Si sta come d'Autune sugli alberi le foglie

Autune miscela elettronica frastornante drum n bass con free jazz e ambient morbidissimo, lo abbiamo incontrato per farci spiegare come tenere tutto insieme

Autune – foto stampa
Autune – foto stampa

Davide Valenti è nato a Monopoli, ma ora vive in Svizzera. Gli amici lo chiamano Davi Vale (al punto che anche lui ha iniziato a fare confusione), ma quando suona si firma Autune. È un calderone di musica elettronica glitch, basse profonde e sprazzi free jazz. Sembra una miscela disturbante ma Davide riesce a riconciliare tutto in un sound autunnale. Dice che questa stagione è una delle sue maggiori ispirazioni, come fu anche per qualcun altro.

Anche quando non suona vive in simbiosi con un computer, quello dell'agenzia di comunicazione per cui lavora come video editor e motion designer. È uno scienziato dei computer che gioca con tasti e potenziometri dei synth fino a raggiungere il giusto grado di follia. Lo abbiamo incontrato poco dopo l'uscita di Reworked Auttakes – il suo nuovo disco – per farci raccontare come impazzire per bene davanti al computer.

Quando hai cominciato a fare musica?

Il mio rapporto con l'arte e la creatività è abbastanza variegato e comincia in maniera parecchio casuale all'asilo, quando mi fecero notare che disegnavo molto bene nonostante l'età. Col passare degli anni la mia creatività è migrata in tanti settori diventando un rifugio dove amavo immergermi per potermi discostare da dinamiche familiari scomode. L'arte era l'unica cosa in grado di darmi la sicurezza di cui necessitavo, poiché mi permetteva di essere libero all'interno di una realtà nella quale dovevo necessariamente seguire degli schemi rigidi. Iniziai ad approcciarmi alla musica quando avevo 15 anni, appassionandomi alla batteria grazie a un videogioco che permetteva di far parte virtualmente di una band. Passò poco tempo prima che iniziassi a buttar giù i miei primi beat, influenzato soprattutto dalle colonne sonore degli stessi videogiochi che accompagnavano la mia adolescenza. Reputavo quella musica tanto affascinante quanto differente rispetto ai brani che ero abituato ad ascoltare in radio. Ero attratto dal concetto di concepire un suono che fosse correlato a un'ambientazione o a un contesto specifico. Non ho avuto una formazione specifica, a guidarmi è sempre stata la voglia di esprimermi senza pormi alcun vincolo, lasciando che la musica materializzasse in chiave sonora il mondo immaginario che stavo pian piano costruendo.

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Con chi collabori?

Nel mio ultimo disco ho avuto la fortuna di collaborare con tanti artisti talentuosi. Tra questi spiccano Flavio Calaon, Yaree, Fëel, Sebastiano Lillo e Niccolò Monté Rizzi. Tra gli altri ci tengo a menzionare Houstones e Terry Blue, con i quali sono in cantiere diversi progetti. Infine, ho avuto il piacere di remixare un brano di Mömi che verrà pubblicato a dicembre.

Come definiresti la tua musica?

In passato mi divertivo a etichettare la mia musica come "pop that doesn't apply": letteralmente una sorte di "pop che non si applica abbastanza". Tuttora mi diverte ancora associare questa definizione alla mie produzioni, perché c'é sempre quella componente pop che però viene puntualmente circondata da strutture e suoni che invece sono l'opposto di ciò che ti aspetteresti di sentire da un brano mainstream.

Quali sono i tuoi ascolti?

È una domanda complicata, solitamente cambio spesso dipendetemente dal periodo che trascorro. Se devo elencare gli ascolti e le ispirazioni attuali direi: The Smile, Crosses, Sufjan Stevens, Moses Sumney, Copeland, Daughter, Kaytranada, Didi Han, Octo Octa, Totemo, Low Roar e Bon Iver.

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Genesi e significato complessivo del tuo ultimo lavoro?

Reworked Auttakes nasce con l'intento di ridare vita a tutti i contenuti scartati dal mio ultimo album Komorebi, pubblicato nel 2022. Ne è venuto fuori un viaggio che oscilla tra svariate outtakes (che ho battezzato “auttakes” per l'occasione), prodotte e rivisitate con la collaborazione di musicisti e producers provenienti da ambienti musicali differenti quali il jazz, l'hip-hop lo fi, il folk, la musica classica e il blues che vanno mescolandosi con basi jungle, liquid drum & bass, ambient e acid.

Il sound dell’intera opera prende molto spunto dalle vibes dei party anni '90 ed è ragionato come se fosse una sorta di party tra me e tutti gli artisti partecipanti. 

Quali sono i ricordi più belli che hai di un live?

Ho tre ricordi indelebili che mi hanno particolarmente scaldato il cuore: la prima volta in cui vidi della gente ballare mentre eseguivo un brano, il figlio di un mio collega di 5 anni che rimase a osservarmi affascinato per tutta la durata del live e il momento in cui, al termine del mio primo live, venni a sapere da un amico che durante l'esibizione aveva sentito mia madre, lì presente, dimostrarsi fiera di fronte ad altri nel pensare che avessi imparato a fare tutto da solo.

Progetti futuri?

L'idea è quella di suonare sempre più dal vivo, nel frattempo sono già al lavoro sui concept e sulle pre-produzioni dei brani che andranno probabilmente a comporre due dischi che spero di pubblicare nell'arco dei prossimi due anni. Alcuni di questi inizierò a registrarli già dal mese prossimo da Trulletto Records.

Una grande ambizione è quella di produrre un giorno una colonna sonora completa.

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L'articolo Si sta come d'Autune sugli alberi le foglie di Redazione è apparso su Rockit.it il 2023-11-30 12:53:00

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