Esce oggi "Ciao Cuore", il nuovo album di Riccardo Sinigallia che arriva a 4 anni di distanza da "Per tutti". Di mezzo ci sono state importanti esperienze come produttore, un periodo di tranquillità, l'ingresso in Sugar e molto altro. Con lo sguardo come sempre lucido e consapevole su quello che succede intorno a lui, nella musica e fuori, Sinigallia ci racconta questo nuovo, bellissimo album, le sue impressioni sulla musica contemporanea e tanto altro.
Una delle ultime volte che abbiamo parlato risale al tuo disco precedente, "Per tutti". All'epoca ci avevi raccontato che venivi fuori da un periodo un po' stanco, in cui se non fosse stato per Sanremo probabilmente avresti mollato, avevi addirittura venduto gli strumenti. Oggi come va?
Incredibilmente bene, perché dopo quel periodo difficile, con una famiglia, due figli, non vedevo più la possibilità di credere nella mia attività personale. Come produttore sì, ma non come cantautore. Non c'era molto interesse sulle mie cose e tutti pensavano, e forse continuano a pensarlo, che non avessi quel tipo di dimestichezza. Invece poi mi hanno chiamato a Sanremo, sono stato bravo ad aspettare e tenere il disco senza farlo uscire, perché poi Fazio e i suoi autori mi hanno salvato invitandomi lì. Anche con l'eliminazione, si è creato un nuovo piccolo interesse, che mi ha permesso intanto di arrivare alla Sugar e conoscere Caterina (Caselli, ndr) e tutte le collaboratrici che hanno ereditato la mia storia strana, piena di magnagne, forse non sono neanche abituati a lavorare con delle storie già scritte. E poi il lavoro che ho fatto negli anni con Caterina lo sento tanto, e abbiamo un rapporto bellissimo. Lei mi ha molto stimolato, quindi ora mi sento molto soddisfatto.
Quindi è da tanto che stai lavorando a questo disco?
Sì, è da tanto, ma non in maniera ossessiva. Faccio anche altre cose per fortuna e voglio continuare a farle, perché non mi interessa la vita del cantante che pensa solo ai propri dischi, con la pausa tra uno e l'altro vissuta in maniera ansiogena.
Sempre in quell'intervista dicevi: "Non riesco a scrivere canzoni partendo da un tema o da un evento storico". In questo disco mi sembra che tu abbia superato questo limite con canzoni come "Che male c'è", che è dedicata a Federico Aldrovandi.
Sì infatti è cofirmata da Valerio Mastandrea. Ti racconto la storia. Quasi 10 anni fa lui mi ha portato una chiavetta USB e mi ha detto "Falla diventare una canzone". Ho letto queste due pagine di rabbia autentica, una cosa potentissima, ma allo stesso tempo sulla quale non sentivo l'autorizzazione per poter entrare. Troppo personale e drammatico. Ho chiuso e sono passati altri due anni. Poi in Grecia, dove vado sempre per lunghi periodi, in un momento particolare di grande solitudine, di notte, ho ritrovato la chiavetta e sono entrato in un universo: è uscita questa canzone, editando queste due pagine, aggiungendo delle cose mie, mettendole in metrica. E alla fine è venuta fuori una canzone che ha emozionato me per primo, talmente tanto che non avrei neanche voluto pubblicarla, mi sembrava un'invasione di campo. Poi l'ho fatta sentire a Marina Rei e lei subito l'ha fatta arrangiare da Ennio Morricone, in una versione che però secondo me non le rendeva giustizia. A un certo punto l'ho cantata a Ferrara in una ricorrenza dedicata a Federico, davanti a sua madre Patrizia che mi ha detto che era una delle cose più belle mai scritte su suo figlio. A quel punto ho sentito la voglia di farla entrare nel mio repertorio.
Continuo a citarti: "Secondo me una canzone d'amore è bella quando mi mette in imbarazzo, quando mi vergogno di suonarla". Ti vergognerai di suonare "Niente mi fa come mi fai tu" e "A cuor leggero"?
Mi vergogno come un cane (ride)! Tra l'altro "A cuor leggero" era stata scritta per "Per tutti", ma mi sono vergognato a metterla perché mi sembrava eccessivamente sentimentale. Valerio, che è molto presente in questo disco, mi chiese di fare la cover di "Bankrobber" dei Clash per la colonna sonora di "Non essere cattivo". Mi misi a provarla con grande sofferenza (ride), poi Laura (Arzilli, moglie e bassista di Sinigallia, ndr), mi suggerì di fargli ascoltare "A cuor leggero", la proposi ed entrammo in contrasto, ma innescando nuovi significati e interpretazioni anche per me. Me ne sono reinnamorato e ho preso coraggio. Come se Marinelli e Borghi avessero dato una nuova forza alla mia canzone, tanto che non solo l'ho messa nel nuovo disco ma è anche la canzone di chiusura.
Ho una curiosità su "Niente mi fa come mi fai tu". Puoi spiegarmi meglio questa frase? "E so che può sembrarti stupido / dirtelo suonando / per anni a testa in giù".
Ha un doppio livello, a livello personale si riferisce al cliché shoegaze di suonare a testa in giù, perché spesso mi hanno criticato per il fatto di non guardare avanti. È una critica che non condivido, ho sempre amato l'aspetto della timidezza, dell'inadeguatezza dell'artista sul palco. Ho sempre preferito un artista a disagio sul palco di uno che sta lì a petto in fuori. In Italia soprattutto è una specie di canone quello del cantante che guarda avanti e spara, mi da molto fastidio. E quindi vuol dire questo, Laura sa che io sono questo, e so che può sembrare stupido che io che appartengo a quel tipo di estetica, trovi il coraggio di dirglielo in una canzone. Dall'altra parte mi piaceva perché poteva far pensare a questi 25 anni che abbiamo vissuto insieme veramente a testa in giù, a subire.
Invece cosa sono i "tempi pari" di cui parli in "Bella quando vuoi"?
I tempi pari per me sono i tempi banali del pop contemporaneo. Parlo del fatto che quasi tutta la musica occidentale sia divisa in quarti, ottavi, sedicesimi e trentaduesimi. Molto spesso è quantizzata e viene reiterata, e quindi è inevitabilmente morta in partenza. Almeno io la sento morta. Ed è ovviamente una metafora anche extramusicale, è uno schematismo, il fatto di programmare, utilizzare la parte razionale anziché quella ancestrale in ogni tipo di espressione. È quello che dicevo nel disco precedente, in "Che non è più come prima": mi piace la musica e quindi la vita che sa accogliere l'imprevisto e sa surfare sull'errore, generando nuove cose. Mi piace la musica continua, poi naturalmente mi piace anche l'elettronica, ma quando è soul, tipo quella dei Kraftwerk, non mi piace quella che semplicemente sceglie i suoni su una programmazione.
Mi spieghi la genesi musicale dell'intro del disco, che parte da una sontuosa partitura elettronica da cui emerge un pianoforte chiarissimo e la tua voce che parte subito alta?
Non è stata una cosa programmata. Sai che la scrittura di una canzone, chitarra e voce, non è molto diversa da una composizione elettronica. Con la chitarra o il pianoforte giri intorno a delle armonie, poi a un certo punto ti viene voglia di spostarti e farne un'altra. Io ogni tanto applico questa cosa con l'hard disk recorder. Mi piace registrare in maniera molto pura la parte radicale, immediata, e ho registrato questo intro con l'Organelle, un mini synth analogico che avevo appena comprato. Il giro elettronico mi piaceva tantissimo e l'ho registrato subito. Poi però non potendo più uscirne, o la tenevo così come un musicista elettronico, e la portavo avanti, oppure avevo quest'altra registrazione già fatta come cosa a sé, con pianoforte e testo di Buffoni, che mi piaceva tantissimo ma non ritenevo ancora esaustiva. Ho provato a metterli insieme e ho visto che c'era un dialogo netto, e che la parte testuale della prima parte elettronica, questo testo che non c'è, era perfetto per arrivare alla poesia contemporanea col pianoforte sotto, perché bilanciava la mia proposta.
Chi sono quelli che "dicono niente paura e intendono niente coraggio / e spacciano il disamore per un buon superamento"?
Aiuto (ride)! Tanti, molti colleghi. Tanta musica pop apparentemente impegnata degli ultimi 25 anni.
Quando hai scritto "Le donne di destra"?
Circa due anni fa, è una cosa che non avevo mai esposto se non a cena con degli amici con cui spesso discutiamo di gusti, tra maschi. Io spesso mi trovo in una divertente situazione di solitudine nell'affermare che sono attratto da un tipo di donna che non è vicina alle mie abituali frequentazioni come posso dire, culturali, politiche etc. Ma quando passa una Ferilli o una Lecciso, non posso far a meno di ammettere che ho un rapimento, e apprezzo molto la loro dimestichezza con questo aspetto della femminilità, che forse poco dopo però potrebbe diventare stucchevole.
Sì, magari viverci insieme è un'altra cosa.
Esatto! Io penso che anche ai miei amici piacciano, però non lo ammettono. Ho questa presunzione. Quando l'ho scritta ho preso la chitarra elettrica, ho fatto un giro blues e sparato il testo nel microfono, ci ho messo tre minuti.
A questo proposito, la voce mi sembra pochissimo trattata nel disco, certe volte sembra di sentire un live.
In passato l'ho trattata molto, per esempio nel mio primo disco forse è anche fin troppo "sofferente". In questo disco c'è un'attitudine più soul, "Ciao cuore" vuol dire anche quello, per cui la voce ho voluto tenerla molto avanti e pulita. Anche come presa di posizione nei confronti della scelta opposta, che in questo momento è un cliché abbastanza fastidioso.
Ultimamente ho intervistato molti professionisti del "dietro le quinte" e spesso le interviste sono ancora più interessanti di quelle ai musicisti (senza offesa), raccontano delle storie bellissime. Visto che nel disco c'è una canzone dedicata al tuo backliner, mi racconti una cosa che hai imparato da lui, o un aneddoto?
Io ho sempre subito molto la figura del backliner, sin dagli esordi quando salivo sui primi palchi il backliner era una figura da venerare, avevo una specie di sudditanza psicologica. Adesso, con l'esperienza, mi sento di poter essere alla pari. Però spesso il backliner è uno molto serio che ti incute timore e ti mette alla prova. Poi li conosci e di solito sono le persone più tenere e fraterne che tu possa incontrare. Aneddoti ne avrei tanti, in particolare un mio backliner storico mi ha davvero salvato la vita da una situazione pericolosissima, un hangover psichedelico direi, in cui non riuscivo più ad aprire gli occhi. Lui era più fatto di me, ma io non potevo bere neanche un bicchiere d'acqua, ero veramente in un'altra dimensione. Mi prese per mano e mi portò in un McDonald di notte, lo vedevo verde con in mano un doppio cheeseburger e non gliene fotteva niente, però mi ha salvato la vita (ride).
Mi racconti chi sono le persone sulla copertina del disco?
Rappresentano ognuna una canzone. C'è mia figlia che ha vinto il concorso "Ciao cuore", nulla può superarla. Poi c'è Laura per i due pezzi d'amore. Le due donne di destra che sono le uniche attrici che abbiamo chiamato. Franco Buffoni, il poeta di "So delle cose che so", la ragazza di colore è la fidanzata di mio nipote che interpreta Dudù e tiene per mano mio figlio e il figlio del mio fonico che fanno me e mio fratello da piccoli. Poi c'è il poster di "Non essere cattivo" e la macchina della polizia originale.
Cosa ascoltano i tuoi figli?
Di tutto, sono bombardati da queste nuove forme, trap e pop soprattutto. Però a casa siamo tutti musicisti, il nonne ascolta jazz, Coltrane, musica brasiliana. Io e Laura abbiano i nostri ascolti. Hanno un'ampia scelta e sono stimolati, ma io non li indirizzo, perché mi sono costruito da solo il mio gusto musicale e vorrei che fosse lo stesso per loro. Ogni tanto mi esprimo perché sentono delle robe davvero... ma cos'è questa merda? E loro non so se fingono di essere d'accordo, però mi dicono di sì (ride).
Però le ascoltano lo stesso!
Ma il problema è che spesso arrivano e basta, per esempio nelle playlist. Stai ascoltando una cosa bella e poi spunta una cacata! Un pezzo ogni tanto della Dark Polo Gang ci sta però.
Tu hai un rapporto con la scrittura dei testi molto dritto, sei molto rispettoso della lingua e della metrica. Cosa ne pensi di un certo modo di approcciare la scrittura degli autori contemporanei, per esempio i calchi dall'inglese di Tommaso Paradiso ("Loserare"), alcune frasi di Calcutta ("Mi sono addormentato di te"), i non-testi di Young Signorino o alcuni esperimenti come quello di Quentin40 che taglia le parole a metà per ricercare un certo flow alla francese?
Secondo me dipende dalla lealtà con cui si fanno le cose. Io sono attento perché sono leale con me stesso e ho la presunzione di sentirla questa responsabilità. Quando ho sentito Quentin40 ho capito che lo fa lealmente, ha trovato la sua cosa, è un po' forzata ma mi piace. Se poi diventa un cliché e arrivano gli imitatori non mi piace più, come gli imitatori dei Thegiornalisti. Comunque parlando con questi artisti mi sono reso conto che la distruzione è la loro bandiera, lo sticazzismo letterario e anche sociale, è l'unico messaggio che arriva dalla trap e dal nuovo pop. Fanno a gara a chi se ne fotte di più. Nella prima ondata della trap era molto fico, meglio loro del pop che da 25 anni non dice niente. Però adesso la domanda che mi faccio è "tutto qui?", possibile che sia solo questo?
Il passo che manca, a mio parere, è il distruggere per costruire. Ci si aspetterebbe che in un momento di profonda crisi sociale e politica come quella che stiamo vivendo, dall'arte arrivino delle reazioni, invece si vede solo disimpegno.
L'arte è lo specchio della politica, Di Maio è l'indie e Salvini è la trap. È la reazione a 25 anni di ipocrisia. Per 30 anni è stata proposta la musica di impegno, però poi lo sanno tutti che questo impegno serviva solo a procurarsi dei vantaggi. Ho visto artisti parlare di politica per aumentare il proprio bacino d'utenza, perché lo vedi se una persona è politicamente attiva o semplicemente al bisogno utilizza l'argomento. La novità di Salvini è come la novità della trap, lui cerca di mantenere le proprie promesse politiche. Dice che farà la flat tax e manderà a casa gli immigrati e tutto l'impegno politico è correttamente dedicato al raggiungimento di quegli obiettivi. Tutti quelli della trap e dell'indie, col loro lessico, fanno la stessa cosa. Ti dicono: "questa è la verità, a me interessano i soldi, la fica e quanti followers ho". Non gli interessa altro che questo, ma nel dirlo sono onesti. Se avessi sentito uno di quei cantautori affermare una di queste verità, gli avrei stretto la mano con il sorriso. La cosa che invece mi ha dato fastidio di tutti questi colleghi è che parlavano d'altro. Ho sentito canzoni spirituali, di meditazione zen, cantate da persone che farebbero finta di non conoscerti se ti trovassero in autostrada fermo con la macchina. Quell'ipocrisia è arrivata alla fine, e la musica contemporanea ha reagito così. Gli artisti autentici, Edda, Dimartino, Filippo Gatti, Francesco di Bella, tutti quelli che spingevano autenticamente per il loro sogno, sono stati tutti messi sotto un tappeto.
Quindi tu dici che in questa frivolezza c'è dell'autenticità?
Sì, nella prima Dark Polo e in qualcun altro ho sentito quel tipo di verità.
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L'articolo Riccardo Sinigallia - Al cuore, Riccardo di Chiara Longo è apparso su Rockit.it il 2018-09-14 10:20:00
COMMENTI (1)
Ho letto l'intervista un po' per caso e per noia. Ma l'ho trovata veramente molto interessante. Bravo Riccardo Sinigallia. Ragionamenti analitici e paralleli davvero stimolanti.