I Nomoredolls sono decisamente proiettati verso il loro futuro. Sono vincenti prima ancora di esserlo. Senza esitazioni. Al di là di quanto suonano - un genuino pop confezionato come potente prodotto rock, con episodi più o meno felici ma quelli ce li hanno tutti -, hanno un approccio live, una professionalità nel gestire ogni particolare, una forma mentis da grande band. Forse per questo la scena indie spesso li guarda storcendo il naso: amano tutto, tranne che l'autoreferenzialità. E, nello stesso momento, mantengono un'assoluta aderenza alla realtà, una spontaneità disarmante.
C'è la band al completo di fronte alle mie chiacchiere, al Jailbreak di Roma, prima del concerto. E appena rientrati dagli Usa.
Allora ragazzi com'è andata questa sesta esperienza negli Stati Uniti, l'ennesimo minitour dal quale siete rientrati di recente?
Nico: E' andata molto bene. Stavolta abbiamo partecipato al Meanyfest, una rassegna molto interessante perché raccoglie diverse band underground di New York e dintorni. E nello stesso tempo è un contest che mette all'attenzione delle etichette locali e no le realtà emergenti. Noi eravamo gli ospiti stranieri.
In Italia avete un'accoglienza ambigua: alcuni apprezzano davvero molto quel che suonate. Altri si scagliano quasi violentemente contro di voi. Perché?
Cecilia: In realtà, com'è accaduto con i Killing joke a Padova mesi fa, spesso siamo capitati in contesti in cui magari c'entravamo poco. Ma andiamo ovunque, per esperienza. E magari può capitare di essere fuori luogo.
Siete uno di quei gruppi, tipo Lacuna coil e simili, che si fanno conoscere fuori e in Italia restano ignoti per molto tempo. Poi rientrano, magari li ammazzano di critiche, salvo poi cominciare a destare l'orecchio. Ecco: come pensate, ora, dopo una buona accoglienza oltreoceano, di fare il salto qui in Italia?
Cecilia: Cosa vuoi che ti dica. Siamo italiani ed è chiaro che è nostro interesse fare di tutto per avere buoni riscontri qui, soprattutto ora che abbiamo fuori il disco.
Una cosa vera dell'America è l'assoluta assenza di pregiudizi: tu hai il disco sul banchetto, magari affianco a te stanno vendendo i Rolling stones. La gente passa, rimane incuriosita, compra senza troppi pensieri. Qui se non sanno chi sei non si azzardano a tirar fuori neanche due euro. E vanno via.
Nico: Certo qui è difficile. Con un mercato ridicolo che se arrivi a mille copie è grasso che cola, e una scena racchiusa in sé stessa, noi siamo visti come alieni.
Facciamo una roba che qui si etichetta come mainstream teso solo e sempre al far soldi. E lo evitano. In realtà facciamo solo quello che ci va. Negli Usa la nostra musica è, spesso, la regolarità.
L'elemento che in molti ritengono peculiare della scena indie americana è quello di essere cresciuta e essersi allargata talmente tanto da costituire un mercato solido, quasi autonomo. Ha perso l'autoreferenzialità. Ed è più trasversale. L'avete riscontrato?
Nico: Devo dirti di si. Siamo saliti sul palco con gruppi decisamente diversi l'uno dall'altro. Magari ti trovi una band punk, poi noi, poi una di taglio più cantautorale. E non è una cosa che la gente critica. Anzi: apprezza. In una stessa serata ci sono magari sei gruppi che propongono sei generi differenti. In Italia fai fatica anche a trovare i locali giusti perché la maggior parte fa una scelta ristretta ed esclusiva. O magari s'affida alle cover band.
Ma anche voi avete iniziato da cover band, e che cover band. Quella ufficiale italiana della Morissette. E allora, cos'è cambiato?
Cecilia: Ma certo, qui al Jailbreak facevamo anche settecento persone e pure stasera c'è gente che ci ha conosciuti anni fa. Ma ci son due cose da specificare: già come cover band della Morissette, cercavamo un lavoro di adattamento e personalizzazione spiccato. E poi, dopo, ci vuole coraggio a lasciar tutto e a partire, maturare con i propri progetti.
Il disco come sta andando?
Cecilia: Il disco sta andando. Come vanno i dischi indipendenti in Italia. Cioè faticando, senza grande promozione. L'accoglienza è stata buona su certe testate - tipo Tribe, Gq, Rocksound ma anche altre - perché quelli vedono l'attitudine più da major, o ci guardano da un altro punto di vista. Ma al di là di tutto c'è da spingere sull'Italia, con le prossime date. Ci siamo fatti seicento chilometri per star qui, stasera. Stiamo anche cercando di far girare il clip di "Electric sheep" il più possibile.
A proposito del video: in tutta onestà non mi è piaciuto molto. Tecnicamente è molto buono, sebbene totalmente privo di soggetto. Il solito clip-vetrina? Non si sarebbe potuto pensare qualcosa di più singolare, originale?
Cecilia: Ma no, certo, non c'è un soggetto né una storyboard. La avremmo voluta ma alla fine abbiamo optato per un prodotto in digitale, che seminasse allusioni e accenni (Scott, Blade runner e così via) presenti nel testo del pezzo. E col budget che avevamo, i registi hanno fatto un'ottimo lavoro.
L'atmosfera è venuta fuori bene, secondo noi. E anche in America è piaciuto, non è per nulla statunitense come impianto. Per ora siamo su RockTv. Speriamo di riuscire ad aver qualche passaggio sulle due emittenti musicali "maggiori".
Prima di lasciarvi al concerto: sta uscendo fuori qualcosa di nuovo, nel corso del tour? Pezzi, testi...
Cecilia: Assolutamente si. Siamo sempre al lavoro, un disco va subito superato. Anche in giro mettiamo assieme idee nuove. C'è "Killer" pronta da un paio di mesi e "Police line", che stiamo proponendo nel corso di queste serate. Ma cambieranno molto, in eventuale futuro disco.
L'irrinunciabile questione: a chi guardate, quando tendete l'orecchio alla Musica?
Cecilia: Dai Foo fighters a Elio, dai Bikini the cat fino alle Bambole di pezza. Oltre ai riferimenti - rispetto ai quali parliamo decisamente un'altra lingua - quali Afterhours o Marlene kuntz. Chi non li segue? C'è un pò di tutto in quel che sentiamo. Se poi consideri che, per quanto mi riguarda, vengo dal jazz, da Giorgio Gaslini (che ha "scoperto" Cecilia quando aveva solo 16 anni coinvolgendola in un gruppo di voci femminili, NdA) e da esperienze con Max Roach e Steve Lacy, capisci che quel che facciamo non può risentire di quel che ascoltiamo!
Perché non vi trasferite definitivamente negli Usa?
Cecilia: Lì la musica è nel tessuto connettivo della gente. Dal tassista all'avvocato. E' come la pizza che ho davanti: buonissima e sempre disponibile. Ma certo, se si parte per rimanere molto tempo si deve farlo con un progetto preciso.
E non per andare a lavar piatti e suonare il fine settimana.
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L'articolo No More Dolls (NoMoreDolls) - Roma - Jaibreak, 11-11-2005 di Pseudo è apparso su Rockit.it il 2005-11-14 00:00:00
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