La conversazione nasce da una chiacchiera davanti ad una birra, a Roma, chiedendo come “Adagio Furioso” - l'ultimo disco dei Ronin - sia stato accolto da critica e pubblico. E poi si finisce a parlare di genitori, di soldi e di inquietudini che non se ne vanno mai. E ovviamente delle difficoltà del fare il musicista in Italia pur avendo tre band che funzionano bene. Abbiamo intervistato Bruno Dorella.
Tu dai ancora peso alle recensioni?
Si, ritengo che la stampa musicale sia ancora un'organo di informazione. Le recensioni mi servono per tenermi aggiornato e per cercare dischi che non conosco. Se, invece, mi chiedi come reagisco alle recensioni negative dei mie dischi, l'unica risposta che posso dare è che sono i giornalisti a dover parlare di me e non viceversa, nel momento in cui parlo di qualcuno che mi ha stroncato sono io che gli faccio pubblicità e non va bene. Prendo con le pinze le recensioni positive perché, a volte, non denotano una ragionevole competenza o un ascolto particolare di quel disco; faccio tesoro di quelle negative.
Lungi da farti passare come il vecchio che litiga con le nuove tecnologie, ma nella scorsa intervista sembravi decisamente ostile all'idea che Facebook sia diventato la parte centrale di chi fa il tuo mestiere. Ora come va?
Sono vecchio e l'idea continua a non mi piacermi. Alcune volte è divertente ma se non dovessi usarlo per lavoro non avrei mai aperto un profilo Facebook.
Per “Fenice” hai voluto dare un segno forte e ritornare a organizzare le cose in prima persona, in particolar modo i concerti. Per questo disco come ti sei organizzato?
Continua ad essere così, sono uno che tende a metterci la faccia. Negli anni ho ricoperto un po' tutti i ruoli del music business underground, so benissimo come funziona, per questo sono una rogna se devi lavorare con me (ride, NdA). Al momento mi coordino con il booking, con l'etichetta, con i distributori e con l'ufficio stampa. Ovviamente è diventato impossibile per me seguire tutte queste cose da solo, in particolare il lavoro di PR: su tutto il resto sono più che aggiornato ma il web ha un'evoluzione continua. È diventato un lavoro troppo specifico.
Partiamo da capo: in che clima è nato questo nuovo disco? Fattori personali compresi.
Ogni disco dei Ronin è nato in un mood particolare e in un momento della mia vita molto specifico. Questo è il primo nato a Ravenna, in una situazione molto bella...
Anche “Fenice” l'avevi scritto a Ravenna.
Bravo, è vero, ma l'ho scritto con una tale rapidità che quasi non lo considero: è come se fosse nato ad Imola, in studio di registrazione. “Adagio Furioso” è stato molto più meditato, ed è nato in un clima emotivo che forse rispetta poco quello del disco. È un momento sereno, stabile, potrei quasi dirti che sono veramente felice.
Diciamolo allora.
Si, ma mai pacificato (ride, NdA) Sono uno di quelli che pensano che dalla felicità possano nascere buone cose ma dalla pacificazione mai... Più che altro, non ci riesco a scrivere qualcosa di sereno, nel momento in cui mi metto a scrivere la musica di una canzone tutte le inquietudini vengono fuori. “Adagio Furioso” ha una sua parte serena, la prima parola ti dà questo senso di riflessività, di lentezza, ma c'è il furioso dentro. Magari è più difficile da cogliere e certamente non dipende da cosa ho attorno in questo momento.
Le paure non han fissa dimora, cantavano gli Zen Circus.
Un'inquietudine c'è sempre.
Credevo che gli Ovo fossero una bella valvola di sfogo.
Quella è sublimazione (sorride, NdA).
Qual è la canzone più triste di questo disco?
Direi "Caligula". Musicalmente si rifà al post hardcore - diciamo zona Neurosis - ovviamente nei Ronin sono banditi i distorsori e non puoi definire “Caligula” un pezzo metal, ma l'approccio armonico è molto vicino a quel genere e diventa un pezzo dei Ronin perché è suonato con una certa lentezza e gentilezza. E in questo tipo di immaginario inserire un personaggio ultra decadente come un imperatore romano è perfetto. In più Caligola era una figura molto contraddittoria, scelgo sempre personaggi molto complessi: prendi Gilgamesh – l'eroe della prima saga epica che ci sia pervenuta, prima ancora dell'Iliade e dell'Odissea – era certamente un eroe ma aveva i suoi lati oscuri, faceva cose atroci.
In questo disco c'è uno dei pezzi più vicini all'hardcore mai scritto dai Ronin.
Si, il finale di “Ex” è volutamente metal hardcore anche se, lo ribadisco, senza mai usare i distorsori. Diciamo che questa mia inquietudine si è andata a incontrare/scontrare con una formazione completamente nuova.
Infatti tutti i precedenti musicisti hanno abbandonato il gruppo. Brutto colpo da digerire?
Sono cicli che si esauriscono. Io richiedo un impegno notevole: un disco dei Ronin ti tiene occupato almeno un anno e in quell'anno devi darmi la massima priorità. Ovviamente sono rimasto in buonissimi rapporti con tutti, nel frattempo ho trovato questi nuovi ragazzi giovani, entusiasti e bravissimi. Ci è voluto del tempo per trovarli ma, intanto, di cose da fare ne avevo: “Abisso” e “Quintale”, i rispettivi album degli Ovo e dei Bachi da Pietra usciti dopo “Fenice”, sono stati dei veri exploit. Con i Bachi ci eravamo già abituati alle belle recensioni, gli Ovo avevano un'ottima reputazione da live band e anche il disco ha avuto riconoscimenti importanti, tra cui la playlist di fine anno di Quietus, ecc ecc. “Abisso” ci ha portato in tour un anno, praticamente senza sosta.
C'è una puntata dei Simpson dove Homer deve fare il professore e per darsi un tono si cuce due toppe su gomiti. Marge lo rimprovera per aver rovinato la giacca e lui risponde che in realtà ne ha rovinate due, e le fa vedere un'altra giacca da cui ha tagliato la stoffa per le toppe. È già successo che una scelta fatta per una una delle tue band abbia rovinato contemporaneamente le altre due?
(ride, NdA). Rovinato no, ma sicuramente ogni volta che faccio una scelta su un gruppo in qualche modo va a influire sugli altri due. Di danni enormi penso di averne fatti solo uno, anzi no, due: per due volte mi sono affidato ad agenzie che mi hanno fatto perdere un anno di concerti. Ho poi sopperito da solo ma non suonare per un anno è una cosa gravissima per me.
L'economia di Bruno Dorella sta in piedi appunto perché ha tre gruppi che funzionano?
Ho tre gruppi che funzionano bene e mi permettono di suonare tutto l'anno. Se ho anche un solo mese senza concerti, o con concerti con i pagamenti a 90 giorni, sono già in difficoltà. È un sistema economico che si basa veramente sul contingente, non ha nessuna speranza nel futuro. C'è la rendita dei diritti d'autore, soprattutto per le colonne sonore che ho fatto, e più passa il tempo più aumenta. La cosa buona è che i film continuano ad essere proiettati - in TV, nei festival, su DVD - ed ogni volta generano profitto. E poi ci sono gli ammortizzatori sociali...
La famiglia?
In Italia c'è una buona percentuale di persone normali - e un'altissima percentuale di artisti – che campa grazie al fatto di avere alle spalle o di aver avuto una famiglia che li ha aiutati, non dico ricchissima anche solo benestante. Io ho ereditato una casa e non dover pagare un affitto è stato certamente un grande aiuto. Il motivo per cui l'Italia ancora non insorge è perché molti, chi più, chi meno, hanno un piccolo aiuto per uscire da quella che altrimenti sarebbe una crisi irreversibile. Se vai a fare i conti in tasca alla gente non dovremmo avere i soldi per il pane, invece tutti ce la caviamo per qualche motivo, magari perché si lavora in nero, o appunto perché ci sono i genitori che ti danno una mano. Io sono convinto che in qualsiasi situazione avrei fatto la mia strada: sono del segno dei pesci, i sogni vanno inseguiti. Avrei vissuto in uno squat e in qualche modo ce l'avrei fatta. Non penso sinceramente che l'aver ereditato una casa sia l'unico motivo per cui riesco a fare il musicista di mestiere, ma se mi chiedi come funziona l'economia di Bruno Dorella non posso che risponderti così.
Un figlio in tutto questo?
Non ci può stare, se dovesse succedere mi organizzerò.
Torniamo al disco, è decisamente meno compatto rispetto ai precedenti.
Ormai è diventata una caratteristica dei Ronin, mi dispiace per chi cerca un'omogeneità nei dischi – e mi riferisco ad alcune recensioni – ma in "Adagio Furioso" c'è un eclettismo abbastanza forte. Sono entrato in una fase in cui voglio giocare con i generi molto più di quanto ho fatto ho in passato.
Ti poni il problema di essere troppo difficile?
Si. Questa volta ho avuto a disposizione musicisti abbastanza giovani per fregarsene di questi aspetti e decisamente bravi per darmi qualunque cosa io desideri: se io dico “osiamo” loro vanno veramente lontano. Mi sono reso conto che per mantenere l'identità dei Ronin dovevo frenarli un po', c'era il rischio che “Adagio Furioso” diventasse un disco prog.
Il rock negli ultimi anni non se la passa troppo bene. Potremmo estendere la cosa a tutto il mondo, ma mi fermerei all'Italia: i festival più riusciti sono quelli di musica elettronica, i dischi più stimolanti del 2014 sono fatti da producer. Tu di band rock ne hai tre.
È assolutamente vero, noi stiamo vivendo il tramonto del rock. È una normale evoluzione dei generi musicali: è accaduto per tutte le fasi in cui è stata divisa la musica classica; o nel passaggio dalla classica al jazz e dal jazz al rock. Noi siamo gli alfieri della fase finale del rock, non morirà, ci saranno sempre personaggi coraggiosi, ma è palese che oggi le cose più stimolanti sono nell'elettronica e nell'hip hop. E poi ci sono sempre le contaminazioni: quella tra jazz e rock, a mio avviso, non ha portato grandi risultati; quella tra rock ed elettronica la trovo già più interessante, prendi i Liars o i Fuck Buttons.
C'è stato un gruppo che ha segnato in maniera indelebile il tuo modo di intendere la musica?
Dovrei pensarci molto. Anni fa sono andato a ricercare la canzone che da piccolo ascoltavo in continuazione, quella che mi faceva piangere da quanto era triste e al tempo stesso bella. Ho poi scoperto che era “Here's to you” cantata da Joan Baez con la musica di Ennio Morricone per la colonna sonora di "Sacco e Vanzetti".
A me, da piccolo, succedeva con Gianni Morandi ma forse non siamo nello stesso range di qualità autoriale.
Forse no (ride, NdA). Non ti so dire se ci sono dei nomi che hanno davvero cambiato il mio modo di sentire la musica. Gli U2 sono il gruppo che mi ha spinto a suonare: i primi cinque dischi, per l'età che avevo, li considero ancora un ottimo ascolto. Ero l'unico a scuola che conosceva gli U2, ero visto come un intellettuale per questo. Poi il metal con gli Iron Maiden, e l'hardcore con i Bad Brains. Quando pensavo di aver trovato nel metal la musica più estrema possibile scoprire i Bad Brains fu una cosa fulminante. Oppure i Neurosis, ovvero capire che si poteva anche uscire dall'hardcore tramite altre vie sonore. O il primo disco degli Old Time Relijun. Recentemente mi è successo con Bombino. Verso aprile ho avuto un crollo psicofisico da iper-lavoro: aumento di pressione, vertigini, difficoltà a stare in piedi. Un giorno ho deciso di andare in spiaggia, stavano facendo i lavori di apertura dell'Hana-bi e hanno messo su questo disco e l'ho ascoltato tutto. Ti giuro che all'ultima traccia mi sono alzato con la consapevolezza di aver superato tutto lo stress. Non dico che fosse solo merito del disco: c'era il sole, il mare, probabilmente mi sentivo già meglio di mio, ma quel disco ha avuto il suo ruolo, ne sono sicuro. E sono molto contento perché il 21 dicembre apriamo per Bombino.
Per la prima volta hai una band di musicisti locali. Tutti di Ravenna, tutti che suonano anche in altre band. Rappresenta molto l'Italia, sai, ovvero tante micro-scene legate quasi sempre alle stesse persone o che gravitano attorno allo stesso locale. L'altro giorno ho intervistato gli Wow e questa cosa me l'hanno descritta benissimo riferendosi ai quartieri di Roma.
Roma è incredibile in questo senso. E quello che dici è vero, è molto forte in Italia ma è una cosa da cui mi distacco molto. Ci tengo a non essere un artista locale, in qualunque città io viva cerco di non suonarci più di due volte all'anno con lo stesso progetto. La carriera del musicista che fa 200 concerti all'anno e di cui la metà nelle sua provincia non mi interessa affatto.
Perché ormai le band italiane fanno pochissimi tour all'estero?
È un discorso molto complesso, richiederebbe un'analisi approfondita. È tosta suonare all'estero, parti dal presupposto che l'Italia è una fetta di mercato microscopica e l'Europa è un un insieme tanti altri piccoli mercati. Per spiegarmi meglio, essere italiano non è come essere texano, se sei texano sei certamente delimitato in una certa zona ma ti confronti con tutto il mercato americano. Tu da italiano, invece, dovrai sempre trovare un PR sloveno per suonare in Slovenia, uno austriaco per suonare in Austria, ecc ecc. Noi continuiamo a organizzare tour come abbiamo sempre fatto, in un modo molto punk: abbiamo costruito reti di contatti che si basano su amicizie cementate in anni e anni, prima ancora che ci fosse internet, quando i concerti li organizzavi per lettera o via fax.
La domanda delicata è: paga farlo?
Dipende veramente da cosa sei disposto a fare. Sicuramente si va in attivo, ma se i Ronin stanno in giro tre settimane in Europa certamente non tornano a casa con un guadagno di 3.000 euro e nemmeno di 2.000. Magari in Italia possiamo anche arrivarci a quella cifra ma all'estero le distanze aumentano. E diffida da quei gruppi che ti dicono di essere più conosciuti all'estero che in Italia, vuol dire che in Italia non riescono a suonare e magari all'estero c'è qualche posto dove funzionano. E poi cosa vuol dire estero, il Congo, il Giappone, o la Germania? Come ti ho detto, è un discorso molto complesso.
Dobbiamo chiudere: qual è stata la difficoltà maggiore nel riscrivere la colonna sonora di “Deserto Rosso” di Antonioni.
Tutto, è stata la cosa più difficile che abbiamo fatto. Due ore di un film in cui la colonna sonora era già rivoluzionaria, di musica concreta. Un film che dura due ore, dove succede pochissimo e dove il dialogo è importantissimo. È stato veramente difficile, ma sono contentissimo del risultato.
Ci sono dei momenti della tua carriera dove ti sei sentito veramente sottovalutato?
Ogni giorno.
Penso che questo sia una dei momenti storici più difficili: la soglia di attenzione che un utente può dedicare ad una band è molto bassa, il numero di band che si propongono ogni giorno è enorme. Credo che, per un artista, sia molto difficile riconoscersi un valore oggi.
Di questo, al contrario di quello che dicevo all'inizio riguardo alla recensioni, me ne frego. Ho la fortuna di campare di questo. Io non sono una star, non lo sono mai stato, non lo sarò mai. Non ce l'ho proprio nel carattere: ho l'eclettismo, ho una voglia di lavorare infinita ma non sono quello che vuole stare sotto i riflettori. Il punto è che sono felice così, adoro quello che faccio: adoro andare in tour e dormire per terra, guidare dieci ore per arrivare alla prossima data, adoro litigare con gruppo di apertura perché ha suonato troppo, adoro tutti gli aspetti più difficili di questa vita. In qualche modo questo c'entra con le recensioni perché, a volte, le trovo superficiali e trovo che non rispettino il lavoro svolto dietro ad un disco, ma il riconoscimento mondiale, locale o italiano non mi interessa. Mi fa piacere se c'è ma ho anche un'arrogantissima convinzione che in qualche modo che mi verrà riconosciuto, forse, più avanti. Dentro la mia modestia c'è molta arroganza, e lo sai (ride, NdA).
Tutti i musicisti sono narcisi e, se vuoi chiamarli così, arroganti. Penso sia alla base del dover convivere con la propria creatività.
Ognuno la gestisce a modo suo. Tengo un profilo molto basso ma in realtà sono convinto di stare facendo qualcosa di... mi piacerebbe dire importante o meglio: che rimarrà. Lo spero.
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L'articolo Ronin - Una band che funziona bene: musicisti italiani sereni e furiosi di Redazione è apparso su Rockit.it il 2014-12-18 12:00:00
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