Non fosse stato per Sanremo avrebbe smesso, dice. Un paio di mesi e si sarebbe messo a cercar un altro lavoro. Riccardo Sinigallia si lascia andare in una lunga chiacchierata: dai Tiromancino a "Cara Valentina", passando per suo padre, la sua famiglia e il fido in banca. Ci racconta il nuovo disco, il rap per come lo vede lui, e di come scrive una canzone - d'amore o no - e che va bene James Blake ma lui l'aveva già fatto 10 anni prima, per dire. L'abbiamo intervistato.
Partiamo dalla domanda più ovvia: qual è la frase precisa, il what the fuck, che hai detto quando hai scoperto di esser stato eliminato da Sanremo.
Le parole testuali non le ricordo e credo che se le ricordassi probabilmente non te le potrei dire. Ho provato molto dispiacere perchè, sinceramente, per me Sanremo è stata una grande notizia, diciamo un cambiamento di vita che aspettavo da vent'anni. Intendo l'essere presentato ufficialmente al mainstream italiano. Il mio progetto solista sul palco ufficiale della televisione italiana.
È ancora così importante la tv per la musica in Italia?
Non è solo importante, è praticamente l'unica possibilità che ha un musicista come me. Ovvero un musicista che non ha mai seguito, diciamo, da una parte la scena alternativa di tendenza e dall'altra il pop mainstream.
Cos'è la scena alternativa di tendenza?
Intendo quel tipo di casuale selezione di musicisti, cantautori, gruppi musicali che poi, per qualche tipo di concatenazione, vengono trasmessi all'unanimità, dalle radio indipendenti di un certo taglio, dai giornali specializzati, etc etc.
Quindi la musica in Italia non segue mai modelli meritocratici.
Penso che sia abbastanza evidente, almeno negli ultimi vent'anni… forse comincia adesso, con la crisi discografica alle spalle c'è un tale livellamento verso il basso dal punto di vista numerico per cui i valori cominciano effettivamente ad uscire, ad emergere. Io ti posso testimoniare in prima persona i motivi perché alcune produzioni che ho fatto hanno avuto successo ed altre no. E si tratta esclusivamente di visibilità, non c'è altra ragione. Ci sono progetti che hanno avuto periodi di gestazione molto lunghi prima di arrivare al grande pubblico: dopo l'uscita di “La descrizione di un attimo” dei Tiromancino, ad esempio, per un anno abbiamo suonato nei locali davanti e 20 persone. Tutti ci dicevano cose tipo: ma è normale, non si capisce che disco è, non è un disco rock, non è un disco pop, non si sa… Poi è bastato fare un video con Valerio Mastandrea, Ferzan Ozpetek ci ha messo la canzone nei titoli di coda in un film di successo e improvvisamente le stesse persone di prima ora ci dicevano: eh che meraviglia, finalmente, ve lo meritavate.
Lo capisco, certo. Però in tanti anni di Rockit ne abbiamo visti di nomi uscire dalla nicchia, e se lo meritavano.
Ovviamente ci sono degli spirargli positivi ma mi sembra che anche sul web ci siano delle tendenze abbastanza incomprensibili. Il rap in questo momento genera dei numeri folli dal punto di vista del merito, mi sembra veramente assurdo che degli artisti che secondo me valgono poco abbiano milioni di visualizzazioni mentre degli artisti veramente importanti della musica italiana ne abbiano 23 (sottolinea la parola, NdA). Voglio dire non parlerei di meritocrazia, anzi.
Lo conosci anche tu il rap, sono territori di gioco diversi. C'è un pubblico diverso. il discorso potrebbe diventare lungo...
...ma è interessante.
Se vuoi la risposta di Neffa: lui dice che il tempo è ciclico, dice che puntualmente un genere musicale diventa mainstream, anche solo per una canzone o una band che poi si tira dietro tutto il resto. Parlava di “Aspettando il sole” o anche dei Queen of the stone age, che hanno avuto il loro momento di massima esposizione e ora sono ritornati ad essere una band quasi di nicchia.
Si, certo. Ma anche nel rap ci sono casi di visualizzazioni assurde, e magari esistono altri mc, anche di migliore qualità, che ne fanno meno.
Ok, ma molti big del rap di oggi hanno la loro sostanza, magari arrivano al grande pubblico con le canzoni più dirette e volgari, possono non piacere, ma poi nel disco tre-quattro veramente belle ci sono. Sono i due lati della stessa medaglia. Io nel disco nuovo di Ligabue non ce ne trovo mezza di canzone bella. Parliamo del tuo di disco?
Aspetta, quello che intendo dire è che vince ed emerge sempre un messaggio aggressivo, non c'è mai un artista “sobrio” che esce dal web.
Intendi il web di Grillo, i vaffanculo day, etc etc.
Esattamente, bravo, come diceva DeGregori è facile pescare con le bombe a mano. E dal web escono solo quel tipo di artista lì, non ci sarà mai spazio per un Filippo Gatti, ad esempio.
Ritorniamo al tuo disco, e usiamo allora dei modi da carta stampata: “Prima di andare Via. Ritratto di una coppia ai tempi della crisi economica”.
(ride, NdA) Descrizione perfetta. Io mi sono trovato in piena crisi, economica ed esistenziale. Ho fatto con Laura due bambini, adesso hanno 8 e 6 anni. Cominciavo a non farcela, non sapevo più come andare avanti e per fortuna è arrivato Sanremo. Ed è arrivato proprio quando ero al limite, dopo che avevo già venduto tutti gli strumenti, dopo che avevo passato in rassegna tutti i buffi, e stavo pensando di cercarmi un altro lavoro.
E Sanremo ti porta guadagni immediati? È come per le radio che se vieni passato in una determinata fascia poi ricevi più soldi dalla Siae?
No, però puoi andare in banca e chiedere un allargamento del fido, mi ha permesso di campare questi due mesi, e poi con un contratto discografico non si diventa ricchi ma quanto meno paghi le bollette, la benzina, il calcio di mio figlio. Io ho sempre pensato: cosa vuoi che sia, dove si mangia in due si mangia in tre, non è così (sorride, NdA).
Raccontami la canzone "Per tutti".
Qualcuno l'ha definita un flusso di coscienza. Lo è, non posso negarlo. E' uno sfogo, per vent'anni di lavoro sulla canzone, sulla musica, sul linguaggio. E si riferisce anche quando ho lavorato in una casa discografica per quattro anni, e lì ho preso atto di piccoli, come posso dire, meccanismi del sistema di produzione che, applicato ai massimi sistemi, ti fa.... ti fa abbastanza incazzare.
Fammi qualche esempio.
Per esempio la frase “chi è bravo prima o poi ce la fa”, io lo sento dire spesso alle presentatrici di Rai Uno o dagli attori che poi alla fine hanno fatto scelte piuttosto discutibili magari venendo anche da una gavetta di spessore. Non è vero che se sei bravo prima o poi ce la fai. Ci sono degli artisti in Italia che sono stati ammazzati, ai quali non è stato consentito di continuare. C'è Francesco di Bella, il cantante dei 24 Grana che non ha mai fatto un Primo Maggio, e secondo me dovrebbe essere l'icona del Primo Maggio. Per dirne uno, potrei dirne 30.
Il concerto del Primo Maggio non può essere ancora considerato un punto d'arrivo per un artista, oggi, dai.
E' un esempio, per dirti che non è mai stato considerato. E la sua qualità, di produzione, dei dischi, dei concerti, è molto alta. Ma se non ti viene permesso di raggiungere il tuo interlocutore è dura. Io ero veramente ai supplementari, per questo sono molto grato al festival, mi hanno dato una una possibilità senza alcun tipo di interessi o di conoscenze. Non era scontato, come non era scontato incontrare una persona come Caterina Caselli, la cui competenza veramente mi commuove. Pensavo di aver sbagliato tutto, mestiere, interessi, tutto, e dopo aver passato vent'anni alla ricerca di un interlocutore l'ho trovato.
In “Non è più come prima” fai un parallelo tra la tua storia di musicista e quella con tuo padre. E' bella come cosa.
Non è voluta, è arrivata così, dopo aver scritto tutte le strofe. Mi mi mancava l'interlocutore, e mi sono reso conto che l'interlocutore a livello psicanalitico per me più significativo sarebbe stato mio padre. Perché mio padre mi ha insegnato i primi accordi e perché mio padre mi ha fatto molto soffrire nel momento in cui non ho avuto un vero riconoscimento. Mi diceva: perché tu fai così il difficile e tutti i tuoi amici invece vanno in classifica, magari anche prodotti da te? E questa cosa mi ha fatto stare molto male negli anni, ma allo stesso tempo ero convinto del mio percorso e dell'abbandonare progetti che stavano avendo successo solo per seguire la mia strada.
Quindi anche questa, come “Per tutti”, parla dell'insoddisfazione di non avercela fatta?
No, in realtà no. C'è questa sensazione di fondo ma è la storia delle mia generazione, ci è sempre stato chiesto, giorno per giorno, di sottometterci alla dittatura del mercato, dei numeri, gli ascolti, perché tu puoi fare la cosa più bella del mondo ma se non generi numeri, interesse, non esisti. E' questo l'equivoco su cui non cedo, mi dispiace. E anche il web su questo mi lascia perplesso. La canzone in realtà parla di quel preciso momento in cui da una parte ti puoi trovare in una salaprove con dei musicisti, ti guardi e dici: ragà non è questo quello che volevamo dalla musica, e magari dall'altra ci sei tu in studio e per tre giorni stai girando attorno ad un loop di 16 misure per farlo groovare artificialmente. Lì c'è tutto l'incastro, l'inghippo, il nodo della produzione. Per me produzione, arrangiamento, la scrittura, sono un po' la stessa cosa.
Infatti, a mio avviso, quando le tue parole vengono troppo allontanate dalla musica non funzionano. Per questo non mi piaceva “Che male c'è”, la canzone che hai scritto per Marina Rei. Mancava il Mondo Sinigallia dietro ogni parola.
Sono d'accordo. Per me la forma canzone differisce dalla poesia o dalla musica strumentale, proprio perché é nel rapporto tra la parola e l'accordo scelto che si genera il significato. Questa è la mia passione, il mio accanimento, il motivo per cui sono ancora qui a fare canzoni. Proprio perchè tu puoi prendere una parola come “bottiglia” e hai milioni si combinazioni per metterla in musica. Per questo mi fa ridere chi dice che le note sono sette e le canzoni ormai sono già state scritte, non è vero, c'è ancora tutto da fare.
Questo disco, a livello di arrangiamenti, è decisamente più pop. C'è tanto Battisti, Alan Sorrenti, diciamo che il suono si è allontanato parecchio dai precedenti.
E' la conclusione ideale di un percorso. Se nel primo proprio me ne fottevo dell'ascoltatore, volevo fare il mio disco, probabilmente è quello che mi porterei nella tomba. Il secondo è quello in cui cerco di avvicinarmi all'ascoltatore, mentre questo é quello con la precisa volontà di raggiungerlo. Ovviamente nei limite del possibile.
La copertina è brutta. Capisco la provocazione, i Sex Pistols e tutto ma...
...esatto, cita i Sex Pistols, e mi offendo, ci tengo tantissimo a quella copertina. Io sono pazzo di quella copertina.
“Io e Franchino” è una canzone molto bella. Due domande, la prima: le droghe, quelle che citi le hai prese tutte?
(ride, NdA) Beh, certo, ne mancano addirittura alcune.
La seconda è che quella canzone esprime una serenità quasi da super eroe. C'è una calma nel sapere cosa perdonarsi e cosa farsi perdonare, un tipo di consapevolezza simile io la raggiungerò a sessantanni se sono fortunato.
(Lunga pausa, NdA) Non ho quella consapevolezza lì, però, diciamo che quel periodo lì... Io adesso non uso additivi, a parte il tabacco, ma quel periodo, e anche un altro tipo di ricerca parallela che ho fatto in questi ultimi anni, mi ha portato ad un avvicinamento a dimensioni che, secondo me, esistono. Non voglio spaventare nessuno, dico solo che esistono realtà dove il tempo semplicemente varia a seconda di come lo vivi o lo percepisci.
Non ho capito. Parli dei ritmi di vita frenetici, la vita: a lavoro tutto il giorno a pranzo un panino e ora non ci vedo più dalla stanchezza?
Anche, ma soprattuto parlo delle convenzioni, che sono delle regole che ci aiutano a vivere questa dimensione in maniera organizzata e necessariamente schematica. Altrimenti sarebbe un bel delirio, me ne rendo conto, ma c'è anche la possibilità di vivere il tempo e lo spazio, avere un ordine sociale, ecco tutte quelle convenzioni lì, puoi anche provare a cancellarle per un attimo.
Tu hai sempre vissuto in Italia?
Io ho sempre vissuto in Italia ma sto molto in Grecia, a Paros, tutte le estati sto lì anche per due-tre-quattro mesi.
Hai scritto pochissime canzoni d'amore.
E' un mio limite, quello di riuscire a fare canzoni che mi piacciono solo quando le riconosco nella mia vita o, al massimo, come premonizioni. Non riesco a fare le canzoni partendo, che ne so, da un evento storico o da un tema. Vorrei provarci.
E come si scrive, invece, una canzone d'amore?
La si scrive mettendosi a nudo, con il coraggio di sembrare ridicoli. Secondo me una canzone d'amore è bella quando un po' mi mette in imbarazzo, quando mi vergogno di suonarla.
Sembra che un altro tema ricorrente sia la perdita dell'innocenza.
Non saprei, c'è tanto in “Non è più come prima” ma quella è una dichiarazione d'amore verso mio padre, dico che avrei voluto essere come lui, con quel suo approccio amatoriale alla musica.
Un altro tratto distintivo della scrittura sinigalliana è la malinconia.
(ride forte, NdA) Questa purtroppo è una condanna. A parte che l'Italia ha una tradizione melodrammatica solo da rispettare, purtroppo in questi anni la malinconia viene stigmatizzata come rottura di coglioni. In realtà non penso di metterlo come ingrediente principale, fa parte di me, io non riesco ad andare in giro con la faccia di chi è felice, a tutti i costi. Non ce la faccio.
Quando tu metti le mani su canzoni di altri si sente tantissimo, prendi “Cara Valentina”, “Vento d'estate”, “La descrizione di un attimo”.
Si sente esattamente nella misura in cui mi sono dedicato alla riuscita di quelle canzoni, di conseguenza, quando il successo arrivava e il mio nome spariva un po' mi dispiaceva. Poi, “Cara Valentina” neanche la firmo. L'ho arrangiata e prodotta e, anche se credo di aver fatto un lavoro importante su quel pezzo, sono totalmente convinto che debba essere attribuita a chi la canta oggi. Capita pure che le canzoni vengano attribuite a terze persone, magari gente che arrivava in tour in quel momento e di colpo diventava il co-autore del pezzo.
Addirittura?
Succede di tutto. Per me i pezzi rimangono dei legittimi interpreti. Infatti non le faccio dal vivo, l'unica che mi porto dietro è “La descrizione di un attimo”, per un motivo strettamente autobiografico: racconta del passaggio tra la fine di una mia storia durata dieci anni e l'inizio di una nuova. Mi dà fastidio lasciarla a qualcun altro.
Quando entri in studio con qualcuno riesci a riconoscere al volo la sua migliore qualità e punti a valorizzare quella?
Adesso penso di avere l'esperienza adatta per farlo. Prima, soprattutto le produzioni a cui ti riferivi, le affrontavo come se fossero dei miei dischi, e questo è forse stato l'errore più grave. Adesso ho imparato a produrre artisti che arrivano in studio con dei pezzi molto definiti. In questo senso il disco di Coez o di Luca Carboni sono stati perfetti. Sono arrivati con i testi già scritti e le idee ben chiare, io mi sono divertito e basta.
Se dovessi dirmi la migliore qualità di Zampaglione o di Gazzè?
Zampaglione la determinazione, di Gazzè la simpatia.
Dai, come quando si chiede se è una ragazza è bella e si risponde che è simpatica.
(ride, NdA) Gazzè è brillante, in ogni situazione.
A 27 anni cantavi “Quelli che ben pensano” insieme a Frankie Hi Nrg. Com'eri a 27 anni?
Non ero molto diverso da adesso ma avevo preso molte meno bastonate. Ora sicuramente sono più forte. All'epoca avevo appena iniziato ad entrare nel sistema del business musicale, facevo la produzione di Niccolò Fabi ma frequentavo l'ambiente del rap di quegli anni lì. Quando ho fatto quel ritornello pensavo di aver scritto una cosa decisamente mediocre, ero anche scettico rispetto alla riuscita del brano. Poi è successo quello che è successo, e vivevo tutto tipo: oddio, ma che è.
Perché quel brano è riuscito secondo te?
Sicuramente per l'incastro tra tre personalità molto diverse. Bisogna ricordare che Ice One ha fatto una base pazzesca, che Fankie ha tirato giù un vero manifesto di quegli anni, oserei dire che è ancora attuale. Io sono riuscito a metterci un po' umanità. La prima volta che ho letto il testo gli ho detto: Francé purtroppo tutte queste cose io le ho fatte, non ci posso mettere il carico da novanta, devo assolutamente alleggerire...
...davi fuoco alle zingare.
(ride, NdA) No. Ma Io la vedevo quella zingara ogni tanto, capivo benissimo cosa raccontava quella canzone.
Ti piace ancora l'elettronica?
L'ho amata alla follia ma quando era soul, quando veniva dall'anima anche se era una musica digitale. Perchè anche se Kraftwerk o Aphex Twin scomparivano, i primi dietro a delle macchine, l'altro dietro a un laptop, erano espressioni artistiche dove sentivi una forte personalità.
Progetti come Drake o James Blake li ascolti?
Bellissimi, anche se avendo ascoltato tanta musica elettronica e avendo perso molti anni con i campionatori e sintetizzatori etc, non riesco a sentire con facilità tutto un album di Blake. Ma riconosco che la sua sperimentazione è interessante e, lo dico senza presunzione alcuna, non mi sembra così lontana dal mio primo disco che è del 2003 (ride, NdA).
Che mito avevi da ragazzino?
Mi sono appassionato alle persone che ho conosciuto, per esempio Lory D o i Sangue Misto, nel 94 quando uscì “SXM” fu una roba sconvolgente. Ma erano legami che partivano prima da una conoscenza personale. Non è per fare lo snob ma non mi sono mai appassionato, che ne so, al gruppo che vedevo in tv. Forse i CSI, “Ko De Mondo”, loro mi hanno proprio colpito anche se non li conoscevo di persona. Ma l'evento che mi sconvolse parercchio fu questo: mia madre era una discografica e mi portò un giorno al soundcheck di Donna Summer periodo Moroder. Io vidi il check di “I Feel Love”, e quella roba... io penso di fare il musicista per quel momento lì.
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L'articolo Riccardo Sinigallia - La meritocrazia non esiste. Storia di canzoni riuscite che non hanno avuto successo. di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2014-03-11 00:00:00
COMMENTI (6)
Bellissima intervista. Ma pescare con le bombe a mano non è in Coda di lupo di De Andrè?
Intervista da leggere, anche se come autore Sinigallia non mi è mai piaciuto.
io so solo che quando, all'inizio del chorus di "La descrizione di un attimo" parte quel mandolino, beh... brividi e pelle d'oca, sempre.
Riccardo è una persona splendida oltre che artista completo. quando due anni fa aprii un suo concerto (dopo anni di mio fermo musicale ) lui e Laura stettero ad ascoltarmi con molta attenzione per il breve set. Le sue parole, le sue critiche, furono molto molto importanti. ricordo con moltissimo affetto quella data. sono molto felice degli attestati di stima, anche se tardivi, che ora sta ricevendo. il disco è splendido e lo consiglio.
molto bella anche l'intervista.
é strano, credo sia difficile trovare un 'artista allo stesso tempo così mainstream e così indiependente.. é una bella intervista, che tra l'altro mi spiega come mai sia finito a sanremo, io non ce lo avrei visto mai.. pur convinto che il suo disco sia meraviglioso, anzi proprio per questo.
Spero di vederlo dal vivo quanto presto
bella intervista, a un artista che sa perfettamente di cosa sta parlando. molto sentita, anche.