"Scrivi una lettera a Rocco Hunt", gli dedicano pure i temi a scuola. Storia di un ragazzo, 19 anni da Salerno, che ti parla del senso di responsabilità, di piazza (come la intende Renzo Arbore o Gigi D'Alessio), di miti e di divi. Di come ha vinto Sanremo con l'88% del consenso popolare, di come si costruisce un impero su Facebook. E dell'amore, ovviamente. L'intervista di Marcello Farno.
Qual è in questo momento la tua giornata tipo?
Sono giornate di promozione, sono in giro perenne, ogni giorno in città diverse, la mattina si viaggia e la sera facciamo gli in-store. Sto trovando un po' di tempo libero in questi ultimi giorni, ma in Campania ad esempio durante i firmacopie non si è respirato tantissimo. A Marcianise abbiamo fatto il record di vendite addirittura, è una bellissima festa di pubblico, la manifestazione che c'è un calore forte.
Sembri sempre molto serio, determinato in quello che devi fare. Da dove ti arriva tutta questa forza, questa abnegazione?
Più che altro dall'educazione che mi hanno dato i miei genitori, e poi comunque quando vieni da una situazione poco felice hai sempre una certa ambizione, hai molta più fame rispetto a tanti altri. La mia positività, la mia speranza ora come ora è data anche da questo, è un motivo di rivalsa sociale. Poi magari può sembrare pure che sia troppo serio a volte per l'età che ho, però è proprio una questione di etica della responsabilità, lo sento come un dovere, capisci.
Va bene il senso di appartenenza, ma vorrei capire meglio in che modo senti il bisogno di mettere la tua gente, i tuoi posti, nelle tue canzoni.
È un orgoglio col quale uno nasce, quest'indole di affetto sconfinato per la propria terra. Io credo che noi siamo un popolo molto diverso dal resto d'Italia, abbiamo sempre visto la disperazione, la delusione, l'abbiamo vissuta sulla nostra pelle. Allora quando c'è motivo di esserne orgogliosi, di esserne fieri, di questi posti, di questa nostra terra, lo facciamo sempre tre-quattro volte in più rispetto agli altri. Anche il fatto che io usi spesso il dialetto napoletano, che è comunque una lingua parlata in tutto il mondo, riconosciuta dall'UNESCO, lo faccio perchè lo sento fondamentale nel momento in cui vado a rappresentare tutta questa gente.
Ti va di raccontarmi il posto in cui sei cresciuto, il tuo quartiere?
Vengo dalla parte periferica di Salerno, la zona orientale, il quartiere è Pastena-Santa Margherita. Le copertine di "Spiraglio di Periferia" e di "Poeta Urbano" hanno questo palazzo dietro, che è il palazzo dove vive mia nonna, mentre nel booklet del nuovo album ci sono le foto dei negozi, delle strade. Volevo fare un po' questo omaggio al quartiere, come fa Nas nei suoi dischi, mettendo le foto, cercando di ambientarle diversamente, dargli un nuovo contesto. Negli ultimi anni fortunatamente si vive meglio, Salerno si è un po' ripulita da alcuni problemi. Però quando ero piccolo io la situazione non era delle migliori, le classiche storie da città del sud.
Hai sempre trasmesso tanta rabbia, disincanto, anche il nuovo disco segue a tratti questa linea. Poi però arriva "Nu Juornu Buono" è tutto diventa a colori: speranza, ottimismo.
In effetti il tema di "Nu Juornu Buono" è il più outsider di tutti i miei brani, poi però se fai attenzione dopo nel disco arriva "'A Verità", il pezzo con Enzo Avitabile, e quel passaggio lì è fatto apposta, come dire è giusto sperare, essere positivi, però è anche giusto raccontare quella che è la verità.
Detta così sembra un pezzo politically correct scritto apposta per Sanremo.
Politically correct non direi proprio. Cioè io vivo queste situazioni ogni giorno, la mia famiglia vive in questo territorio, so cosa significa, se non speriamo, se non c'è aria di cambiamento fratello mio, allora è la fine. Allora cosa devo dire nelle canzoni, che c'è la terra dei fuochi e dobbiamo piangerci addosso? Se uno può sperare che qualcosa cambi a partire dalle piccole cose, come può essere una canzone, allora è giusto farlo. E poi non dimentichiamoci che un mese fa in piazza, a Casal di Principe, mentre si ricordava la scomparsa di don Peppino Diana la gente cantava "Nu Juornu Buono". Non mi sembra solo politically correct questo...
Magari uno potrebbe pensare sia tutto un clichè.
Guarda io faccio il mio con sincerità, se dovessi pure rispondere a tutti quelli che mi infamano, che pensano il contrario, allora sarebbe la fine. Io ti dico solo che "Nu Juornu Buono" è un pezzo che ha avuto il supporto di tutti, che è stato capito dalla radio del Leoncavallo quanto da Radio Deejay, che ha avuto la spinta di gente come Kaos e Colle der Fomento, ed è arrivato anche al pubblico di J-Ax, a quello di Moreno. Quelli che pensano che Rocco Hunt incarni uno stereotipo francamente non hanno capito il senso della canzone.
Ti sei reso conto subito del potenziale che poteva avere?
Sapevamo che era un pezzo importante, la melodia è avvolgente, noi la cantavamo già in macchina quest'estate in tour. Però io sinceramente non avrei mai pensato che le parole del testo sarebbero finite per essere scritte un giorno pure dai bambini delle elementari. Una settimana fa mi è arrivata una raccomandata dalla scuola di Castellabate, in provincia di Salerno, con il compito in classe di tutti i ragazzini che diceva scrivi una lettera a Rocco Hunt. Sono rimasto entusiasta, che ti devo dire.
Parliamo del tuo percorso. "'A Verità" è un po' l'happy ending di quello che avevi iniziato con "Spiraglio di Periferia".
Sì, tutto nasce da "Spiraglio di Periferia", che era questo rap di strada, che poi è diventato una sorta di rap responsabile, diciamo così. Sono partito dal posto in cui vivevo cercando uno spiraglio, cercando in tutti i modi di uscire, e adesso che ce l'ho fatta continuo a parlare di quegli stessi posti per garantirgli lo spazio, la rivalsa sociale che meritano. Allo stesso tempo il disco raccoglie un po' di tutto, pezzi che sarebbero potuti finire tranquillamente su "Poeta Urbano" o "Spiraglio di Periferia", e altri che invece testimoniamo musicalmente l'evoluzione che c'è stata.
Adesso ti sei trasferito a Milano, no?
Ancora no, cioè nel senso io vorrei, magari prendere una casa, fare una vita normale, però con il tour di presentazione che ci sta impegnando non sono ancora riuscito a fermarmi un attimo. Dieci giorni là, cinque in Campania, tre in Puglia. Fai conto che sto vivendo negli alberghi, e non mi lamento, ci mancherebbe. Però diciamolo, a Milano ci andrei non per scelta ma per obbligo, per necessità. Perchè comunque è l'unica città dove si può fare musica e promuoverla, l'unico polo musicale che mi permette di investire seriamente sul progetto.
Non hai paura a togliere di colpo tutto l'immaginario di cui ti nutrivi, la tua città, le tue strade?
Già molti dei pezzi di "'A Verità" sono stati scritti a Milano. Io credo che il mio essere di giù non cambia a seconda degli spostamenti. Il quartiere, la periferia, i palazzi popolari dai quali vengo restano dentro. I testi sono la cosa più profonda di un essere umano, e io nel mio profondo ho una forte riconoscenza, un forte senso degli affetti verso il posto dal quale vengo. Poi, io posso cambiare vita, però mia madre, mio padre, i miei fratelli vivono nella stessa casa di sempre, con gli stessi problemi di sempre. Quindi, posso cambiare città e tutto il resto, però l'attitudine del mio essere, della mia famiglia, rimane sempre la stessa.
Gli amici del video di "Nun c' sta paragon'" sono rimasti tutti?
Sì, anzi, dopo Sanremo abbiamo festeggiato insieme, sono sempre presenti. E tra l'altro loro, quelli del video, sono i primi che c'hanno creduto, prima degli addetti ai lavori, prima di qualsiasi fan.
Lo ribadisci anche nel pezzo con Clementino, ti autoproclami molto lontano dallo stereotipo del rapper egocentrico, che ostenta il denaro. Per dire, sembra ci sia una distanza abissale tra te e gente come i Club Dogo.
Quello dei Dogo è un altro tipo di linguaggio, usa un'altra messagistica. Io dal mio ti dico che venendo dal niente, fare musica, girare, fare quello che mi soddisfa è già una grandissima ricchezza. E poi sono convinto esistano due tipi di personaggi: c'è il divo, che è colui che il fan vede come qualcosa di inarrivabile, e poi ci sono i miti, gente come me, Clementino. I ragazzi ci guardano e si impersonificano in noi, perchè siamo l'emblema di quelli che ce l'hanno fatta, veniamo dai sobborghi e siamo riusciti comunque a emergere.
Già prima di Sanremo la tua pagina Facebook aveva più fan di quella del festival stesso, e di qualsiasi altro big in gara. A pensarci è stata una vera svolta a livello mainstream, era la prima volta che uno entrasse in gara con una spinta già così forte, così solida.
Io sono andato lì tranquillo, sapevo giustamente di avere una fanbase già forte, già ben definita, però non si sa mai, Sanremo è una lotteria, non è mai scontato. Ricordiamo che nonostante l'88% di televoto io, fino all'ultima sera, non sapevo nemmeno se ci arrivavo in finale, perchè dalla giuria di qualità nessuno mi aveva votato.
Come ci si arriva a 500mila fan?
È un lavoro, devi essere bravo ad aggiornare i social, avere spirito di iniziativa. E poi sono convinto che più di tutti conta sempre il prodotto, se non sei interessante per qualcuno è chiaro che non arrivi a un tot, non riesci a indicizzare. Devi dare le notizie giuste, catturare l'attenzione, e se dimostri reale interesse allora la cosa va avanti. Devi fare 1+1+1, tanti fattori che vanno a sommarsi.
Qual è secondo te adesso il tuo pubblico?
Ti sembra strano, magari ora mi dirai Rocco è andato, l'abbiamo perso, però adesso mi ascoltano tutti. Dal bambino di due-tre anni che balla e muove la testa su "Nu Juornu Buono" mentre i genitori gli fanno il video, fino ad arrivare al sessantacinquenne che è in fila al mio in-store per comprare il disco e canta in coro "Rocco uno di noi". Credo sia la prima volta che un esponente della scena hip-hop riesce a interfacciarsi con vari tipi di pubblico. Ieri ho visto la classifica Spotify e ho scoperto che sono l'artista più ascoltato, addirittura prima di Ligabue, abbiamo esordito primi nella classifica FIMI, su Itunes. Comunque sono numeri che testimoniano che non c'è un pubblico di soli ragazzini, mi interfaccio con diversi target, gente che magari non mette mi piace su Facebook, non condivide il video, però compra e ascolta il disco.
Come stai reagendo a tutta questa pressione?
Ci sono dei pro e dei contro diciamo. A livello personale sono contento, faccio quello che mi piace, a 19 anni ho un prospetto di vita davanti positivo. Giustamente ci sono aspetti negativi, magari non riesco a fare alcune cose che sono normali per un ragazzo della mia età. Però mi piace pensarmi in missione in questo momento, tutto quello che c'è di negativo si annulla quando vedo la gioia del mio pubblico.
Parliamo di donne dai. Diciamo che ti diverti a confondere le carte. Nel disco passi dal raccontare di tua madre, fino alla figa che ti impazzire, quella che ti ha mollato, quella che non c'è più, quella con cui fai il piacione...
(ride, nda) In effetti è il disco con più pezzi che parlano di storie d'amore. Diciamo che è dato dal fatto che sto crescendo e sto scoprendo a poco a poco l'altro sesso. È chiaro che in alcuni brani ci sono riferimenti "generazionali", la ex che non c'è più, etc. È che non sono forse nell'età di cercare la donna della vita, è troppo presto, parlo di storie che sono mie, senza voler fare il presentuoso e raccontarti una sola sfumatura, una sola idea. Poi ti dico, sono pure i pezzi che stanno piacendo di più eh.
In giro stai dicendo che è stato un onore per te fare un feat. con Ramazzotti. Ma sei sicuro che non sia invece stato tu a fare a lui il favore?
(ride, nda) Magari un giorno, ma non credo che in questo momento Eros abbia bisogno del mio aiuto. Quando entri nello studio e vedi un disco con sopra scritto venti milioni di copie vendute nel mondo ti dici com'è possibile? Cioè, da quando ho fatto il pezzo con Eros mi twittano le spagnole, le sudamericane, per dirmi "el rappero Rocco Hunt campiones con Eros Ramazzotti". Chi l'avrebbe immaginato che ci sarebbe stato pure questo bacino latino da accontentare? Tu non lo sai, ma mi stanno scrivendo delle gran fighe per colpa di Eros, ora sarò costretto a dover fare (accenna il pezzo, nda): "es un buen dia, esta mañana saliò el sol", così, versione spagnola.
Che differenza senti tra te e gli altri rapper della tua generazione?
La vera differenza è che io ho un peso popolare sulle spalle, credo che il mio a 19 anni sia un discorso che vada oltre l'hip-hop. Renzo Arbore diceva che la piazza è la risposta della verità e io quando suono in piazza mi trovo davanti tutti i tipi di persone, della più diversa estrazione sociale, che mi ascoltano attentamente. Quando faccio gli in-store vedo i ragazzini e i genitori che cantano insieme i cori, le canzoni, una cosa del genere è paragonabile solo a Nino D'Angelo, a Gigi D'Alessio, a livello di folclore, di attaccamento.
Una cosa che non si riesce a capire è il tuo rapporto coi soldi.
Più che altro perchè non c'ho proprio attualmente un rapporto. Sono in tour da quattro mesi, e ho la fortuna di avere una casa discografica che mi sostiene, che mi segue, mi programma tutto, che io non ho nemmeno il bisogno di avere il portafogli appresso. A mangiare si mangia, a dormire si dorme, arriva tutto automaticamente. Ti sembrerò forse paraculo, ma non ci penso proprio adesso, è un momento così bello che non ho proprio tempo di pensarci.
Ma li hai visti tutti i meme che sono usciti dopo la vittoria di Sanremo?
No, ma cosa c'era scritto?
In uno c'era la tua foto in lacrime coi premi, e sotto la scritta "Grazie per le bomboniere".
Ma lo hanno fatto anche a Sorrentino quando ha vinto l'Oscar, è stato deriso, è stata strumentalizzata la sua risposta, è stato giudicato per la sua ilarità, la sua spontaneità. La stessa cosa è successa a me dopo Sanremo, viene sottolineata questa reazione, che è naturale, per me era un sogno quello che mi stava succedendo. Perchè quando uno del sud ce la fa, ce la fa due-tre volte, tutte insieme. La cosa bella delle parodie, dei meme, è che mi rendo conto che veramente sono arrivato a tutti, anche al popolo del web, quello più snob, più radical. Quello che mi spiace è che non si è parlato del contenuto ma come al solito di tutto il costume che ci sta attorno, di io che abbracciavo tutti. In fin dei conti ti dico che spero solo questa mia vittoria serva ai giovani, sono curioso di vedere quanti rapper iscritti ci saranno l'anno prossimo.
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L'articolo Rocco Hunt - I miti restano, i divi si dimenticano. L'etica del rap a 19 anni di Marcello Farno è apparso su Rockit.it il 2014-04-07 10:45:30
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