(The Niro - Foto di Valentina La Russa)
A rischio di sembrare molesta. Occupato per molte date subito dopo l'uscita dell'album, malato durante i rientri, non è stato facile riuscire a trovare qualche ora per una chiacchierata. Ma è un maggio torrido qui a Roma in questi giorni e l'idea di un pic-nic all'ombra dei pini centenari del Parco degli Acquedotti deve aver fatto gola. Si gira un po' per la Tuscolana decidendo cosa mangiare, poi si opta per il TakeAway cinese. E finalmente raggiungiamo il nostro "posto all'ombra", si mangia e si inizia a parlare.
Davide Combusti, in arte The Niro. Facciamo un po' di dietrologia: com'è nato questo progetto?
Il progetto The Niro nasce nel 2002 come band. Perché The Niro? Avevo registrato alcune cose, le avevo fatte ascoltare a parecchie persone e tutti convenivano con il fatto che le musiche, per quanto rozze, ricordavano il cinema. Allora ho pensato che un nome carino potesse essere collegato al cinema e che “De Niro” aveva un che d'italiano e d'internazionale insieme. Suonava bene in entrambe le lingue. Così proprio per non fare De Niro, l'ho trasformato in The Niro, come gioco di parole. Dopo un paio d'anni, Guido, co-fondatore della band, l’attuale bassista dei Cat Claws, mi dice: "Secondo me, Davide, tu sei un cantautore, vivitela come cantautore, che alla fine porti tutto tu, musiche e testi". In effetti sì, ero, sono un cantautore. E da lì è partito un periodo creativo incredibile, ho cominciato a scrivere tantissime canzoni e poi ho partorito il primo demo. Le recensioni furono molto positive, il che m’ha dato ancora più fiducia e ho continuato nel corso degli anni. Poi io sono tendenzialmente introverso, solitario, soprattutto sono menefreghista al livello dell’uscire “allo scoperto”, e ho cercato di portare avanti il mio progetto nel modo più puro possibile, secondo il mio punto di vista.
Com'è avvenuto invece l'incontro con Roberto Procaccini e Gianluca Vaccaro che poi sono diventati i tuoi produttori? Com'è stato lavorare con loro?
Innanzitutto il primo incontro con Gianluca Vaccaro è avvenuto dopo il primo concerto con la The Niro Band, nel 2003 se non ricordo male. Ci propose una produzione, a patto però che cantassi in italiano. Decisi di mettermi alla prova. Però le canzoni tradotte dall’inglese all’italiano non mi piacevano molto, secondo me perdevano di immediatezza. Alla fine paradossalmente scendevo più a compromessi con l’italiano che non con l’inglese, e dopo tre quattro brani registrati decisi di dire basta. Quindi sciolsi questo rapporto. Gianluca continuava a chiamarmi periodicamente chiedendomi di ascoltare le cose che stavo registrando. Quindi un giorno, dopo avergli fatto ascoltare le ultime canzoni, si convinse e decise di provare a produrmi lasciandomi carta bianca, sia al livello di composizione che di lingua, dicendomi: “Facciamo questa pazzia, ho coinvolto un’altra persona, vedrai che ti piacerà”. Il giorno dopo mi recai a casa di Roberto Procaccini, una persona straordinaria. Iniziammo la registrazione. Il grosso delle registrazioni le feci a casa di Roberto. Fa un po’ ridere: alcune recensioni considerano il disco un’iper-produzione, in realtà è stato registrato a casa, e sottolineo a casa. Gianluca e Roberto sono stati incredibili, hanno assecondato tutte le mie decisioni, come per esempio lasciare il flamenco in “About Love And Indifference” o lasciare la parte centrale in “Cruel”. Poi hanno cominciato a sentirsi sempre più stravaganti anche loro. Alla fine il disco è uscito così com’è. Inizialmente dovevamo registrare cinque brani, poi abbiamo pensato di fare direttamente tutto il disco pur non avendo dietro alcuna etichetta. Nel frattempo cominciavano ad accadermi cose strane: iniziavano a chiamarmi per aprire per un’infinità di artisti stranieri. Alla fine mi ero anche rotto le scatole. Sinceramente il concetto di “apertura” è tosto: tu arrivi, sali su un palco, la gente neanche sa che c’è qualcuno ad aprire il concerto, non sai mai come ti accolgono e devi comunque conquistarti il pubblico pezzo dopo pezzo. Però oggi posso dire che stare su palchi grossi non mi spaventa.
Novembre 2006, ricevi una telefonata da Chris Hufford (già al lavoro con i Radiohead, NdR). Cos'è successo dopo?
Nel 2006, a Novembre, una cantautrice Mirah, ex voce dei Microphones, in vacanza in Italia, chiede se può suonare con me. Io entusiasta la invito ad un mio concerto. Quello stesso giorno, appena finito il soundcheck ricevo questa telefonata: Chris Hufford mi invita a partecipare alla seconda uscita del progetto Anti-Atlas, che Chris sta producendo insieme a Ned Bingham, il batterista di Nene Cherry. Sentita la mia voce su Myspace, mi coinvolgono, mi spediscono il cd delle versioni strumentali, prendo una delle due canzoni rimaste libere: “Coro”. La ri-arrangio, e dopo un taglia e cuci generale scrivo il testo, “The Traveller” e gliela mando. Al momento è in promozione come singolo in Europa.
26 Ottobre 2007, la firma per la Universal International. Raccontaci com'è andata.
Stavo facendo delle date promozionali, ero a Mondovì e mi si era fusa la macchina. Avevo ricevuto una mail su Myspace da Giuseppe Videtti de La Repubblica che mi chiedeva se volevo essere intervistato quel pomeriggio stesso a Milano presso la sede dell’Universal. Ero con Paolo e Adriano (Patrizi e Viterbini, rispettivamente batterista e chitarrista della live band, NdR), nonostante le condizioni dell’auto si è deciso di partire ugualmente. Tipo viaggio di Fantozzi: la macchina fumava, non andava a più di 60 all’ora. Arrivati in Universal ho fatto l’intervista con Videtti e subito dopo sono stato sistemato in una stanzina davanti ad una quindicina di persone tra cui il capo della divisione italiana di Universal International, Graziano Ostuni. Appena ho iniziato a suonare ho pensato: “Ma questo è un provino, il contratto non l’ho firmato ancora!”. Ci avevo preso gusto, ho chiesto se ne volevano altre… è stata una cosa allucinante, loro tutti contenti, è stato molto bello. Alla fine mi hanno presentato il contratto e l’ho firmato. Mi hanno chiesto se quella sera volevo aprire il concerto di Amy Winehouse, ovviamente ho accettato. Io sono andato all’Acatraz, Paolo e Adriano si sono messi alla ricerca di un meccanico. Il concerto è andato molto bene, è stato rabbioso, avevo sulle spalle una giornata pesante: non sapevo dove passare la notte, dove lasciare gli strumenti che erano sulla macchina. Ero incazzato nero ma gli applausi finali mi hanno fatto pensare: “Non tutti i mali vengono per nuocere”. Appena tornato a Roma, ho visto l’articolo su Repubblica. Ho chiuso il giornale. Appena rientrato a casa, ho acceso il pc: la mia faccia era in homepage sul sito di Repubblica. Da quel momento non ho dormito per due giorni, bombardato per 48 ore di fila da chiunque. Ho conosciuto anche parenti che non sapevo di avere.
Ma prima dell’Universal, come hai proposto il disco?
Ero entrato in contatto con alcune etichette indipendenti che dicevano esattamente le stesse cose che dicevano le major: “Sì, bravo, ma perché non canti in italiano, sì bravo, ma perché non cambi arrangiamenti”. Addirittura un’etichetta disse che mi prendevo troppo sul serio, con tutte le cazzate che sparo durante i concerti era una cosa paradossale. Quindi, io che ero stato sempre avverso alle grosse etichette, per pregiudizi “post-adolescenziali”, ho pensato: “non m’importa se l’etichetta è grande o piccola, l’importante è che faccia uscire quello che voglio”. E quello che volevo è esattamente quello che poi ho realizzato.
Certo, l'etichetta non ha avuto molto da fare, il disco già pronto, una live band già attiva: hai una buona autonomia mi sembra. Speri che le cose continuino così, o hai paura che prima o poi voglia intervenire nelle scelte artistiche?
Ripeto, il disco è uscito senza nessun tipo di cambiamento. E anche quando è uscito l’ep mi hanno detto: “Ok, registra quello che ti pare”. Ogni tanto andavo all’Universal e facevo sentire cose nuove e loro rimanevano sempre entusiasti. Devo dire, la fiducia da parte loro è stata assoluta, anzi li ringrazio tanto perché non tutti godono di questa libertà. Sarebbe bello che andasse sempre così. Anche perché nessuno può sapere se un “prodotto” può andare bene o meno bene nel mercato.
Finora che tipo di ruolo ha avuto l’Universal?
L’Universal mi ha affiancato in quest’opera di promozione del disco, dando tutti i suoi spazi, senza essere troppo invadente, cercando di non inflazionarmi troppo, cercando di evitare di farmi apparire in programmi televisivi ai quali non volevo partecipare, certo non potevano costringermi, ma non hanno nemmeno provato a propormeli. Hanno capito che il mondo che vivo è particolare, quindi non potevano banalizzarlo in un’ottica di pubblicità di “semplice prodotto”. Finora, insomma, hanno dimostrato sensibilità.
All'inizio di aprile è uscito il tuo primo album. Un piccolo bilancio di questi primi due mesi?
L’album ha venduto praticamente tutte le copie che erano state stampate: 8.000. Si sta già partendo con la prima ristampa. Non so quanti cd bisogna vendere per essere felici, è bello quando li comprano appena finito il concerto, riconoscimento migliore non può esserci. Per me.
Quali differenze hai avvertito tra il prima e il dopo l'album?
Non molte. Sicuramente al livello numerico c’è un seguito maggiore. Devo dire che dopo l’uscita dell’ep si era creata una certa attesa, soprattutto in ambito indipendente. Dopo sono arrivati i video e il resto della promozione che ha aiutato a far conoscere meglio la mia musica. L’importante è continuare a fare concerti. Amo suonare dal vivo, suonerei tutti i giorni dal vivo, cosa che ho fatto per anni e a Roma lo sanno bene (ride, ndA).
Entriamo nello specifico. Scrivere nell'immediatezza in inglese, strutturare la musica adattandola al mood di ogni testo. La gestazione di ogni canzone scivola naturalmente o è più sofferta?
Parto prima di tutto dalla musica. Partendo dal testo mi sentirei troppo vincolato. Quando l’ho fatto, venivano fuori canzoni d’accompagnamento alla voce, e non musicalmente valide. Al contrario la melodia rende già diretta la scrittura del testo. Poiché sono spinto a scrivere da situazioni emotive particolari, so già cosa voglio scrivere con la musica
Allora quando una musica è una bella musica e quando un testo un bel testo? Quando ti senti pienamente soddisfatto?
Quando “sento” che le due parti funzionano perfettamente insieme.
La musicalità della tua voce quanto incide nella stesura delle canzoni?
Zero. La voce la metto dopo.
Eppure hai cantato anche in italiano, interpretando "Io amo lei" in “Il dono”, il tributo ai Diaframma uscito a maggio. Com'è stato lavorare con Federico Fiumani?
Soprattutto lavorare sulla produzione di “Amsterdam” insieme a lui… è stata un’esperienza intensa. M’ha scritto la notte di Capodanno, mi invitava a partecipare al tributo ai Diaframma. Ho risposto con entusiasmo, cantando appunto “Io amo lei”. Successivamente mi ha affidato il ri-arrangiamento con Adriano Viterbini di “Amsterdam”, cantata da Elena Stancanelli…
Hai già suonato spesso anche all'estero: Francia, Stati Uniti, Austria, Germania, Gran Bretagna. Dove sei stato meglio? Sono previste nuove date all'estero?
In realtà sono stato bene ovunque, ma se fossi costretto direi gli Stati Uniti. Suonare a New York è stato molto stimolante. C’è un’atmosfera molto particolare, la scena, i musicisti, c’è un bel fermento. Anche qua ci sono belle collaborazioni da un po’, ma lì si mischiano tutti, tutti suonano con tutti, da sempre. Poi in autunno parte il tour europeo in concomitanza con l’uscita all’estero del disco, che dovrebbe estendersi anche fuori dall’Europa più in là.
Concludendo: come e dove vedi The Niro tra un anno?
In realtà non so neanche come vedermi domani mattina. Spero di vedermi in salute soprattutto.
No, non puoi concludere così!
(Ride, NdA) Mi piacerebbe scrivere musica per film. Tra un anno, ma anche fra dieci anni, mi piacerebbe si realizzasse questo mio grande sogno. Ovvio che sono felice di fare quello che faccio ora, ma spero di arrivarci.
---
L'articolo The Niro - Roma, 22-05-2008 di Elisabetta De Ruvo è apparso su Rockit.it il 2008-06-19 00:00:00
COMMENTI