Rudi Offidani vive a Bologna e, prima del covid, era uno di quelli che lavoravano con e per la musica. Ha iniziato giovanissimo a fare il driver, portando le band in tour, poi ha iniziato ad affittare il furgone e a occuparsi del merchandising. Per chi non masticasse abbastanza l'inglese, con questo termine indichiamo tutti i prodotti che si trovano comunemente nel banco apposito durante i concerti: dalle magliette alle shopper, con tutto quello che sta nel mezzo. Parliamo ovviamente dei prodotti ufficiali, creati insieme alla band, non di quelli tarocchi che trovate fuori dall'area del concerto e che favoriscono il mercato nero.
Durante il lockdown, Rudi ha creato un suo progetto personale chiamato Bad Luck Merchandising: uno shop dove trovare merch originale e vintage di band e pop culture degli anni '80 e '90 in perfette condizioni, ma anche un canale per vendere la propria maglietta vintage. Un'ottima idea per lavorare in un momento non troppo favorevole. Trovate info e foto su Instagram e Facebook. Con lui ho fatto una chiacchierata sul suo lavoro, da cui sono sempre stato affascinato ma di cui ne so troppo poco.
Con quali band hai lavorato?
La lista è veramente lunga, questo praticamente è stato il ventesimo anno di attività da quando sono andato in tour per la prima volta a fare merch con una band, quindi spero che nessuno me ne voglia se dimentico qualcuno. Degli italiani direi: Calcutta, Coma Cose, Carl Brave, Franco 126, Lo Stato Sociale, Giorgio Poi, Pop X, Gazzelle, Canova, Galeffi, Cosmo, I Cani, Colapesce, Meg, Myss Keta, Massimo Volume, Young Signorino, Psicologi, Bud Spencer Blues Explosion, Clavdio, Immanuel Casto, Colombre, Be Forest, Brothers in Law. Menzione speciale per Locked in e Io e i gomma gomma, senza di loro tutto questo non sarebbe mai successo. Per quanto riguarda gli stranieri direi Dead Kennedys, Teenage Bottlerocket, Suicidal Tendencies, Starset, While She Sleeps , The Get Up Kids, Thurston Moore, Frank Carter e tutti quelli che ho dimenticato.
Come hai iniziato a lavorare col merchandising?
Ho iniziato veramente presto, erano gli inizi degli anni '00, non avevo neanche vent'anni. Fino al 2003 era solo un hobby per il weekend che poi ho messo in pausa per lavorare nel mondo dell’abbigliamento e dello streetwear: ho frequentato vari corsi di specializzazione, lavorando per aziende come Fornari Spa, Fornarina e Combo, se qualcuno ricorda. Tutto questo mi è servito per acquisire esperienza nello sviluppo del prodotto, nel cambiamento dei trend, nell'analisi della clientela e per lo studio dei tessuti e materiali. Nel 2008, quando sono tornato definitivamente a lavorare da professionista solo con la musica, avevo già un bel bagaglio di preparazione. Durante i primi tour come driver notavo sempre, nelle crew, l’assenza della figura del merch guy. Dunque, un po' per arrotondare la paga e soprattutto per la passione verso questo aspetto del mercato, ho iniziato a propormi anche per ricoprire quel ruolo. In seguito mi sono concentrato solo su quello, visti i risultati che riuscivo a portare: sai, gli anni passano e la voglia di guidare i furgoni diminuisce molto, anche se ogni tanto mi diverto ancora a farlo.
Come funziona il tuo lavoro?
Ci sono due versioni, quella estiva e quella invernale. Te le racconto tutte e due a grandi linee, non me ne voglia nessuno dei miei colleghi. Quella invernale è relativamente più comoda se fai locali fino a 4000 posti, diverso è se fai i palazzetti. Si arriva alla venue di solito prima del soundcheck, si dà un'occhiata all’interno e all’ingresso del locale, piccolo sopralluogo insieme ai responsabili del posto o a un incaricato che fa le loro veci. Quasi tutte le venue italiane oggi hanno un posto riservato al merchandising dove sono già presenti, nel migliore dei casi, tavoli e tutti gli attacchi per la corrente, cosa che rende il lavoro molto più veloce. La situazione migliora ulteriormente se sei in Europa. Una volta stabilita la posizione adatta, si scarica tutto il materiale e si inizia a montare la postazione, poi avviene il conteggio di tutti gli articoli con stesura di report di entrata. Poi allestiamo il tavolo con l’esposizione degli articoli con la relativa attrezzatura: stand, espositori, cassa fiscale, Bancomat e via dicendo. Una volta finita la prima parte del lavoro, rigorosamente da portare a termine almeno un'ora prima dell’apertura al pubblico del locale, ci beviamo qualcosa.
E quella estiva?
Vuoi per il clima, vuoi per il fatto che ti puoi trovare in uno stadio, in un parco o in mezzo al nulla, è decisamente più faticosa. Di solito si arriva nel luogo la mattina, al massimo all'ora di pranzo. Si fa il solito sopralluogo con il responsabile e l'elettricista per capire dove mettere i vari stand. Questa parte per quanto riguarda l’estivo, se stai lavorando negli stadi o in festival famosi viene preparata via email o telefono, con le varie piantine del posto, in modo da sapere già dove saranno i vari punti merchandising. Se questa parte è già stata sbrigata e quella burocratica per le autorità anche, al get in con un responsabile si controllano se i punti prestabiliti sono forniti di attacchi per l’energia elettrica ed eventualmente altre cose che possono servire. Poi si scarica e si inizia a dividere tutta la merce per i vari punti vendita all’interno dello stadio contandola, poi si allestiscono i vari punti. Eventualmente dobbiamo addestrare qualche nuovo lavoratore occasionale e raccontargli i prodotti. Si cerca di solito comunque di finire la preparazione almeno un paio d’ore prima dell’apertura dei cancelli, in modo di avere del tempo extra nel caso in cui si presentino problemi straordinari.
Quali oggetti ci sono in un banco di merchandising completo?
Quello che non manca mai sono T-shirt, CD e vinili della band, poi da li puoi trovare di tutto: cappelli, sciarpe, cuffie invernali, occhiali da sole, fresbee, asciugamani, ciabatte, felpe, k way, calzini, toppe, portachiavi, accendini, ma anche mutande, preservativi, shopping bag, tazze per la colazione, completini da bambino. Possiamo arrivare a vendere qualsiasi cosa, tipo le mascherine alla Myss Keta: pensa che una volta ho venduto anche un telescopio! Le band a livello mondiale hanno di tutto, tipo giacconi bomber, giubbetti satinati, pigiami, non ci sono limiti. Una volta ho letto la lista di articoli di Elton John: ben 125 articoli ad ogni concerto.
L’oggetto più imbarazzante che hai venduto?
Be', dopo il telescopio e i condom ho venduto uno scaldavivande, anche delle culotte da donna... Una volta ho venduto una T-shirt sudata indossata dal chitarrista di una band, ma non posso farti il nome. Un'altra volta ho venduto una vecchia maglietta macchiata di vernice, dicendo che era la creazione artistica di una bassista, invece l'aveva indossata per dipingere casa e non so come sia finita nelle scatole del merch. Se stai leggendo e hai comprato quella maglietta, scusami amico!
Ti occupi anche direttamente della produzione del merch? Come funziona quell’aspetto?
Sì, seguo fisicamente la realizzazione dei prodotti. Per quanto riguarda la parte grafica e artistica, quella di solito è a discrezione dell’artista o del management dell’artista. Di solito l’iter è questo: io ricevo dall’artista/management/cliente tutti i file grafici pronti per la realizzazione e da lì parte il mio lavoro di ricerca del prodotto e dei materiali migliori per realizzare al 100% il desiderio dell’artista. Di solito c’è una parte in cui si discute su quello che può funzionare o meno, a livello di articoli, colori, prodotti. In questo caso do il mio piccolo contributo e consiglio, conoscendo fisicamente il mercato, stando continuamente a contatto con chi compra. Conclusa questa parte, si realizzano i prodotti dei quali mi occuperò durante lo stoccaggio e la vendita.
Come funziona la ripartizione degli utili?
Di solito gli utili vengono divisi in base a che accordo si stipula tra la società che gestisce il merchandising e il management dell’artista/band. E questo è tutto quello che posso dire (ride, ndr).
Perché è così importante avere un banco del merch durante il concerto?
Dal mio punto di vista, è strettamente necessario! La mentalità nel resto del mondo è molto diversa da quella italiana. Ho avuto modo di parlare con varie aziende inglesi, tedesche, americane e non sai quanto sono avanti sotto questo aspetto. Pian piano ci arriveremo anche noi, stiamo già facendo dei passi da gigante. Anzi, li stavamo facendo, dato che poi si è bloccato tutto. Ho visto dei cambiamenti radicali negli ultimi anni e ne sono felice, sempre più band e artisti stanno capendo l’importanza del merchandising. Il merch credo sia il brand, il segno distintivo e personale dell’artista, il modo per indossare al proprio fan uno slogan, un pensiero, in modo che quest'ultimo possa dichiararlo agli altri. Un segno di riconoscimento.
Quanto peso ha il merch nelle entrate di un concerto?
Se impostato in una certa maniera, può tranquillamente essere inserito tra le prime due-tre fonti di guadagno per la band/artista. Spero di non dire cazzate e offendere nessuno, ma credo sia così. Bisogna iniziare a capire che il nome dell'artista, una volta che viene impresso sopra qualcosa, diventa un brand e come tale va trattato. Dalla promozione alla realizzazione, fino alla vendita. Molti nomi internazionali, come Justin Bieber o Post Malone, l’hanno capito da anni, ma anche alcuni artisti italiani di grosso calibro, passami il termine. Per citarne uno, Jovanotti.
Perché molta gente compra ancora il merchandising delle band?
Per fortuna che lo fa ancora! In primis vogliono portarsi a casa un ricordo del giorno del concerto, cosa tipica del mercato italiano. Poi c'è chi è un vero collezionista: a molti piace indossare solo magliette di band, tipo me. C'è chi trova magliette con slogan che magari li rappresenta, alcuni comprano perché fa fico, per trend, per moda. Ci sono anche quelli che lo fanno per supportare l’artista e dichiarare a tutti i loro gusti musicali. L'importante è che compriate solo merch ufficiale, non comprate robe fasulle!
Quali sono i generi che vendono più merch?
Se andiamo a togliere il mostro sacro della musica italiana, che è Vasco Rossi, direi che il genere che vende di più è l'heavy metal. Il fan del metal è molto fedele ai sui beniamini e non si fa i conti in tasca. Guarda la band con gli occhi dell’amore, adora gli artisti che segue e li supporta sempre. In ogni caso, ogni genere fa i suoi bei numeri, poi ci sono molte band internazionali che quando vengono in italia vendono benissimo. Anche il nuovo indie pop italiano e la trap insieme al rap/hip hop ora stanno crescendo molto.
Cos'è cambiato nel tuo lavoro da quando hai iniziato vent'anni fa ad oggi?
Io ho cominciato quando ancora le magliette le vendevamo in lire. Oltre a questo ovvio cambio, siamo passati dalle 15-20mila lire per una t-shirt ai 15-20 euro praticamente subito.
Ancora oggi trovi band che vendono magliette a 10 euro come allora trovavi band che vendevano a diecimila lire, ma andando avanti molti si sono standardizzati sul prezzo. Poi dipende, possiamo anche arrivare a 25-30 euro, nel peggiore dei casi anche a 35 per super band famosissime. In alcuni casi l’aumento è dovuto alla maggiore qualità del prodotto, in altri semplicemente alla pressione fiscale del paese in questione. Negli ultimi vent'anni i gadget proposti sono aumentati a dismisura. C'è più ricerca e più attenzione a tutti i dettagli, anche e soprattutto alla qualità del prodotto.
E i clienti, sono cambiati?
Il cliente medio è diventato più esigente, ma come è giusto che sia: sta spendendo i suoi soldi e vuole spenderli bene, l’importante è che anche da parte sua ci sia coscienza e consapevolezza che sta acquistando un buon articolo. Quando è così, sono pienamente d’accordo con il cliente rompicazzo. Se invece viene solo per lamentarsi del prezzo, sostenendo che lui può rifare la maglietta con cinque euro, faccio fatica a trattenermi, svilisce il lavoro e l’impegno di tante persone. Questa gente di solito parla senza cognizione di causa. Poi dipende anche dal fan: il metallaro di media è meno esigente, se gli piace semplicemente compra. L’indie o l’hipster di solito ci pensa di più, ma fa tutto parte di questo bellissimo gioco. Spesso ai concerti, quando vado da spettatore, lo faccio anche io.
Ti sei mai trovato a lavorare con una band insopportabile? Se sì, come hai affrontato la cosa?
Artisti insopportabili direi mai, perché spesso non sono loro a occuparsi di quella parte dello show. Se sono molto famosi non li vedi nemmeno. Altre volte invece sono molto presenti e vengono spesso al tavolo del merch. Direi che può andarti male se trovi il tour manager o il responsabile del merch di qualche band straniera, che possono essere un po' una rottura di coglioni o indisponenti, ma in linea di massima se fai bene il tuo lavoro e capiscono che possono fidarsi non succede mai. Una volta sola mi è capitato un tour manager un po' stronzo, ma il mio metodo è: grandi sorrisi e vai avanti lavorando al meglio senza sbagliare niente. Alla fine tutto andrà bene, no? Al massimo ci vuole un bel dispenser di vaffanculo, ma vedo di non usarlo mai. Tieni conto che molti di quelli stranieri ti vedono per la prima volta, dunque è normale che siano un po' diffidenti all’inizio.
Durante il lockdown, il merchandising ha attutito in qualche modo il contraccolpo economico tremendo subito dal music business?
Non posso parlare per tutti, ma direi veramente poco. Qualcosa si è mosso, molti fan hanno comprato lo stesso dai siti online, altri hanno fatto promozioni e qualcosa si è riuscito a smuovere, ma il grosso dei numeri li fai se sei in giro, com'è giusto che sia. La chiave di tutto è essere in tour e presenti sui social. Suonare per la gente è la cosa più importante sia per l'artista che per il merchandising.
Come si esce da questo periodo buio?
Non sono io che posso rispondere a questa domanda. Posso solo dirti che o la scienza ci dà una mano e tira fuori un vaccino che funziona o qualcosa del genere, in modo da poter tornare a fare le cose come prima, oppure dovremo abituarci a questo cambiamento per molto tempo e cercare di farci venire delle idee per poter godere della musica anche all’interno dei locali in piena sicurezza.
Soluzioni come drive-in dei concerti o show in streaming lasciano il tempo che trovano. Un concerto in streaming può essere anche bello una volta, ma senza pubblico, senza passione, senza sudore, senza lacrime, che senso ha? Il fan perde tutto quello che ha intorno, non solo il concerto stesso. I giorni precedenti, l’organizzazione del viaggio, mettersi d’accordo con gli amici di sempre, viaggiare, arrivare sul posto, magari rimanere una notte fuori e poi tornare tutti insieme... Fa molto Cornetto Algida (ride, ndr). Io dico che i live show sono fatti per cantare, sudare, saltare tutti insieme, tutti vicini. Sarò stronzo io, sarò troppo romantico, ma secondo me è così. Ora giù di shitstorm!
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L'articolo Professione merchandiser: come vendere un telescopio a un concerto di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-07-23 09:56:00
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