A sette anni dalla sua prima apparizione, Liberato si è ritagliato una posizione nella rappresentazione di Napoli degna delle sue icone più consolidate. Come dicevamo qualche pagina fa su Rockit, tra San Gennaro, Troisi, Pino Daniele e mille altri santini laici, c'è anche il cantante nascosto. Dopo due album, una colonna sonora, concerti trionfali in Italia e all'estero, miez'o mare e in carcere fino alla consacrazione di una Piazza Del Plebiscito gremita come un Gigi D'Alessio urban, anche quest'anno appare. E lo fa il Nove Maggio, quando arriverà nelle sale cinematografico Il Segreto Di Liberato. Un ibrido tra documentario e film d'animazione.
Se il nome sopra il titolo è quello di Francesco Lettieri, creatore dell'immaginario misterioso sin dal video di Nove Maggio, la regia è figlia di un lavoro collettivo, condiviso per le scene live con Giorgio Testi, uno dei più grandi autori di videomusica al mondo, da Vasco ai Gorillaz, dai Blur a Elton John, dai 1975 ai White Stripes. La parte animata, invece, è curata da Giuseppe Squillaci e LRNZ.
Uno sguardo completamente nuovo sulla storia di Liberato, in cui le parti che "ci siamo persi" della sua infanzia ed adolescenza ci vengono raccontate da un anime con le voci di Simona Tabasco, di Nando Paone e dello stesso Liberato, che sentiamo parlare, narrare, alla ricerca di un segreto che porta da anni i fan ad incuriosirsi, appassionarsi a questo personaggio tanto lunare quanto terreno e vicino. Poi ci sono le interviste, al team di Bomba Dischi che lo ha supportato, da Calcutta, al direttore di MI AMI Carlo Pastore, a giornalisti e amici.
Io per primo, mi sono avvicinato ed allontanato spesso da Liberato, esattamente come capita con le fedi, con la spiritualità, con quei santini di cui Napoli è ricca, e questo film mi ci ha fatto far pace. Tra i motivi per cui mi sono allontanato, a volte, c'era l'insopportabile, spasmodica ricerca delle persone dell'identità celata, la necessità disperata di capire chi ci fosse dietro la maschera. Proprio con Francesco Lettieri e Giorgio Testi ho parlato delle difficoltà nel raccontare un personaggio così pieno di misteri, e dei rischi di lasciar trapelare qualcosa che lo renderebbe meno affascinante.
Questa ricerca incessante dell'identità di Liberato penso in realtà tolga attenzione dal prodotto, e adesso che nel film la voce è narrante, è al centro, avete pensato che ci sarà qualcuno che guarderà il film cercando di capire chi ci sia dietro la voce?
Lettieri: Guarda, ne parlavo ieri con Giorgio perché ci siamo briffati sulle interviste, sulle cose che possiamo e non possiamo dire. Sono 5 anni che comunque vivo questa situazione dall'interno e quindi sono abituato e per me non è più una novità, ma per Giorgio che invece ha cominciato a collaborare quasi due anni fa, alcune situazioni sono nuove. Io ho sopportato per tanti anni persone che mi chiedono “simpaticamente” «Ah, ma allora ci dici chi è liberato?» e io ancora non ho una risposta pronta. Comunque mi rode un po' il culo quando me lo chiedono, perché è proprio una stronzata di chi non conosce il progetto, di chi non lo segue, di chi non è veramente interessato, ma superficialmente ha sentito nominare questa cosa e fa questa battuta che non fa ridere. Perché secondo me va bene la curiosità di un progetto anonimo, per dire: Elena Ferrante, no? No, su di me questa roba qui non ha mai attaccato. E mi ha fatto incazzare tantissimo l'inchiesta del Sole24Ore per scoprire l'identità di Elena Ferrante. Cioè, mi sembra proprio stupido e sbagliato: se ci sono uno, due, tre artisti che decidono di non mettere il proprio nome e cognome e di mantenere l’anonimato, non vedo perché le persone debbano scoprire chi è. Cioè, è proprio andare a rompere il cazzo e non rispettarlo.
Testi: Non trovo il punto, me ne sto rendendo conto in questi giorni leggendo anche i commenti dei fan che analizzano il voiceover dal trailer, però è come se fosse la voce di quando canta senza alcuni filtri, quindi immagino che le stesse persone che hanno fatto delle follie in passato, mettendosi ad analizzare l'equalizzazione della voce, forse faranno la stessa cosa anche adesso. Per me queste cose rientrano in poche rare follie di gente attratta da cose per cui non dovrebbe avere un'attrazione. Quindi, boh, io continuo a pensare che vada salvaguardato il non sapere. È difficile trattare questo argomento, perchè più se ne parla e più sminuiamo qualcosa di bello. Ognuno di noi nel suo piccolo ha un qualcosa che non vuole far sapere. E meno male che ci sono persone che artisticamente riescono a farti vedere che non devi necessariamente legarti all’immagine, Liberato fa il contrario di tutto e di tutti, e ottiene molto di più di tanti.
Tra l'altro i peggiori sono quelli che dicono “io tanto lo so chi è liberato”, quali sono i nomi più assurdi che avete sentito in questi anni?
Lettieri: Mah, le storie più assurde sono quelle del carcerato di Nisida. Quando siamo entrati a fare il primo sopralluogo per poi fare il live nel carcere di Poggioreale, c'era il responsabile del Padiglione Roma, che proprio in quegli anni lavorava a Nisida, e lui diceva «io lo so chi è Liberato, perché l'ho conosciuto, perché lui stava tra i ragazzi a Nisida» mi voleva dire anche il nome e il cognome. Per capire l'assurdità della cosa: cioè tu che sai come funziona un carcere minorile, pensi che uno dei tuoi carcerati possa andare a fare un live col gommone alla Rotonda Diaz, organizzato con il benestare della questura? Poi c'è una storiella che non ho mai raccontato a nessuno, quella su Emanuele Cerullo che è stato uno dei primi indiziati. Questo ragazzo molto giovane, forse aveva 18 anni, che aveva scritto queste poesie in cui c'erano per caso la rosa e altri elementi ricorrenti dei testi di Liberato. Mia madre, che insegna matematica alle medie, è stata la sua professoressa. A un certo punto mi ha scritto in maniera timida «Francesco, mi dispiace, io non ho mai detto niente su questa cosa, perché mi sembra stupido, faccio le mie cose, la gente pensa che io sono Liberato, però non vorrei che tu pensassi che io ci sto marciando» e quindi c'è stato questo scambio, in cui ci siamo detti «magari non diciamo che ci conosciamo, se no è ancora peggio». All'inizio forse quelle storie erano divertenti, perché erano talmente assurde che era un gioco, anche goliardico. Le cose più fastidiose sono state le inchieste, cercare, scaricare i link, analizzarli, tutte quelle teorie.
Come si fa entrare un personaggio anonimo in un carcere?
Lettieri: È stato molto complicato. In realtà anche per i primi concerti, c'è una parte del documentario che poi è stata tagliata, un po' per questioni di tempo, un po' per evitare denunce, perché il primo concerto di Rotonda Diaz veniva poco dopo il concerto di Sfera dove ci furono dei morti, quindi c'era una grande attenzione per la sicurezza degli eventi. C'era la Digos che voleva avere il documento di tutte le persone che salivano sul palco. Ci siamo ritrovati in questura io e la stylist Antonella Mignogna il giorno prima del concerto, a parlare con il questore del documento di Liberato. La loro proposta era di scrivere nome e cognome in una lettera chiusa che poi loro avrebbero conservato in una cassetta di sicurezza. Ce ne siamo usciti dicendo: «noi vi mandiamo i documenti di tutte le persone presenti all’evento, voi controllate che non ci siano precedenti, però non facciamo l'identificazione». Più o meno abbiamo mandato 500 documenti di persone, amici, parenti, e in qualche modo ce l’abbiamo fatta.
Il film sembra una grande celebrazione estetica di Napoli, in un momento in cui però la città è ovunque: decine di film e serie. Questo tipo di estetica, diversa dalla classica cartolina, secondo me è figlia proprio di Liberato. Come si cambia completamente l'immaginario estetico di una città?
Lettieri: Io ho sempre avuto uno sguardo molto personale su Napoli. Prima di Liberato vivevo a Roma e ho continuato a vivere a Roma fino a 5 anni fa, perchè Napoli mi aveva proprio rotto il cazzo e non ci stavo con piacere, anche se in quel momento non c'era tutto questo hype, anzi, però mi aveva scocciato proprio la stasi, il poco movimento soprattutto culturale, che c'era in Napoli. Non avrei mai immaginato poi di tornarci, ma ora ci vivo, ci sto anche bene. Quando abbiamo cominciato a fare Liberato ci ho messo dentro tutti i posti che conoscevo dalla mia adolescenza e che non erano ancora stati rappresentati. C'era la bella piazza dei Banchi Nuovi, per dire che oggi è un puttanaio di spritz. All'epoca era una delle poche piazze dove non c'era mai nessuno, e io mi ritrovavo sempre alla fine del giro, con gli amici a fumare l'ultima canna della notte. Oppure i gradoni alle spalle dello stadio, dove c'è l'accesso del settore ospiti, e ancora oggi, in realtà, a parte il video di Nove Maggio non l'ho visti da nessun'altra parte. Sono sempre andato a cercare dei posti di Napoli non sputtanati e con una particolare estetica anche un po' retro. La casa del Portuale di Tu t’e Scurdat ‘e Me o quella di Aldo Loris Rossi di Nove Maggio, no? Sono dei luoghi di un’architettura brutalista che non erano per niente raccontati, ora sono diventati dei luoghi quasi iconici, dove oggi si vanno a fare le foto gli architetti, gli studenti di architettura, ci hanno fatto i libri, hanno riscoperto Aldo Loris Rossi. Casualmente noi siamo andati lì, non per una questione intellettuale, ma perché cercavamo un'altra Napoli. Poi, Liberato passa sempre per cartolina...
...ma è una cartolina molto diversa da quella classica col Vesuvio, il pino e il golfo.
Lettieri: Sì, però da fuori viene un po' tutto percepito come cartolina: Marechiaro, il Vesuvio, le solite cose. In realtà, sulla ricerca del location, abbiamo sempre cercato di evitare posti che già erano stati utilizzati, fotografati ...ci siamo sempre sbattuti tanto per raccontare una Napoli diversa da quella che vedi sempre, anche perché chi è di Napoli lo sa, che Napoli può essere tremila cose diverse, però ti devi sbattere per trovare i posti sconosciuti.
Testi: Tutto quello che vedi nel film è l'estensione di quello che Francesco ha saputo raccontare magistralmente in tutti i music video. Ero stato a Napoli tante volte, ma sempre veloci, in and out. Solo una volta ero stato per 3, 4 giorni in Sanità per un lavoro, ma non la conoscevo bene. È stato un po' come… sai, quando ti portano in un posto dove vai a fare il tour di una serie, tipo “i luoghi di Breaking Bad”, e per me è stata la stessa cosa, perché ogni volta, ogni giorno, andavo in un posto e dicevo «ah ok, qua c’hanno girato questo», e c'avevo i video davanti agli occhi. È una cosa che vivevo ogni tanto a Londra. A un certo punto feci un lavoro con Damon Albarn, con i The Good and the Bad and the Queen, un progetto nato a W10, dietro Notting Hill, no? E quel disco, dalla copertina agli arrangiamenti ti immergeva in quel quartiere: a Londra lavoravo con artisti che, anche se non avevano fatto i video, la loro musica apparteneva a quelle zone lì. Con Liberato è stata la versione immersiva di quell’esperienza, mi sono improvvisamente ritrovato all'interno di quei luoghi dei video e li ho capiti. Sono luoghi che loro hanno saputo fotografare. La bravura loro, anche di Gianluca Palma il direttore alla fotografia, è stata portare un loro occhio, che probabilmente nessuno prima aveva avuto, per interpretare quei luoghi. E comunque da Romano, non napoletano, vedi una Napoli differente: avendo vissuto a Londra o New York, pensi a Napoli e immediatamente c'hai Gomorra in testa. Loro sono riusciti a farti vedere qualcosa di completamente diverso. Io, personalmente, adesso adoro Napoli, mentre prima c’erano tante cose che non riuscivo a capire bene, della città e dei napoletani e mi sentivo un po’ staccato, mentre grazie al loro lavoro, grazie a Liberato, adesso la sento molto più vicina a me.
In questo immaginario c’è tutto il linguaggio legato alla tifoseria. La font degli striscioni, la mitologia del Napoli come squadra, fino a quello che mai mi sarei aspettato nella vita: Liberato allo stadio Maradona per la festa dello scudetto.
Lettieri: Fin dall'inizio, ho capito che con Liberato niente è impossibile. Ti si aprono delle porte, le persone che lo capiscono si concedono, anche ai livelli più alti. Per cui, fin dall'inizio c'è stata questa ondata di fiducia che qualsiasi cosa Liberato avesse detto sarebbe stata possibile. Un po' come un oracolo, una mattina si sveglia e dice «facciamo il concerto gratuito a Rotonda Diaz». Si fa, si riesce a fare, si riesce a fare qualsiasi cosa. E il Napoli, sinceramente, è stata una cosa gigante, perché con il Napoli non c'erano stati grandi contatti fino a quel momento. Era capitato qualche volta, abbiamo chiesto di fare una cosa che poi non avevamo fatto perchè c’era sempre il problema delle canne in mezzo ai testi di Liberato. Poi è capitato anche quello un po' per caso: la presenza di Liberato al San Paolo (Il nome dello stadio prima dell'intitolazione a Maradona, NDR) durante la festa, dipende da un mio carissimo amico d'infanzia. Praticamente ha vissuto da me per un mesetto, perché lui è veneziano e l'anno scorso, a stagione in corso è diventato il fotografo ufficiale della società. Quando Liberato pensa alla canzone, mi manda O core nun tene padrone, con la formazione, io per gioco, quando m'arriva, la inoltro a questo mio amico Giacomo. Lui dice «l’ho fatta sentire al mio capo che l'ha fatta sentire al suo capo, è arrivato a De Laurentis ed è impazzito, vuole Liberato.» Cioè, così è successo, eh. E quindi, per un puro caso, si è arrivati a fare una cosa gigante. Senza nessuna aspettativa.
Però far parte di quella festa in una maniera anche rappresentativa per la città, secondo me, ufficializza l'importanza del progetto per la città e per la comunità calcistica.
Lettieri: Guarda, c'era Sorrentino che fumava il sigaro. Io mi nascondevo, per non farmi vedere, 'chè mi vergognavo. C'era Marisa Laurito, De Luca, Hamsik, e poi c'ero io. La cosa più incredibile per me personalmente è stata fare le prove il giorno prima. Non c'era Liberato, chiaramente, ma c'ero io, e mi sono messo al piano, facevo finta di suonare, di cantare. Stavo là, ed era giorno. Poi, vabbè, io lo dico anche nel documentario che facevo Atletica Leggera al San Paolo da bambino, quindi è stato un flash tornarci dopo vent'anni, e stare sul palco. A un certo punto mi sono fatto la foto con Osimhen e me ne sono andato, non me lo ricordo neanche bene cosa è successo.
Testi: Comunque da fuori, secondo me, è quasi il contrario. Io l'ho visto in televisione quella sera. Il pomeriggio nella parte iniziale sembrava una festa di paese, tutto buttato in caciara. Poi, quando è entrato Liberato... cioè... vedevi anche i giocatori cambiare faccia. Cioè, era come se fosse arrivato il Papa. Quindi, secondo me, cioè, se Liberato appare è come l’apparizione di un santo. Cioè, è una cosa che il Napoli si è meritato: ha fatto tanto l'anno scorso da meritarsi la presenza di Liberato lì. Per come la vedo io, non è il contrario.
Le apparizioni di Liberato ogni 9 Maggio le aspettiamo per vedere come va avanti una trama, con i video e le storie che raccontano. Ci hanno sempre detto che la videomusica era fatta di immagine e basta, ma noi l'immagine del cantante non ce l'abbiamo, e ci resta solo la storia che volete raccontarci.
Lettieri: Io non volevo fare i videoclip, volevo fare il cinema. E quindi la prima cosa era esercitarmi con i videoclip anziché fare i corti, quindi l'essenziale era che fossero narrativi, non mi interessava neanche se il videoclip funzionava o meno, quindi sono diventato il “regista narrativo”, sono stato inquadrato così ed è diventata la mia cifra. Poi è arrivata Napoli, e si è completato tutto con Liberato. Penso di aver avuto la fortuna di beccare Liberato ma anche Calcutta, cioè personaggi che non vogliono apparire, nonostante Edoardo non sia un cantante anonimo, però comunque non vuole comparire nei video, lo devi pregare per fare un mezzo playback. Quello ti dà la possibilità di fare altro, che è sempre più interessante che vedere uno che canta. La domanda che mi faccio è cosa sia diventato il videoclip, a cosa serve, e faccio un po’ di fatica. Forse perchè si è passati dallo schermo in 16:9 al 9:16 e in quel formato non c’entra una storia ma c’entrano i cantanti che fanno i playback e infatti il videoclip si è indebolito tantissimo in questi ultimi anni, anche a livello internazionale non ricordo video così condivisi. Fino a qualche anno fa c’era ancora l’interesse per il video di This Is America di Childish Gambino, con tutti che lo vedono e lo condividono perchè è una figata. Ora invece quei video che rivoluzionano il linguaggio non li vedo più.
Testi: È cambiato anche il fatto che non era l’unico modo per ascoltare la canzone ma quasi, a meno che non c’avevi il CD. Negli anni si è indebolito il potere, pure perché ormai i modi di entrare dentro le case e nelle mani delle persone che tengono i cellulari ormai sono molteplici per gli artisti, quindi ormai il music video non è più la cosa fondamentale a livello anche purtroppo di marketing, a livello commerciale. Anzi, si tende probabilmente più a fare il contrario di quello che fa Liberato, cioè vendere se stessi e mostrarsi persone normali uguali a tutti, piuttosto che creare qualcosa di iconico. Sono pochi gli artisti che mantengono una separazione col pubblico per creare un mondo immaginario.
Però proprio nel documentario, intravediamo la persona Liberato, lo vediamo per la prima volta dietro le quinte che parla e che cazzeggia.
Lettieri: Sì, cioè non era uno dei suoi obiettivi, è nato per caso perchè noi ci tenevamo a fare l’animazione in stile anime giapponese e poi Liberato si è ritrovato la macchina da presa in faccia, noi che gli rompiamo il cazzo e dovevamo girare il backstage, dovevamo microfonarlo e farci il viaggio dall’albergo alla venue, dovevamo entrare in casa durante la vestizione. Insomma, gli abbiamo rotto parecchio il cazzo e io mi sono giocato un po’ di jolly: «ricordi quando volevi fare Nove Maggio e non c’avevi un euro e io l’ho fatto? Mò fammi entrare». Ha guardato il primo montato e si è stranito un po’, poi ha capito che stavamo raccontando una cosa in più, cioè che Liberato è una persona, che Liberato è un cazzone, che Liberato ha gli amici e scherza come tutti gli altri, dà ancora un’altra versione, lo rende ancora più tridimensionale e incuriosisce ancora di più.
Testi: Poi comunque lo vedi sempre in character, è un elemento in più che makes sense, l’abbiamo seguito all’interno del suo lavoro, non è che siamo andati in vacanza alle Maldive con lui e lo abbiamo smascherato.
Qual è lo scudetto che vi portate sul petto, la cosa di cui siete più orgogliosi in assoluto del progetto Liberato, dal punto di vista filmico e di estetica, e cosa ha aggiunto alla vostra videografia questo film?
Lettieri: Per me l'ultima cosa è sempre quella più figa. Tra i video forse Partenope, perché è stato il video più complicato e di cui sono più contento. Però poi ho capito in questi ultimi anni che fare i video è facile, alla fine so’ tre, quattro minuti, con la canzone, senza audio, è semplice. I film sono un’altra storia. Questo documentario resta la cosa sicuramente più complicata, è la prima volta che faccio un documentario, e spero di poter continuare, non per forza il documentario musicale, ma proprio mi interessava come linguaggio anche se in Italia c'è l'idea settoriale per cui tu sei solo regista di documentari, solo regista di videoclip, dopo Ultras solo regista di film sul calcio… mi hanno chiamato in questi anni solo per fare film di calcio o musica, quindi... mi farebbe piacere che mi chiamassero anche per un documentario. Per me è stato divertente, e la cosa fica del documentario è la necessità di improvvisare, che per quanto tu puoi immaginare delle situazioni poi ti ritrovi invece a fare tutt'altro, soprattutto seguendo Liberato in tour, ogni volta c'erano posti che non avevamo mai visto: entravamo in un locale e dovevamo decidere dove metterci, cosa fare, da una parte ti mette in crisi, dall’altra ti dà grande libertà per pensare cose diverse da quello che hai preventivato, e quindi è stato divertente, e molto formativo.
Testi: Io avevo già fatto progetti di questo tipo ma è stato interessante avere la possibilità di entrare in punta dei piedi all'interno di un meccanismo chiuso che va avanti dal giorno zero di Liberato. Poi soprattutto quando ci sono più teste e più regie, è bella la collettività, lo scambio, quindi è stato bello portare il mio contributo, ma anche stare all'interno di questo sistema. Posso dire di aver imparato tantissimo, anche solo in quelle tre settimane a Napoli, vedere all’opera Francesco con Palma, perché il bello del lavoro nostro è che non smetti mai di imparare e ogni lavoro ti porta qualcosa per il successivo. È stato molto formativo anche vedere altre persone cimentarsi, era la prima volta di Francesco in un documentario e ricordo che all'inizio lui era molto by the book, tentava di fare ciò che era scritto, ma io sapevo che non avremmo fatto niente tutto ciò, soprattutto seguendo un artista del genere in tour, non puoi mai sapere come andranno le cose, dovevamo essere flessibili e adattarci a quello che accadeva.
Come si gira qualcosa in live action, sapendo che in mezzo ci sarà un'altra estetica, quella anime?
Lettieri: In realtà c'era una sceneggiatura molto precisa dell'animazione, quindi attacchi, cambi di scena, chiusure, ed è quello su cui abbiamo cercato di lavorare, creando dei punti di sutura tra la parte documentaristica e la parte di animazione. Le camminate sono quei momenti che legano le due cose. Poi in realtà al montaggio è saltato tutto rispetto a quello che c'era scritto e passando da un registro all'altro c'era un po' il rischio di fare un'accozzaglia di robe che poi non si sarebbero veramente matchate, e lì molto fa la postproduzione, il montaggio, la musica. Ci sono tanti rimandi nel film tra la parte di animazione, la storia e quello che poi vedi nel documentario. Però poi devo dire che ancora oggi non sappiamo bene quale sarà il risultato finale, quindi lo vedremo il 9 maggio... forse.
Testi: Ovviamente Francesco, avendo anche scritto la sceneggiatura, ha avuto un involvement all'interno del processo di creazione di tutta la parte animata, ben differente dal mio. È stato bello, anche se l'animazione mi ha sempre messo paura, cioè farla come si deve è una cosa impegnativa, e abbiamo avuto la fortuna di avere on board LRNZ, che è probabilmente uno dei più bravi, se non il più bravo al mondo. Perché anche lui si è immerso totalmente nel mondo di Liberato: era già in fissa con Liberato, ed anche lui ha trovato la sua chiave per raccontare Napoli e le storie, i personaggi di Liberato con il suo stile.
Quando avete iniziato a lavorare a questo progetto, avete pensato a cosa avrebbe rappresentato questo film nella storia di Liberato?
Testi: Per me, la cosa bella di Liberato, da fan, prima ancora di entrare nel progetto, era che non ci fosse nessuno a spiegarti quello che ha scritto: io mi sono fatto la mia idea delle canzoni, un'altra persona si può fare un'altra idea. A me piace in generale che non ci sia la spiega, anche nel cinema, odio andare al cinema e c'è il Q&A o l'introduzione di qualcuno che ti spiega il film. A me piace uscire dall'ascolto, uscire dalla visione e avere il mio punto di vista, che sia un libro, un film o una canzone. In un documentario del genere mi piaceva, soprattutto nelle parti girate, creare qualche cosa di bello e si può dire tranquillamente che non è mai stato fatto un documentario del genere. C'era anche la sfida di fare un documentario in cui c'hai il tour con un artista che è difficile seguirlo per ovvi motivi, c'hai l'animazione, c'hai tutta una serie di elementi che nessuno aveva mai messo insieme, quindi era un'enorme sfida. È venuto, a mio avviso, benissimo e quindi quello che resta per lo per lo spettatore è entrare in quel mondo lì e poi portarsi a casa quello che vuole. C'è chi uscirà dal cinema pensando che avrebbe voluto sapere chi c'era dietro la maschera e non sarà contento e chi invece sognerà più di prima perché questo personaggio misterioso gli darà ancora più emozioni di prima, chi lo sa.
Francesco: Noi siamo partiti dal titolo, Il segreto di Liberato, non sapendo poi effettivamente quale fosse questo segreto di Liberato, ancora oggi ci chiediamo quale sia 'sto Segreto di Liberato. E allora quando ce lo chiedono esplicitamente, potrebbe essere una storia d'amore con la sua ex, l'ispirazione del nonno, ci sono un po' di segreti nel film. In realtà il segreto di Liberato è l'amicizia, che l'unione fa la forza, oppure il segreto di Liberato è la sua storia stessa, la sua vita, quello che racconta. Oppure la rosa, no? Anche il simbolo della rosa può nascondere un segreto. In realtà, appunto, c'è una risposta per ognuno di noi e ognuno sceglierà la sua risposta. Poi c'è appunto... chi cerca il nome e cognome di Liberato, banalmente, e chi cerca qualcosa di più. La bellezza di Liberato è proprio questa, che è trasversale, ognuno ci può vedere quello che gli pare, e fondamentalmente può sognare con Liberato. Liberato è un medium tra chi ascolta la sua musica, e i propri sogni, le proprie immagini.
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L'articolo Con Liberato niente è impossibile di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2024-05-08 10:08:00
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