Fabio Bortolotti, aka Kenobit. "I'm in love with my Game Boy and videogames are my life": si legge dalla sua bio su Bandcamp, dove trovate tutta la sua musica. Classe '82, milanese, artista elettronico, gamer e traduttore di videogiochi. SOLAR è il titolo nel suo nuovo, pazzo, progetto: un singolo composto interamente su Game Boy accompagnato da un video realizzato da un’intelligenza artificiale. Lo abbiamo incontrato (a due giorni dal suo compleanno, ndr) per un’intervista a 360 gradi o...a 8 bit, fate voi.
Se dovessi definirti, che tipo di artista diresti di essere?
Non ho mai pensato a come definirmi, ora che ci penso! Da un lato mi piacerebbe essere considerato poliedrico, perché cerco di muovermi in più ambiti della cultura, ma a livello musicale sono sostanzialmente un monaco del Game Boy. Anche se in passato ho suonato altri strumenti (ero un batterista punk), nel console Nintendo ho trovato una passione e un'ossessione. Lo uso per fare musica da quasi 15 anni, eppure continuo a scoprirne nuove sfumature e particolarità. Sono un po' come i musicisti che passano una vita a specializzarsi in uno strumento, diventandone al tempo stesso padroni e prigionieri. Ogni tanto uso altre macchine, per divertirmi e per non perdere la flessibilità mentale, ma c'è sempre qualcosa che mi richiama verso il mio mattone grigio.
In pratica ami "pistolare" con vari device elettronici: quando hai coniugato questo amore con la musica?
Il seme è stato gettato da Space Harrier, che da bambino giocavo nella sua versione per Sega Master System. Era il 1986 e io avevo quattro anni, ma la bellezza di quella colonna sonora (composta da Hiroshi Kawaguchi, anche noto come "Hiro"), unita alla potenza primitiva delle onde quadre della console a 8 bit, è stata il mio imprinting musicale. Crescendo ho imparato a suonare la batteria, ho suonato in tante band e a un certo punto, essendo il "nerd" del gruppo (termine che odio con tutto me stesso), mi fu dato l'incarico di imparare a usare il computer per registrare i nostri dischi. Lì, nel classico studio fatto in cantina, insonorizzato con i cartoni delle uova, ho imparato a usare sequencer, VST e compagnia bella. Qualche tempo dopo ho scritto dei pezzi in "finto 8 bit", usando FL Studio con dei VST che simulavano i suoni di un vecchio NES. Nel farlo, ho scoperto che esisteva gente che la roba a 8 bit la faceva per davvero, usando gli hardware dell'epoca. Mi sono imbattuto in una scena micromusicale italiana, e mi sono subito sentito a casa.
Dunque, hai deciso di suonare il Game Boy. Cosa (o chi) ti ha convinto?
Il merito agli esordi va ai concerti organizzati all'epoca da Tonylight e Pablito El Drito, e al supporto e agli insegnamenti di arottenbit, tutti e tre già in piena attività quando io stavo muovendo i primi passi. Se non ho mai smesso, è anche per un banale dettaglio del Game Boy: è portatile. Molto portatile. Lavoro direttamente su Game Boy, quindi posso scrivere in treno, in spiaggia, in aereo, sul terrazzo. Ovunque io sia, ho il mio studio, e trovo rinfrescante, in una vita passata davanti ai PC, che i miei momenti di creatività siano liberi da ogni vincolo spaziale.
Veniamo a Solar, il tuo ultimo singolo. È composto e registrato su Game Boy, nessun altro supporto?
Assolutamente. Il brano che sentite nel video – come tutti gli altri che scrivo – è interamente composto e registrato su Game Boy. Non ci sono effetti, filtri o mastering. Per intenderci, attaccando un paio di cuffie al mio Game Boy, lo sentireste esattamente così. E, per inciso, Solar è un singolo a cui tengo moltissimo, nonché uno dei rari pezzi in cui esploro il lato più dolce e ambient del Game Boy. Farlo è impegnativo, perché siamo alle prese con un chip audio ruggente, ma vale la pena perché emergono sfumature sonore molto particolari. Per me è letteralmente dolcezza in bassa risoluzione.
Chi ha lavorato con te al progetto-brano-videoclip Solar?
Filo Q ("vecchia conoscenza" di Rockit con i suoi Magellano, ndr) e Gabriele Dente, regista e videomaker con base a Milano. Filo è il cuore melodico del brano e autore del primo sketch da cui sono partito: ha buttato giù varie idee di melodia, io le ho tradotte e arrangiate su Game Boy; poi, nell'arco di un paio d'ore intensissime, abbiamo definito la struttura e i dettagli del brano. Con Gabriele, invece, abbiamo instaurato una vera e propria alleanza artistica, anche se tecnicamente ci muoviamo in campi diversi. Lavorare assieme, spesso, mi aiuta a chiarirmi le idee e a guardare le cose da un'altra prospettiva. Collaboriamo più o meno dall'inizio della pandemia, uniti da un obiettivo comune: fare cose belle, ma soprattutto farle alle nostre condizioni, sperimentando e fregandocene delle consuetudini commerciali.
Il videoclip è realizzato da un'intelligenza artificiale e racconta la storia dell'umanità. Come vi è venuto in mente?
Un giorno, poco tempo fa, Gabriele ha iniziato a bombardarmi di immagini create con Midjourney, una delle più note reti neurali che si stanno affermando nell'ambito dell'IA. Abbiamo iniziato a parlare delle potenzialità e dei pericoli di questa nuova tecnologia, creando come "proof of concept" degli intermezzi animati per il mio canale Twitch, Kenobisboch. Poi, osservando la resa di alcune illustrazioni create dall'intelligenza artificiale, ho avuto l'idea di una storia dell'umanità raccontata attraverso i suoi momenti salienti, ma con un finale felice, un futuro Solarpunk che dà il nome al brano. Dopo il concept iniziale, Gabriele ha fatto uno storyboard a tempo di record, per poi fondersi con la macchina e creare le centinaia di immagini che compongono il video.
Il sottotitolo – didascalico – del videoclip è: "The history of humanity drawn by machines". Cosa significa unire umano e macchina?
Scrivendo musica su Game Boy, rigorosamente senza parole, mi faccio i miei film in testa. Il bello della musica strumentale è che può voler dire quello che vuoi e che non esiste una chiave unica per interpretarla. Scrivendo Solar avevo in mente una riflessione agrodolce, delicata ma non spensierata. Darle forma con un video sulla storia dell'umanità è stato quasi naturale. La questione interessante, secondo me, non è la commistione tra uomo e macchina, ma il futuro delle interazioni tra uomo e macchina. Solar mostra al tempo stesso un futuro in cui questo rapporto ci ha liberato dalle nostre catene, ma anche un passato, tragicamente concreto, in cui i progressi tecnologici hanno portato morte e sofferenze. Con questo video abbiamo immaginato un futuro solarpunk nel quale avremo finalmente capito come gestire questo rapporto. Penso che affrontare in modo consapevole le potenzialità e i rischi delle macchine neurali sia vitale per fare avverare quel futuro.
Qual è stato l'aspetto più affascinante di lavorare con l'IA?
Il processo in toto, perché per ottenere determinati risultati Gabriele ha dovuto capire come parlare alla macchina, elaborando prompt che dessero vita a immagini adatte alla sua visione. Per certi versi, è stato un regista che ha diretto un'attrice, in questo caso rappresentata da una macchina. Trovo molto affascinante come le reti neurali siano contemporaneamente uno strumento e una realtà imprevedibile e insondabile, che sembra ragionare autonomamente, con criteri tutti suoi. A questo proposito, vale la pena snocciolare qualche numero: in Solar ci sono 102 scene, ognuna composta da 4 tavole disegnate dall'IA. Per ottenere le 408 immagini selezionate, Gabriele ha generato un totale di 3847 immagini e la GPU ha lavorato per poco meno di 80 ore.
Nel videoclip di Solar si legge: "Per questo riteniamo che i frutti delle reti neurali debbano essere messi al servizio della collettività. Devono essere usati per facilitare la vita di chi lavora, non per svalutarne la professionalità. Devono ridurre gli orari lavorativi, non le buste paga". Sarebbe bello, ma credi sia possibile in un futuro prossimo?
Oh, sì. Sappi che hai attivato la mia trap card e ora scatta il pippone prolisso (ride, ndr). Io stesso, una decina di anni fa, dicevo che avremmo fatto in tempo ad arrivare su Marte, prima che una macchina potesse fare il mio lavoro. Mi sbagliavo. La tecnologia delle reti neurali è sbalorditiva e progredisce con una velocità quasi impossibile da prevedere. Quello che oggi ci sembra impossibile, domani potrebbe essere triviale. Ci sono reti neurali che fanno tantissime cose che credevamo riservate agli umani: compongono musica, analizzano l'andamento dei mercati, disegnano, giocano a Go, interpretano referti medici e molto altro ancora. Non abbiamo certezze su quali saranno gli sviluppi futuri, ma non ci sono dubbi sul potenziale dirompente del loro impiego nel mondo del lavoro.
Le reti neurali sono già uno strumento molto potente. Tu che ci lavori, cosa sai dirci dell'IA?
Quando non suono il Game Boy, lavoro nel mondo della localizzazione videoludica, come traduttore dall'inglese all'italiano. Il lavoro di traduzione, che prevede scelte semantiche raffinate e l'interpretazione delle ambiguità della lingua, potrebbe essere visto come una fortezza inespugnabile dalle IA. Le reti neurali e la cosiddetta "machine translation" non sono ancora in grado di tradurre come me, ma iniziano a essere in grado di imbroccare qualche frase e di azzeccare il significato dei testi. Le frasi generate, però, sono piene di errori, soprattutto nella gestione dei femminili, dei maschili e dei plurali. Salvo rarissimi casi, l'output della machine translation va pesantemente rimaneggiato e corretto, al punto che spesso è più rapido tradurre da zero. Ogni volta che tu, essere umano, correggi una frase della macchina, dai un feedback che permette di rendere più accurate le traduzioni future.
L'IA potrebbe essere uno strumento che facilita le nostre vite, permettendoci di lavorare meglio, risparmiare tempo, eccetera. Potrebbe, e invece?
Invece, visto che viviamo in un mondo votato al profitto e le reti neurali sono di fatto controllate da chi può permettersi di svilupparle, questa tecnologia imperfetta è già diventata uno strumento per erodere i nostri diritti. Io non lo faccio per partito preso (e perché ho l'anzianità e il privilegio di poter dire di no), ma moltǝ colleghǝ più giovani di me devono accettare i lavori di "post editing", ossia quelli in cui invece di tradurre ex novo correggi l'operato della macchina. Se vuoi farlo bene, finisci per metterci lo stesso tempo di una traduzione da zero, ma vieni pagato sensibilmente di meno. E oltre il danno, la beffa: ogni volta che correggi una frase, stai affinando lo strumento che un giorno potrebbe lasciarti completamente senza lavoro. Questo rischio non è fantascienza, è già realtà, e potrebbe applicarsi a tantissimi campi ai quali non abbiamo ancora nemmeno pensato.
Soluzioni per evitare l'Apocalisse tecnologica?
Definire l'etica dell'utilizzo di questa tecnologia. Se non lo facciamo, ci attende un futuro in cui il divario di ricchezza crescerà a dismisura, forse oltre ogni possibilità di recupero. Come se non bastasse, molte reti neurali, come tra l'altro Midjourney, si basano su corpus di dati immani, che contengono letteralmente secoli di opere dell'umanità (che si tratti di testi, disegni o tecniche, poco cambia). I progressi e i vantaggi di queste tecnologie appartengono di diritto alla collettività ed è cruciale definire al più presto l'etica del loro utilizzo. Per me, senza iperboli, è ciò che potrebbe fare la differenza tra un futuro utopico e una distopia gibsoniana. Anche per questo abbiamo pubblicato Solar a fine luglio, contro ogni logica commerciale.
Bisogna guardare anche alle criticità della tecnologia?
Sì. La tecnologia di Midjourney è sbalorditiva e affascinante, e non ci stupisce che tantissime persone in tutto il mondo ci stiano giocando. Trovavamo avvilente, però, che nessuno sollevasse le sue criticità. Non dobbiamo farci abbagliare dalla novità luccicante delle reti neurali. Ora, più che mai, è il momento di guardarle con lucidità, di comunicare alla collettività il loro potenziale e i loro rischi. In fondo perché chiunque abbia un minimo di cultura grafica non può non notare i tanti plagi di Midjourney. Non permettiamo a nessuna azienda di rivenderci ciò che già ci appartiene: l'immaginario dell'umanità.
Torniamo alla musica; torniamo a Solar: a livello tecnico è difficile comporre su un Game Boy?
Scrivere Solar, a dirla tutta, non è stato difficile, perché è stato frutto di un momento di ispirazione e creatività a casa di FiloQ. Normalmente impiego una ventina di ore per scrivere un pezzo su GB, ma nel caso di Solar la scrittura è avvenuta tutta d'un fiato, nell'arco di un paio d'ore. E, per inciso, lavoro con LSDJ, uno stupendo tracker che permette di sfruttare al massimo il modesto chip audio della console. Detto questo, penso che a livello tecnico sia una delle cose più eleganti che ho fatto su Game Boy, perché basa la sua dolcezza su quello che normalmente è considerato un limite del Game Boy.
Perché? Qual è il limite della console Nintendo?
Se tendete l'orecchio, sin dall'inizio potete sentire dei minuscoli "clic", legati alla rudimentale gestione della stereofonia della macchina (e all'abbondante uso che ne ho fatto, intenzionalmente). Spesso quei clic sono considerati sporcature indesiderabili, ma io penso che facciano parte del DNA del Game Boy. A livello simbolico, mi piace che il difetto di una macchina "obsoleta" venga usato come punto di forza, soprattutto in un video come Solar, che contiene una critica esplicita al consumismo.
La micromusic ha più a che fare con la cultura geek o l'underground?
Con l'underground, e mi dai modo di fare una precisazione. Amo la musica dei videogiochi, la cosiddetta VGM, perché è stata senza dubbio importante nella mia formazione (al punto che l'ha esplorata con un podcast dedicato, insieme al socio Andrea Babich: Outcast Sound Shower, ndr). Ma cerco sempre di tenerla separata dalla mia attività con il Game Boy. Può sembrare controintuitivo, ma per me è importante, proprio a livello artistico: vedendo un Game Boy che suona è facile ricondurre tutto il discorso ai videogiochi, ma è una banalizzazione che rende poca giustizia a tutta la scena della micromusic. Usiamo un hardware nato nel 1989 per riprodurre videogiochi, ma ciò che facciamo ha più a che fare con l'underground che con la fantomatica cultura geek.
Vuoi dire che il Game Boy è come una chitarra elettrica?
Sì. Per me il Game Boy è un oggetto potente, carico di fascino e di carattere, ma a livello filosofico lo considero come una chitarra elettrica. Puoi usarlo per riprodurre la musica di Tetris, se vuoi, ma puoi anche spingerlo in territori concettuali e musicali che non hanno più niente a che fare con il videogioco. Ci sono decine di artisti e artiste che mi hanno cambiato la vita, a livello musicale, ma sul fronte Game Boy l'ispirazione più grande è sempre venuta da chi ha il dono di fare tanto con poco, trasformando le limitazioni tecnologiche in occasioni creative. Penso ai Kraftwerk, alla Yellow Magic Orchestra, ma anche al punk immediato e senza fronzoli di Black Flag e affini. Più concretamente, non potrò mai ringraziare abbastanza arottenbit per avermi mostrato il lato più violento del Game Boy, di cui è stato assoluto pioniere.
Porterai Solar live, per ripetere lo spettacolo del concerto al Lucca Comics 2017?
Certamente. Per me il Game Boy è un'esperienza da vivere dal vivo, con i subwoofer e le vibrazioni delle casse. La gente sente dire "Game Boy" e si aspetta le musichette di Super Mario Land, ma rimane sempre sbalordita dalla potenza del suono che emette. Anche per questo, per me, è importante lavorare con il Game Boy in purezza, senza effetti esterni: così facendo, so che dal vivo posso sempre la sua potenza originale, anche perché in fondo, ascoltandolo, non sento il bisogno d'altro.
I tuoi concerti sono più set elettronici o più show punk?
Vivo i concerti chiptune più come show punk che come set elettronici, e chi c'era al Lucca Comics, ad esempio, lo sa bene. Tra una canzone e l'altra parlo, urlo e fomento, violando tutte le regole di "DJ set professionale" (anche perché non sono un DJ). I miei pezzi, a differenza di Solar, sono violenti e veloci, quindi devo ancora ragionare su come inserirlo nella scaletta. Lo farò di sicuro, ma sto anche pensando a una collaborazione più estesa con FiloQ, per produrre un set pacifico e tranquillo. Penso che nei prossimi anni avremo bisogno di relax, oltre che di voglia di combattere.
Per quello c'era il Milano Chiptune Underground, le storiche serate al Macao. Che ricordi hai di quel periodo?
Vado molto fiero di quello che abbiamo fatto con Milano Chiptune Underground. Parlo al plurale, perché è una creatura mia e di arottenbit. MCU è stata una serie di feste micromusicali, svoltesi principalmente a Macao. Nel corso degli anni, abbiamo invitato quello che ritenevamo il meglio della scena underground della chiptune e della micromusic internazionale, ma con un particolare accorgimento: abbiamo promosso le serate senza ricorrere a quell'immaginario fatto di pixel e citazioni un tanto al chilo che spesso viene associato alla chiptune.
Come spingevate, come comunicavate gli eventi?
I flyer ricordavano più i volantini punk ciclostilati e l'estetica strizzava più l'occhio al mondo dei rave che a quello dei LAN party. Non abbiamo presentato le serate come feste dedicate al Game Boy o al Commodore 64, bensì come party di musica elettronica, che poi è la definizione più corretta. Nel pubblico c'erano fan del genere, ma anche persone che non sapevano che sul palco, a suonare, c'erano un mucchio di console portatili di trent'anni prima. Il risultato sono state grandi feste che hanno fatto ballare migliaia di persone. Organizzarle è sempre stato un disastro logistico, ma ci hanno dato grandi soddisfazioni.
Ci sarà un nuovo MCU?
Lo speriamo. Ultimamente, io e arottenbit stiamo accarezzando l'idea di metterci sotto con un nuovo MCU, ma stiamo aspettando l'occasione e il luogo giusto.
Hai suonato letteralmente in tutto il mondo. Ora dove vorresti portare la tua musica?
Sarebbe facile e banale dire che vorrei portare il Game Boy sui grandi palchi, nei palazzetti e nei festival più in voga, e sarebbe anche falso. Negli ultimi dieci anni ho avuto la fortuna di suonare dall'Africa all'Australia, dal Giappone agli Stati Uniti. In dicembre completerò la raccolta di figurine andando a suonare a Buenos Aires, coprendo l'ultimo continente che mi mancava (escludendo l'Antartide, ovviamente). Mi sono tolto qualche soddisfazione, ma ho anche le idee più chiare su dove voglio andare. In questo momento, dopo una pandemia che ha esacerbato le ineguaglianze della società e ha strappato il tessuto sociale, sento il bisogno di suonare in giro per l'Italia, il più possibile, magari nei luoghi solitamente ignorati dal circuito della musica dal vivo.
Vuoi suonare in provincia, nei posticini, nei postacci?
Sì, negli angoli di libertà. Voglio suonare in concerti accessibili anche a livello economico, perché penso che l'intrattenimento, la musica e la cultura non dovrebbero essere un lusso. Voglio suonare in posti dove la musica non sia un prodotto per attirare clienti, bensì un catalizzatore di socialità e solidarietà. Non a caso, mi sento felice quando porto la mia musica in un centro sociale autogestito o in uno spazio occupato. Il capitalismo ci dà l'illusione che l'unico modo per avere successo sia crescere in maniera tangibile, misurabile e numerica.
Cos'è il successo, invece, per te?
Per me il successo è continuare a fare musica alle mie condizioni, senza vendere i miei valori per due spiccioli. So benissimo che così non diventerò né ricco, né famoso, ma mi va benissimo così. Detto questo, invitatemi pure ai festival e sui grandi palchi, così faccio bella figura con la mamma!
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L'articolo “Solar” di Kenobit: un Game Boy contro il capitalismo di Mattia Nesto è apparso su Rockit.it il 2022-08-04 13:00:00
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