A poco meno di un anno dalla pubblicazione di "Austerità", il primo lp di Spartiti, Max Collini e Jukka Reverberi hanno sentito la necessità di dare completezza al discorso iniziato durante i live, fissando su supporto alcuni dei loro brani più amati. Ne è venuto fuori "Servizio d'ordine", un nuovo ep (che vi facciamo ascoltare in anteprima) che mostra un progetto ormai consolidato, tra la scrittura di Collini sempre più letteraria, le sconfinate invenzioni sonore di Reverberi, e gli omaggi alla letteratura che ha formato il loro immaginario. Di questo, e di molto altro, abbiamo parlato con Max Collini.
L'ultima volta che ci siamo sentiti, ci hai detto di essere campione mondiale di storie di provincia, però “Servizio d'ordine” si apre con una storia tutta milanese.
Volevamo omaggiare la forza di quel testo di Philopat, tratto dal libro "La banda Bellini": è un frammento ma è potente, anche se noi veniamo da una storia politica diversa, nel PCI, il padre di Jukka era anche nel comitato centrale del Partito e segretario di sezione a Cavriago. Bellini rappresenta l'esperienza extraparlamentare, noi di partito. Gli abbiamo dedicato video e canzone visto che è scomparso da poco, ma la storia è bella in sé a prescindere dalle proprie opinioni politiche. È bella anche la musica perché è molto diversa rispetto a quello che facciamo di solito, sono contento anche che siamo riusciti a fare un brano di due minuti e mezzo rispetto ai soliti sette (ride), rinunciando alla prolissità. La frase finale ("Bellini da vivi, bellissimi da morti", ndr), anche se è stata scritta dai fasci, è geniale, fa male ammetterlo.
Nel nuovo ep ci sono sono solo due inediti e mezzo, diciamo così, perché “Borghesia” era nel primo ep omonimo, “Qualcosa sulla vita” è una cover, ed “Elena e i Nirvana” non riesco a ricordare perché, ma la conoscevo già.
“Elena e i Nirvana” la conosci perché tempo fa ho pubblicato il testo su Facebook per vedere se avrebbe funzionato, ma la canzone con la musica non c'era ancora, l'abbiamo costruita in studio. “Ida e Augusta” la facevamo già dal vivo. La necessità è nata dal fatto che nel tra il 2014 e il 2015 abbiamo sviluppato il repertorio e lavorato parecchio. Durante le oltre 60 date del primo tour, abbiamo registrato e messo su supporto i brani, con un bel libretto perché per noi è importante e ci dedichiamo attenzione. Siamo partiti da 50 copie, poi sono diventate quasi 1000, perché continuavano a esaurire. Davano un'idea di quello che facevamo, ma non erano esaurienti.
Quindi è un ep che avete rilasciato per completezza?
Volevamo soprattutto completare il discorso iniziato con “Austerità”, ma con una sua singolarità artistica, perché alcune cose erano rimaste fuori, e ci sembrava giusto portare in studio delle cose significative come “Borghesia”, ma anche “Servizio d'ordine”. Quindi semplicemente la scelta è legata al fatto che ci sono dei brani importanti che meritavano di stare su supporto e che magari qualche ascoltatore vuole sentire. Sono pezzi che racchiudono tutto il nostro panorama, dalle chitarre effettate, all'elettronica, all'hip hop. È bello fare cose diverse a seconda del tipo di narrazione che scegli, perché deve essere efficace. In un progetto come il nostro l'ambientazione sonora è fondamentale per dare importanza alle parole: il lavoro di Jukka è proprio quello di valorizzare la narrazione.
In un'intervista di 12 anni fa ci dicevi di non sentirti uno scrittore. È ancora così?
Oggi se proprio...scrittore di racconti mi sento di poterlo dire. Non ho mai scritto un libro, anche se ho delle idee. Diciamo che la definizione potrebbe essere scrittore di racconti pigro.
Quindi stai pensando di scrivere un libro?
Sto pensando a tante cose, perché pensare costa poco e non richiede un grandissimo impegno. Però certo, ci sto pensando da tantissimo tempo, ho un'idea per un romanzo ma non ho scritto neanche tre pagine, quindi sono un po' indietro (ride). Ho anche delle idee per raccogliere tutto il materiale che ho scritto in questi anni, anche cose non utilizzate. Il fatto che con Spartiti siamo riusciti a realizzare un ep ad appena un anno dall'uscita dell'album dimostra che esiste un repertorio, non solo mio ma anche mio. Ho tanto idee ma non sono molto propositivo. Gli Offlaga prima e i risultati di Spartiti poi può darsi che mi bastino e io non faccia altre iniziative ulteriori. Fino a questo momento quello che ho avuto dal palco mi è stato sufficiente a farmi contento di quello che faccio. Insomma non ho mai scritto un libro, ho pubblicato solo qualche racconto su delle raccolte, però ho scritto tante prefazioni di libri, quindi sono uno scrittore di prefazioni. Ho scritto più prefazioni che libri (ride).
In ogni caso mi piacerebbe capire qualcosa di più sulla tua scrittura. Per te è un lavoro quotidiano o scrivi quando ti arriva l'idea?
Ma neanche mensile (ride)! Io scrivo solo se ho un'idea e una scadenza, infatti non sono molto prolifico. Dopo un primo periodo, quando ho cominciato a scrivere a 30 anni e mi sono infognato per questa cosa nuova, i miei ritmi sono diventati molto blandi. Quindi scrivo solo quando c'è da fare il disco o quando l'idea è molto forte. Altre volte scrivo per altri motivi, anche solo per fermare delle idee da andare a ripescare dopo, soprattutto quando si tratta di confronti con altre persone che si rivelano interessanti per una storia, tipo “Palazzo Masdoni” degli Offlaga è nata così. Certe volte si scrive senza sapere che è l'argomento giusto.
Per esempio?
Prendi “Sequoia”, parla del fatto che ho una piccolissima cicatrice sul sopracciglio che mi sono fatto da bambino, negli anni '70, quando i miei nonni facevano i mezzadri. Non mi era mai venuto in mente di parlarne, ma pubblicai una foto della famosa seconda elementare di “Robespierre”, dove era molto evidente, perché me l'ero appena procurata. Qualcuno me l'ha fatto notare e mi ha chiesto la storia, e mentre gliela spiegavo ho capito che potevo scriverne un racconto.
Quando scrivi te lo immagini già con tutte le pause, l'intonazione, e comunque hai un'idea della musica?
No, assolutamente no, la mia scrittura è molto spontanea e poco tecnica, io scrivo perché voglio scrivere la storia, parto da lì. Posto che sia nata prima la musica o il testo, non importa in questo momento, è un lavoro che si fa con la musica. È la musica stessa che mi dice qui sì, qui no, qui taglia, qui non funziona. Dopo un po' di anni di esperienza capisco subito se una frase va bene o no, se devo spostare una parola, un punto, una pausa. Parto dalla storia e solo dopo trovo il matrimonio con la musica, che può essere efficace per similitudine o per contrasto. Certe volte do dei testi a Jukka e lui mi riporta delle idee, altre volte mi manda delle idee musicali e io provo dei testi che ho scritto. La cosa più bella è lavorare insieme con la musica e il testo e onorarli entrambi. È la parte più divertente in assoluto.
Il tuo modo di scrivere è cambiato in questi anni?
Io credo di sì, di parecchio, perché sono cambiato anch'io. I primi racconti li ho scritti a 30 anni, ero un giovane uomo. Tra poco compirò 50 anni, sono un uomo nella seconda metà della vita. Io credo che il modo di scrivere sia diventato più dimesso, meno aggettivato, asciugato, con meno trovate. Prediligo la storia al colpo ad effetto. Dal punto di vista dell'impatto con l'ascoltatore potrebbe non essere efficace. Ai tempi degli Offlaga alcune frasi sarebbero diventate dei meme, tantissimi allora erano rimasti molto colpiti dal linguaggio di quel disco, un po' desueto ma divertente e ironico.
Alla soglia dei 50 anni, qual è l’insegnamento più grande che ti ha portato questo mestiere?
Per prima cosa ho conosciuto tantissime persone, ed è stata la cosa che ha caratterizzato più la mia esistenza. Non era un sogno della mia vita finire sul palco e fare dei dischi o un percorso artistico. Non era nei miei desideri, nelle mie ambizioni, è una cosa che non ho mai cercato, per cui a un certo punto mi sono trovato nella situazione in cui avevo realizzato i sogni di qualcun altro, non i miei. C'è stata un'epoca in cui gli ODP sono stati un gruppo molto importante e seguito e io mi sono sempre imposto, e ci sono riuscito forse anche perché ero un adulto, di non crederci troppo. A tenere i piedi per terra l'ho imparato molto presto. Anche quando c'è il consenso, un sacco di gente a vederti in concerto, io credo di non averci mai creduto così tanto, non avendo ambizioni potevo permettermelo. Ci sono stati dei momenti in cui uno poteva pensare di non lavorare, di fare il musicista di mestiere, sarebbe stato possibile, ma io ho continuato a fare la mia vita vera, anche oggi sono in ufficio.
Nella stessa intervista di 12 anni fa ci dicevi di non essere nato per stare sul palco, intanto sei già al secondo progetto musicale. Hai fatto pace con questo aspetto? Ti senti un musicista?
Il problema è che non cantando e non suonando nulla, trovo fuori luogo definirmi un musicista. Tecnicamente non lo sono. Il primo concerto l'ho fatto a 36 anni e all'epoca la cosa, non avendo nessuna esperienza, mi metteva molto a disagio. Mi ha creato molta ansia all'inizio. Detto questo non mi sono del tutto pacificato col palco, meglio non dargli troppa confidenza, alla fine un po' di tensione e di paura aiuta la concentrazione, ti permette di non sottovalutare quello che devi fare.
Raccontami di una volta che hai avuto l'ansia da prestazione sul palco.
Una volta ho condiviso il palco con una cantante molto brava, in un piccolo festival in Umbria. Mi sono confidato su queste tensioni, questa paura che avevo di salire sul palco, le mie difficoltà. Le ho chiesto se anche lei avesse paura. Mi ha risposto “Io non ho paura di niente”. Me ne sono andato con la coda tra le gambe. Ci sono sempre delle gag tra me e Jukka, lui è abituato, quindi si diverte a vedere i miei tic e i miei nervosismi.
Ti sei studiato qualche rituale per combattere l'ansia?
Divento un maniaco del controllo. Devo essere riuscito a lavarmi almeno sommariamente, aver preparato il banchetto, la scaletta deve essere perfetta. Devo fare tutto bene, se arrivo sul palco trafelato o che non ho finito qualcosa la mia tensione e la mia ansia diventano esponenziali.
E quando sul palco (o in studio) devi leggere testi di altri, come ti fa sentire? Ti senti sollevato, ti senti responsabilizzato?
Spartiti è nato così, perché io metto insieme i miei racconti e contestualmente mi cimento con testi di altri autori molti amati, cose che mi hanno influenzato o che mi sono piaciute moltissimo, che mi hanno detto qualcosa di importante e che ho fatto miei. Mi sento responsabilizzato, perché scelgo autori contemporanei, e vorrei che gli piacesse. Sono fortunato perché di tutte le cose che abbiamo fatto con Spartiti gli autori sono stati contenti, non ho mai percepito diffidenza, anzi, tanti complimenti. Vale per “Austerità”, vale per Simone Lenzi per “Babbo Natale”, Simona Vinci che ha appena vinto il Campiello tra l'altro, non era per niente scontato che le interessasse una cosa del genere, ma quando ha sentito il pezzo “Ti aspetto” ci ha fatto tantissimi complimenti. Lì sei davvero con l'ansia da prestazione, ti appropri del testo di un altro e non è detto che gli piaccia. È bellissimo sentirsi dire grazie da uno come Philopat, per me significa portare a casa la giornata.
L'ep si chiude con un omaggio ai Massimo Volume, “Qualcosa sulla vita”. Secondo te qual è la migliore qualità di Emidio Clementi come scrittore e narratore?
Le migliori qualità che gli riconosco sin da ragazzo, quando ho ascoltato “Lungo i bordi”, disco che ho amato moltissimo, è la capacità interpretativa che io non avrò mai. Sa dare una forza incredibile alle parole, sia sue che di altri, ha una voce inarrivabile. È un attore senza esserne consapevole, poi lo trovo molto asciutto nel modo di scrivere, sempre al dunque, al cuore della sostanza, è uno scrittore vero. Infatti pubblica libri, ha un percorso diverso dal mio, in particolare “Qualcosa sulla vita” è un racconto molto minimale e delicato, apre un mondo in tot minuti. Poi mi ricorda Enrico (Fontanelli, ndr) perché non so per quale motivo non avevo mai acquistato “Da qui”, non conoscevo il brano o non me lo ricordavo, e me lo ha fatto ascoltare lui. Mi piacque tantissimo, è stato naturale fare quella cover e chiude sempre i nostri concerti, quindi abbiamo pensato di metterla su disco perché magari a qualcuno faceva piacere averla su supporto. Abbiamo deciso di lasciarla dal vivo perché la coda strumentale finale di Jukka mi fa venire i brividi, è molto forte, va oltre gli elementi musicali della canzone originale.
In “Elena e i Nirvana” ci dai qualche spunto su quelli che erano i tuoi ascolti preferiti, tipo quando citi i Diaframma e gli Stone Roses. Mi dici i tre dischi che ti porteresti sull'isola deserta e un concerto che ti rimarrà per sempre nella memoria?
Così a bruciapelo è difficile. I dischi della vita sono quelli che ti hanno formato. Te ne dico tre italiani e tre stranieri, facciamo così? Allora “Siberia” dei Diaframma, “Affinità e divergenze” dei CCCP...(segue lunghissimo silenzio) “Conflitto” degli Assalti Frontali. Per quanto riguarda quelli stranieri “Violator” dei Depeche Mode, “Nevermind” dei Nirvana ...(segue un altro lunghissimo silenzio)...quanti dischi che ho ascoltato...il disco del 2000 dei Blonde Redhead, quello con “In particular”...però potrei dirti anche un disco dei Cure. Dai sì, togli i Blonde Redhead e metti “Disintegration” dei Cure. Il concerto della vita è stato Elliott Smith, parco delle Cascine a Firenze, 2000. Non avevo idea di chi fosse, sono rimasto a bocca aperta per un'ora e mezza. Mi ci hanno portato, tra l'altro aprivano i Verdena che all'epoca non seguivo. Finiti loro il posto si è svuotato e siamo rimasti in 250. E io sono impazzito.
---
L'articolo Spartiti (Max Collini + Jukka Reverberi) - Ascolta in esclusiva il nuovo ep "Servizio d'ordine" e leggi l'intervista di Chiara Longo è apparso su Rockit.it il 2017-01-20 09:00:00
COMMENTI