Non ci sono dubbi che Rkomi abbia una scrittura personale e una capacità di guardare più a fondo degli altri. È emotivo, acuto, e si lascia influenzare dalle cose che lo circondano che, poi, finiscono puntualmente nei suoi pezzi. Si fa guidare dai beat e dai sentimenti del momento, dice. E così ha messo insieme “Io in terra”, un album complesso sia per le sonorità coinvolte, dal jazz fino alla trap, sia per la storia che vuole raccontare. Le pistole sotto il cuscino, i viaggi in giro per la città ascoltando musica e senza pensare a niente, l’amore che gli ha cambiato la vita. Una lunga intervista per parlare di rap e dei mostri che affollano la sua testa.
La prima traccia del disco mi ricorda alcuni pezzi di Neffa o di Gruff - “La Storia” ad esempio - sia per il flow e per il funk, ma anche per quella voglia di riassumere la propria vita in pochi minuti, me la racconti?
È un onore essere accostato a nomi del genere. La canzone di Gruff che citi non la conosco, mi spiace, almeno non mi si può dire di aver copiato (ride). Era importante per me fare quel riassunto, la mia vita di merda raccontata in due minuti in mezzo. È come far entrare l’ascoltatore nella mia testa spiegandogli cosa è successo prima e cosa sta succedendo adesso. Parlo spesso del passato nei miei pezzi.
Nell’ultimo anno sono usciti parecchi articoli sul tuo passato e quasi tutti si concentravano sulla storia del ragazzo cresciuto nel brutto quartiere ma che poi ce l’ha fatta. Che effetto ti faceva rileggere la tua vita così tante volte?
Ora non mi fa né caldo né freddo, all’inizio era un po’ un peso. Non che non ci dormissi la notte, ma l’idea che fossi così esposto e tutti sapessero tutto di me un po’ mi preoccupava, sono pur sempre fatti molto personali. Alla fine, però, sono stato contento di fare quelle interviste, anche perché sono della filosofia che bisogna sempre lavorare su se stessi. Se parlare di queste cose fosse stato un problema, avrei dovuto superarlo in qualche modo.
“Prima ancora di farcela avevamo già vinto” è una bella frase, ne vogliamo parlare?
In quella frase parlo dell’attitudine, della personalità, del voler rischiare… Devi sapere che io ho fatto parecchi sogni a riguardo e poi molte di quelle cose si sono avverate sul serio.
Intendi un sogno vero?
Sì, da ragazzino avevo fatto molti sogni relativi al tipo di vita che sto facendo oggi. Poi uno può crederci o meno a questo tipo di rivelazioni, ma certamente sono dell’idea che, qualsiasi cosa tu voglia fare, se vuoi farla, ce la fai. Ci sono anche i problemi pratici, è chiaro, ma per me è la tua attitudine mentale a fare la differenza.
E parlando di cose pratiche, cosa è cambiato in quest’ultimo anno?
Ho spesso i fan sotto casa, ho qualche soldino in più, ma la mia vita non è poi così cambiata. Non mi piace ostentare troppo i soldi ma nemmeno far finta che non ci siano, come dico in una traccia del disco: “E non è che non capiscono il viaggio ora che. Ho fatto due soldi sembra che debba nasconderli a tutti costi”.
Più in generale, che rapporto hai con i soldi?
Ti direi che riesco abbastanza a dargli il giusto valore. Sono piuttosto “dritto” e non dò troppo peso alle puttanate. Ogni tanto ci casco ed esagero un po’ nell’ostentarli, ma immagino che capiti a tutti, a maggior ragione per chi fa questo genere.
Mentre con i fan come va?
Rispetto ad un anno fa va meglio, non che prima fossi uno stronzo, ma ero più in paranoia, più viaggioso. A me piace uscire di casa, ascoltare la musica, sognare e non pensare a nulla. Diciamo che se tu mi vedessi in giro potrei sembrarti un po’ strano (ride), ma è una cosa molto mia e che voglio continuare fare. Ora mi sento più aperto, più capito dal pubblico e molto più sereno. La gente con me è davvero calorosa, quando mi fermano per strada sono tutti molto affettuosi.
Non per portarti sfiga, ma non hai la paura che quella della trap sia solo una bolla e che tutta l’attenzione che hai oggi possa svanire da un momento all’altro?
Non mi sono ancora posto il problema, fortunatamente non saprei risponderti. Sono più concentrato su quello che sono rispetto a quello che sarò. Non ho nemmeno la sensazione di aver bruciato le tappe e che tutto sia esploso troppo in fretta, sai? Mi sono sempre messo in discussione su tutto: nonostante avessi sempre avuto molti feedback positivi, sia dai miei colleghi che da altri addetti ai lavori, ci ho pensato parecchio prima di far partire le prime collaborazioni.
Se uno legge i tuoi testi non ti farebbe così equilibrato.
Ho i miei momenti “no” e anche un ego bello grosso, ma devo dire che nel mio lavoro - sia in studio, che nel live - ho trovato un bell’equilibrio.
C’è stato un momento preciso dove hai capito che ce l’avresti fatta davvero?
Non saprei scegliere un momento solo, ti direi l’uscita del video di “Oh Mama” o quando ho finito la registrazione dell’ep “Darsen Sollen”. Oppure l’apertura al concerto a Salmo a Milano - nonostante la mia performance non fosse stata incredibile - dove mi sono reso conto di quanti già conoscessero le mie canzoni e di quanto cuore ci fosse nel mio pubblico.
E, più in generale, quando hai capito che la trap italiana sarebbe esplosa?
(lunga pausa) Noi un po’ ce l’aspettavamo, davvero prima ancora di farcela avevamo già vinto. Come ti dicevo, io sono sempre stato dentro quest’ambiente prima ancora di pubblicare i miei pezzi e me lo sentivo che qualcosa sarebbe successo. Mi sembra tutto così forte e interessante. Io sono piuttosto particolare - e ti giuro che questo sarà l’unico “momento ego” dell’intervista - colgo dettagli che forse altri non vedono subito.
Che tu abbia una sensibilità particolare è un dato di fatto. Ti piace Fibra?
Molto. È uno dei rapper più geniali, coraggiosi e capaci che abbiamo in Italia.
Secondo me avete in comune la capacita di restituire bene determinate paure, anche lui ha la testa piena di fantasmi. Sei d’accordo?
Sì, sono d’accordo. Il suo modo di scrivere mi è molto vicino e pare che anche lui apprezzi le mie cose, me l’ha detto Nebbia tempo fa. Lui ha il cosiddetto “occhio pazzo”, vede mostri e fantasmi ovunque ma sa individuare anche gli angeli. Ha fatto dischi molto scuri ma altri decisamente più “bianchi”, “Guerra e Pace” su tutti.
Nonostante questi accostamenti, ti direi che “Io in terra” è un disco ottimista, che ne pensi?
Devo dire che sono sempre stato un presomalone. Quando sono più in paranoia tendo sempre ad analizzare le cose, e in quel momento dico sempre “non sto pensando”, “sto analizzando”; è strano da spiegare. Diciamo che da quando ho fatto determinate esperienze, il mio atteggiamento è molto cambiato. Sono cose personali, preferirei non dirle, ma ti assicuro che mi hanno aperto molto, mi hanno impositivato, che è un termine che mi sono appena inventato ma rende bene l’idea e racconta anche bene quell’ottimismo a cui ti riferivi tu.
E con l’amore come va?
L’amore c’è ma in una forma più universale, non solo sentimentale. Nel disco non mancano le fotografie dedicate al rapporto ragazzo-ragazza, ma c’è anche un sentimento più ampio che coltivo giorno per giorno. Devo dire che, da quando l’ho scoperto, le cose hanno iniziato ad andare molto meglio, al di là della musica.
Nel rap non è una novità che una canzone non parli di una cosa sola ma si svincoli in maniera fluida tra più argomenti. Nelle tue, però, si nota la particolarità di inserire elementi emotivi molto forti, che ti riguardano da vicino anche quando parli di tutt’altro. È come se quel rubinetto proprio non riuscissi a chiuderlo e i tuoi pensieri prendessero il sopravvento sulla storia che stai raccontando, è così?
È proprio così, è esattamente così. La cosa bella di questo disco è che è stato scritto davvero di getto e rappresenta bene ogni sfaccettatura del mio carattere. Ogni brano racconta il mio mio viaggio giornaliero: ci possono essere momenti più intimi, altri decisamente più esagerati o aggressivi. Sono tutti i mostri e gli angeli che ho in testa e che vengono fuori.
E come gestisci questi diversi stili di scrittura?
In realtà non li gestisco, non voglio pre-impostare nulla. Lascio che la vita faccia il suo corso. Sinceramente ho avuto la fortuna - e uso questa parola apposta perché mi rendo conto che possa sembrare strano - che tutto sia nato in una maniera così naturale e spontanea.
Sarai consapevole che nel rap l’intreccio degli stili e delle metriche siano punti più che fondamentali, no?
Ma certo, è chiaro. Io stesso sono molto più tecnico di quanto possa sembrare. Magari le mie metriche non arrivano subito ma non sono certo fatte a caso. Ad esempio, “Verme” ha una struttura potentissima. I sono molto tecnico ma ho uno stile meno convenzionale e i più frettolosi spesso non lo sanno interpretare. Il lavoro sulle sillabe, sulle melodie, come imposto le aperture, gli incastri tra le varie fotografie, ecc, spesso rimango deluso che alcuni addetti ai lavori non colgano tutto questo, vuol dire che, forse, non hanno una passione così grande per la musica se non vanno oltre ai primi ascolti superficiali.
Sia per le immagini che scegli, che per il tipo di flow, il risultato è spesso sfuggente, come se volessi fotografare una figura in movimento. Sei d’accordo?
Sì, in “Dasein Sollen”, c’era parecchio questa cosa. Volevo essere il più sfuggente possibile, sia musicalmente che a livello umano. Sicuramente parte di quest’attitudine è ancora presente in “Io in terra” ma ora sono decisamente meno confuso. Mi sono levato molti scheletri dall’armadio, ne avevo parecchi. Nella mia musica ci sono cose di cui non vado troppo fiero ma è giusto considerarle, non bisogna nascondersi.
Ad esempio?
Ad esempio quando in “Sissignore” dico che “le storie le ho fatte, fino ai venti, stavo ancora in box con le mani nel cellophane” non volevo certo esaltare quel tipo di vita. Per quanto io non sia mai stato un balordo, le cose le ho viste, maturate e vomitate. Quella canzone non è altro che la fotografia di quel periodo.
Hai mai dipinto il tuo quartiere più gansta di quello che è?
No, anzi. Se uno ci passa di giorno Calvairate è un quartiere più che normale, non trovi solo le case popolari. Non ti so dire cosa accade in ogni singolo pianerottolo ma ti assicuro che non ho mai enfatizzato la realtà, al massimo ho addolcito la pillola. Non bisogna generalizzare, perché non sono tutti balordi e non tutti hanno il ferro sotto il cuscino, ma ripeto, non ho esagerato e le mie sono tutte storie vere.
Si può dire però che le storie di rivalsa, insieme a quelle legate allo spaccio, sono fin troppo frequenti nella nostra trap e rischiano di diventare un cliché piuttosto noioso?
Potrei anche essere d’accordo, dipende sempre da caso a caso. L’argomento in sé può anche essere un po’ banalotto ed è vero che la cosa sta diventando piuttosto ripetitiva, ma dipende sempre da come decidi di affrontare il tema, anche a livello musicale. Io, poi, non parlo solo di rivalsa, in “Io in terra” c'è anche di molto altro.
Per questo disco Marracash era il tuo direttore artistico, come ha lavorato?
Il nostro era più un confronto personale e non la classica collaborazione tra il produttore e l’artista. Avevamo un rapporto molto umano, parlavamo di qualsiasi argomento, anche non musicale, molte volte erano mie paranoie o pensieri vari. Ho imparato molto e probabilmente tante cose che ho immagazzinato adesso le capirò più avanti. Senza voler sminuire il suo gusto, ti direi che è stato molto più utile il suo conforto umano piuttosto che i consigli di tipo artistico.
A voler essere puntigliosi, “Io in terra” è fin troppo “adulto”. Viste tutte le influenze musicali coinvolte sembra più il disco di un artista a fine carriera che l’esordio di un ventitreenne.
È la cosa più bella che potessi dirmi. Per quanto sia certamente un disco complesso, ti assicuro che ero più spaventato con i pezzi di “Darsen Sollen” che con questi. A prescindere che fosse o meno il mio primo album ufficiale, volevo davvero che fosse così vario. Nel precedente c’era un’impronta fin troppo marcata - nel mood, nella velocità delle canzoni, nella scelta delle produzioni - qui volevo mettermi alla prova sperimentando altre cose. Penso che il messaggio arrivi ugualmente, dipende sempre da quanto una persona voglia approfondire l’ascolto. Forse per un quattordicenne sarà leggermente più ostico, ma può anche diventare uno stimolo per scoprire cose nuove.
Parlando di stimoli, cosa stai leggendo ultimamente?
Sto rileggendo l’ “Alchimista” di Coelho, avevo bisogno di ripigliarmi un attimo. Al contrario di quanto possa sembrare, non sono un grande lettore, avrò letto quindici libri in tutta la mia vita ma a quelli ho dato davvero molta importanza. Sono sempre arrivati in momenti molto strani, hanno sempre avuto un peso particolare per me.
Visto i testi che scrivi immagino che sia stata usata anche qualche sostanza allucinogena, sbaglio?
In quest’ultimo periodo no, ma prima un po' sì. Tutte robe naturali, sia chiaro, non sto parlando di pilloline.
Si può dire che “Farei un figlio” è la canzone trap più assurda dell’anno?
Dici? (ride) Mi fa piacere se la vedi così, anche io sono rimasto piuttosto stranito da come è uscita. L’ho scritta a Savona: prima di chiudere il disco volevo farmi ancora una settimana fuori Milano e ho scelto Savona perché da piccolo facevo le vacanze da quelle parti. Volevo un posto che mi ricordasse qualcosa di me da giovanissimo. Mi ha fatto molto bene, a livello inconscio ha tirato fuori emozioni molto particolari che hanno influenzato la mia scrittura.
Da piccolo avevi il tuo posto magico dove nasconderti e sentirti al sicuro?
Un posto preciso no, per me era tutto il quartiere ad esser magico. Quel quadratone delineato tra via Calvairate, viale Molise, piazza Insubria e piazzale Cuoco, sembra assurdo ma ogni singolo metro quadrato di quella zona mi ricorda qualcosa e ogni volta che ci passo mi viene il magone e partono le lacrime. Divento ancora più sensibile di quanto già non lo sia normalmente. Il legame con il mio quartiere davvero fortissimo, è una delle cose più importanti che ho.
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L'articolo Il ragazzo che ha sognato il futuro: l'ultimo viaggio di Rkomi di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2017-09-12 13:15:00
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