, De Gregori, Fossati, ecc.. questo ha permesso la riuscita di dischi sempre diversi e originali che non l'hanno mai ingabbiato in un genere o stile.
Anche in questo terzo lavoro sei accompagnato da tuo fratello, Marco. Quali sono i pregi e le incombenze di lavorare così a contatto con un parente stretto?
Parto col dire che con mio fratello mi trovo veramente bene. Sono convinto d'avere avuto un gran culo a trovarmi un musicista così in famiglia. Viviamo nella stessa casa anche se in appartamenti diversi, siamo amici, abbiamo idee, non solo musicali, molto simili. Di incombenze al momento non ne sento quindi non voglio nemmeno sforzarmi di trovarle, al massimo te lo dirò col tempo.
E di famiglia si continua a parlare in Mizar Records e in una nuova esperienza che vede protagonista entrambi i fratelli Giuradei che è la Tavernastudio. Ci racconti entrambi i laboratori e come si riesca a non essere schiacciati ma semmai rinvigoriti da un cuscinetto di relazioni familiari ed emotive che fanno da traino ai progetti lavorativi?
La Mizar Records è nata dall'incontro tra me e Davide Danesi nel momento in cui stavo iniziando a pensare di pubblicare il primo album "Panciastorie". Da due anni mi sono defilato perché non me la sentivo di produrre altri gruppi. Volevo concentrarmi esclusivamente sul mio "progetto". L'idea TavernaStudio è nata quando abbiamo iniziato la seconda fase dei provini de "La Repubblica del sole", a ottobre 2009. Parecchie parti del disco sono state registrate qui. In più avevamo l'esigenza di creare una situazione di scambio artistico/culturale. Io, Marco e Domenico abbiamo unito le forze per allestire lo studio e da marzo 2010 abbiamo iniziato a registrare anche gruppi esterni. Crediamo molto nella TavernaStudio perché abbiamo cercato di creare una situazione professionale/familiare. I gruppi che vengono da noi si possono fermare a dormire, in una casetta a pochi metri dallo studio, Domenico garantisce l'ottima qualità di ripresa e di mixaggio, Marco dà una mano su arrangiamenti ed eventuali parti suonate e io do un opinione sui testi e cucino per tutti. In più la Taverna è uno spazio che stiamo usando per organizzare secret concert, situazioni di festa e per ospitare musicisti e gente di passaggio.
Le figure femminili che dipingi sono spesso anime mitologiche ma soprattutto incantatrici. Ieri una zingara, oggi una strega: quasi come se negli incontri amorosi niente fosse mai quello che sembra...
Sia in "Zingara" che in "Strega" ho cercato di focalizzare l'attenzione sulla parte essenziale dell'amore: la carnalità, la complicità e il sogno della completezza. In alcuni versi ho provato, anche qua, a smascherare l'ipocrisia della vita di coppia a tutti i costi, del bisogno forzato a creare una famiglia e soprattutto alla tendenza di sopprimere l'essenza dell'altro/a imponendo uno stile di vita familiare/morale che è molto distante dalla verità dell'uomo.
"From Brescia with love", dicevo un po' di tempo fa, riferendomi all'humus creativo della tua città negli ultimi tempi. Mi dipingi la sua cartolina musicale?
A Brescia, da qualche anno, siamo riusciti a creare un ambiente fatto di condivisione e di scambio vero, senza gelosie e chiusure inutili. Abbiamo una decina di locali che in città e provincia propongono musica alternativa tutte le settimane. Diverse etichette che producono e promuovono nuovi gruppi. Una radio, Onda d'Urto, che grazie a Jean Luc Stote, sta dando sempre più spazio alla vera musica. Giornalisti attenti che seguono costantemente concerti e uscite discografiche. Promoter locali instancabili, ("Aldino" Bonanno e tanti altri). In più, nell'ultimo anno, sono nati 4 o 5 studi di registrazione, ideati da gente competente e umile. Un grazie va anche ai musicisti che nonostante la popolarità continuano a mantenere una vita musicale fatta di ricerca e mestiere, come Asso Stefana. Altra cosa fondamentale è la tendenza ad organizzare festival estivi che propongono musica alternativa. Mi piacerebbe, di seguito citare tutte le persone, che nei diversi ruoli sopra citati, stanno facendo di tutto per arricchire la scena musicale locale e non solo ma mi servirebbero almeno due facciate…a tutti grazie e un abbraccio. Un'ultima cosa: come noterai, anche nell'ultimo elenco manca "casualmente" la presenza delle istituzioni, che oltre a non fare assolutamente niente spesso ostacolano lo svolgersi e l'evolversi di questa scena.
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L'articolo Giuradei - La Repubblica dei Giuradei, 31-01-2011 di Ester Apa è apparso su Rockit.it il 2011-01-31 00:00:00
COMMENTI (2)
brescia domina!
bellissima intervista, complimenti!