La loro conoscenza ha origini lontane, sin dall'adolescenza, in una Palermo che non offre le opportunità delle grandi città come Milano, Roma o Torino, ma che li ha spinti a trovare una strada più personale, o se volete, genuina. Per il nuovo EP Stokka & Mudbuddy si sono affidati a Dj Shocca per le basi, e l'alchimia è stata immediata. In questa intervista a Marcello Farno parlano di che cosa è diventato oggi l'hip hop italiano, il suo pubblico, e di come si fa a scrivere un disco che è già classico: perché ciò che conta è il piacere personale nel fare musica, e loro ne hanno a pacchi.
La prima cosa che mi interessa capire è quando è nato questo disco.
Stokka: Subito dopo "#Bypass", nel senso che lì avevamo coinvolto Shocca solo in un pezzo, e questa cosa ci aveva lasciato un po' l'amaro in bocca. Sai, lui è un po' il nostro terzo componente, ci tiene insieme un legame magico. In questi due anni quindi abbiamo cercato di capire, trovare il momento giusto per tirare fuori questa collaborazione che era rimasta sospesa.
Shocca: Era un episodio che dovevamo rendere full-lenght, diciamo così, non ci bastavano più un paio di singoli e di collaborazioni, volevamo un prodotto corposo. Il resto ormai è storia.
Le radici sono quelle di quindici anni fa però.
Shocca: Sì, è una gestazione che dura da ancor prima di "60 Hz", dopo esserci conosciuti, aver capito cosa ci univa, la visione di intenti. Abbiamo acquisito skills, consapevolezza, cultura, siamo arrivati a "Ghettoblaster" e poi a tutto il resto, ed è così che è maturata la voglia di suonare insieme.
Stokka: Quello che dice Roc è esattamente quello che pensiamo sia io che Buddy...nel senso che il nostro suono è nato anche grazie a lui, e quando lavoriamo insieme c'è un feeling particolare, un'alchimia, una scintilla che rende tutto molto compatto.
Ricordate la prima volta in cui vi siete incrociati?
Stokka: Io lo conoscevo ancor prima di "Colpi In Aria", ti parlo di fine anni '90, per noi era un produttore mitologico, uno di quelli che si è distinto da subito per un suono pazzesco, già definito, con delle influenze che erano le robe che ascoltavamo noi. E quando ci siamo incrociati, anche se venivamo da una parte e l'altra dell'Italia, ci siamo trovati bene sin da subito.
Shocca: Un giorno arriva Mistaman con la cassetta di "Palermo Centrale" e mi dice sentiti 'sta roba qui, questi spaccano. Fu la prima volta che venni in contatto con un loro prodotto, chiaro, avevo letto già qualche riga, trafiletto, sulla Bibbia chiamata AL. Nel frattempo ci trovammo a Verona, loro vennero nel periodo in cui io ancora lavoravo al Vibra, facemmo subito ballotta...
Cos'era Palermo e cos'erano Stokka & Madbuddy in quel periodo?
Stokka: Erano due ragazzini con la passione per l'hip hop, passavamo pomeriggi annoiati a fare rap, a dipingere, era un passaggio naturale stare insieme. Poi tutto quello che è venuto dopo...sai, noi non abbiamo iniziato a suonare con l'intento di volere andare in tv o in radio, come succede a tanti giovani adesso. Facevamo tutto semplicemente per piacere personale, ovviamente c'era la voglia di farsi sentire, di spaccare, sacrificarsi per fare una data in più, giorni con lo zaino in spalla...
Stiamo diventando nostalgici, occhio...
Stokka: Sì, ma la nostra non è una nostalgia triste dei tempi andati che furono belli. La nostra è una nostalgia che guarda al passato come a un percorso che ci ha fatto crescere, ma ti garantisco che siamo allo stesso modo proiettati verso il futuro, con il privilegio di avere un background che molti non hanno.
Shocca: Hai riassunto alla perfezione. Non è una nostalgia effetto throwback, è guardarsi indietro, fare tesoro dell'esperienza per poi guardare l'orizzonte davanti e decidersi a prendere il futuro per i coglioni (ride, nda).
Perché "Struggle Radio" ha un senso qui e ora?
Stokka: Perché senza falsa modestia è un disco che ha un suono e dei contenuti che pochi possono permettersi, grazie a quel background che ti dicevo prima. Ha un sound che si ottiene con una certa esperienza. È un disco realizzato con approccio molto tranquillo, non ci siamo arrivati con troppo studio e pre-produzione addosso, abbiamo preso semplicemente spunto dai beat che ci ha offert Shocca.
Shocca: Nulla è stato fatto ovviamente a tavolino. Non parliamo di un disco con artwork già pronto, i piani promozionali pronti, e poi cosa ci manca? Ah, ci manca il disco. Si tratta sempre di placare un'esigenza personale, espressiva, e dopo facendo le cose in un certo modo, ricercato, appagante, si vedono se si possono raggiungere dei feedback. Però la cosa che conta di più è sempre placare quel mostro che ci cova dentro, che ci fa ancora scrivere rime da panico e ci fa accendere i campionatori.
Il pezzo con Zuli in questo come lo giustifichiamo?
Stokka: Quello è un pezzo nato per avere un forte appeal dal vivo. Riprendere quei toni da massive del mondo reggae, a cui ci avevano abituati Black Moon, Dilated Peoples, e costruirci su una mina esplosiva. Zuli è sicuramente una gran voce, uno che meriterebbe di più nel panorama musicale, si è calato alla perfezione nel brano e guarda cosa ne è uscito.
E quello con Noyz?
Stokka: Quello è la voglia di fare una collaborazione nuova, Noyz è un grande mc, uno che rispettiamo, che ci piace da un sacco, e la sfida era quella di metterlo su un beat un po' diverso dalla sua solita roba. Siamo contenti del risultato.
Vi faccio il primo complimento, è un disco classico ma non immediato, secondo me è un gran bene.
Stokka: Penso che questo sia un approccio da avere con tutti i nostri dischi, la nostra scrittura permette all'ascoltatore di cucirsi addosso i pezzi come una maglietta, per metterla poi nel modo che meglio preferisce. Siamo sempre stati poco diretti, ci facciamo trasportare e a volte scriviamo a distanza senza sapere cosa abbia fatto l'altro. È un disco da scoprire, sicuramente.
Non è banale come cosa, nella maggior parte dei dischi hip hop italiani che ho ascoltato negli ultimi mesi si privilegia sempre l'approccio contrario, molto più immediato.
Stokka: Il problema è che per la maggior parte dei casi si confeziona musica da fast food, un disco dura poco e la gente pensa che basti rendere le cose facili per far girare la propria roba. Io ritengo sia svilente approcciarsi a questo tipo di musica in maniera basica, senza considerare ad esempio le capacità di stravolgere la lingua che ti dà l'hip hop. Il fatto che l'hip hop oggi sia anche lì davanti è la risultante del fatto che molti mc hanno scelto di offrire contenuti più semplici, più abbordabili.
Shocca: Sono scelte a tavolino, spogliarsi dei contenuti più complicati, esprimere concetti al nocciolo per arrivare a più persone possibili. Noi siamo fortunatamente qualcosa di più sfaccettato e complesso, che ti entra sottopelle dopo svariati ascolti. È questo che determina la vita di un classico.
Il riassunto è: "Vorrei parlare a tutti ma poi tutti non mi ascoltano".
Shocca: Esatto, perchè tutti non hanno gli strumenti per carpire le mie parole.
Stokka: La nostra non è musica per tutti, ma meglio così ti dico, c'abbiamo il nostro pubblico, che ci segue con attenzione, e siamo soddisfatti di quello che facciamo.
Venire da un'isola ti crea un modo diverso di rapportarti al resto?
Stokka: Sicuramente, venire dalla Sicilia in tutta questa storia dell'hip hop è stato per noi un toccasana. Vuoi per come siamo cresciuti, vuoi il fatto che siamo sempre stati lontani da tante influenze che magari potevi toccare con mano se venivi da città come Roma, Milano, Torino. Ci ha permesso di ritagliarci un nostro profilo, un nostro stile. C'ha plasmato in una direzione.
Shocca: Invece da dove provengo io, molto meno cinematograficamente, una cittadina del nord est come Treviso, è stato ancora più difficile se vuoi, io l'ho pagata veramente la mia provenienza. Perché Treviso non è una città famosa per personaggi di spessore culturale, non è una culla di civiltà e cultura come può essere Palermo, ho dovuto pagare i pregiudizi, sai, il nord est, la ricchezza, e quindi io da solo mi dò dei grandi props per il posto da dove provengo.
Qual è la storia dietro "Alpha Pee"?
Stokka: "Alpha Pee" prende spunto da due cose, da un pezzo dei The Next Diffusion, "Il Meglio Dal Peggio", che è stato importantissimo per la nostra formazione e a cui volevamo dedicare un tributo. E in secondo piano c'è Alpha Pee, un mc della vecchia scuola palermitana, una persona di riferimento, che ci ha sempre dato tante dritte quando eravamo ragazzini. Adesso che non c'è più abbiamo unito questo nostro passato per creare questo pezzo, che è poi il più classico di tutto l'album.
Qual è la sensibilità di un ascoltatore di hip hop italiano oggi, e nello specifico di un vostro ascoltatore?
Stokka: La risposta è semplice, chi ascolta hip hop oggi è chiunque, è un genere che si è saputo sdoganare, nel bene e nel male, perdendo magari quella che era la sua forma, il suo tratto, adattandosi a quella che è la nostra cultura musicale, una cultura fatta di canzonette. Chi ascolta Stokka & Madbuddy sono due categorie secondo me, da una parte c'è che si avvicina all'hip hop dall'esterno, provenendo anche da altri background, e intuisce che nel nostro hip hop può trovare un secondo strato più spesso, rispetto al primo, che è quello poi più popolare, riconosciuto da tutti. E poi c'è la seconda categoria che sono gli affezionati, quelli legati all'underground, che vivono in tutti gli aspetti il nostro modo di fare musica.
Shocca: L'ascoltatore di hip hop italiano potrebbe essere ormai tutto e niente. Il nostro ascoltatore è invece qualcuno che possiede un certo tipo di background alle spalle che gli permette di apprezzare pienamente la nostra roba: un pizzico di J Dilla, uno di Lamar, uno di The Alchemist, e così, via per ore. Noi perfortuna richiediamo qualche skills, richiamiamo qualche orecchio più attento rispetto al resto.
Parliamo di beat. Come si lavora con Shocca?
Stokka: Eh, si lavora da Dio (ride, nda). Noi abbiamo la fortuna di avere un gran feeling come ti dicevo, e basta poco per capirsi. Quello che stupisce sicuramente è la sua versatilità, lui ha un grosso background produttivo, e questo gli permette di plasmarsi su qualsiasi stile lavori. Quello che abbiamo cercato di fare con "Struggle Radio" era appunto dar vita a un suono un po' diverso, non volevamo fare delle altre "Ghettoblaster".
Dall'altro lato i ragazzi si lasciano plasmare facilmente?
Shocca: È un bello scontro fra titani, sono sicuramente artisti molto demanding, e vogliono sicuramente avere il sigillo d'approvazione finale. Ciò nonostante, prima ancora di aprir bocca, ci diamo delle occhiate e ci siamo già capiti, sia su scelte di mix che su scelte produttive, viene tutto molto naturale. Poi chiaro siamo dei diavoli, ci intestardiamo su tutto, ma è proprio nella discussione, nel confronto tra la tesi e l'antitesi che non c'è una tesi superiore.
È una scelta ideologica quella di usare pochissimi sample e continuare a suonare tu quasi tutto?
Shocca: Ho suonato parecchio in effetti, perché ero alla ricerca di un certo tipo di sample, in alcuni casi l'ho trovato, nella maggior parte dei casi me lo sono costruito da solo. Ho cercato di replicare il feeling di un campione, il calore, l'umanità, utilizzando i giusti tools. La scelta di un sample è sempre ideologica, e il fatto di usare i synth stessi in modo che tutto sembri venir fuori da una soundtrack di un blaxploitation dell'82, è ancora più ideologica se vogliamo, è quella che mi appaga di più, aggiungere un pathos supplementare a un giro di tastiere...ci pensavo proprio l'altra sera, mentre ero in dormiveglia, io non voglio essere ricordato per dei singoli delle melodie da chart che un bambino riesce a riprodurre con un iPad, voglio essere ricordato per qualcosa di crudo, di grezzo, capace di sopravvivere al tempo.
C'è un elemento magico, come nelle migliori coppie.
Shocca: Logicamente, e siamo sempre attenti che questo accada. Settimana prossima abbiamo una consegna da fare per un brand ad esempio, e sinceramente non riesco a fare in modo che questa scintilla si accenda appositamente, la nostra attitudine è diversa, è più un andare con il flow. Quando qualcosa viene fuori quella magia viene usata, altrimenti l'Akai MPC 500 viene spento, senza problemi.
Immagino sia quello che ha permesso a "Ghettoblaster" di diventare uno dei manifesti rap in Italia degli ultimi 10 anni.
Stokka: Infatti "Ghettoblaster" è quello che è proprio per questo approccio, che non possiede alcun tipo di costrizione, e alla fine è diventata un inno perchè è una canzone naturale, semplice, che tutti possono fare loro.
Shocca: Semplice ma non banale, la ricetta si vede guardando a ritroso. Tante volte, col senno di poi, ho analizzato i pezzi più potenti, quelli che hanno avuto maggior feedback, e cosa ho notato, ho notato che erano tutti caratterizzati da sincerità, divertimento nel farli, personalmente mi sentivo appagato nel momento della loro creazione. La ricetta pura e semplice è questa, aver voglia di esprimersi e non sedersi mai.
Cosa state ascoltando?
Stokka: Io stamattina mi sono svegliato infuocato con il mixtape di De La Soul e Dilla, "Smell The DA.I.S.Y.", c'è un pezzo pazzesco, "Dilla Plugged In", e quello mi ha messo fuoco, credimi. Poi è chiaro che siamo focalizzati sulla scena underground di Los Angeles, Schoolboy Q, Kendrick, che vabbè, ormai è una superstar. Continuo a cercare anche nei blog cose underground newyorchesi ma è molto difficile trovare un pezzo che mi autopompi, come magari succedeva ai tempi, io però ci provo sempre, e quando non succede mi costruisco i beat da solo e ci scratcho.
Shocca: Io invece stamattina ascoltavo roba completamente diversa, elettronica, poi ho messo in play i Nostalgia 77, "Your Love Weighs A Tonne", spaccano, fanno roba funk estemporanea, con un grosso groove. Siamo persone che cercano sempre stimoli, è chiaro che li troviamo da tutte le parti.
La scelta di stampare solo in vinile si può definire un'operazione anche di riappropriazione culturale.
Shocca: Hai capito benissimo l'intento, oltre che essere una bieca mossa di contro-marketing (ridono, nda). È una dichiarazione prima di tutto, c'è il vinile, la cosa che veramente conta nella storia è questa, se volete al massimo trovate il digitale.
Stokka: È un discorso di riuscire a creare, a dare delle cose che impreziosiscano anche il disco, limited edition, vinili colorati, un certo tipo di packaging, di modo che i nostri ascoltatori comprendano anche il peso della roba con cui hanno a che fare.
Ridare dignità a qualcosa che appare svuotato, insomma.
Stokka: Assolutamente, è chiaro, è un atto di coraggio indubbiamente continuare a fare le cose seguendo un certo tipo di filosofia, ma è quello che ci piace ed è quello che siamo. Non lo puoi vedere ma il tatuaggio dice chiaramente Unlimited Struggle. Tutto qui.
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L'articolo Stokka & MadBuddy - Ridare dignità all'hip hop italiano di Marcello Farno è apparso su Rockit.it il 2014-07-14 15:21:00
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