Tony Face: storia dei mods italiani

Una carriera di trent'anni non la riassumi in poche righe, vi basti sapere che è ritenuto il Modfather italiano, è stato tra i primi a intercettare le suggestioni del mod revival e a farle conoscere nella nostra penisola, e poi ha segnato il rock'n'roll dei nostri anni ottanta con i Not Moving. Silvio Bernardi ha intervistato Tony "Face" Bacciocchi.

Oltre trent'anni sono passati dallo sbarco della cultura mod in Italia, che avvenne però solo in concomitanza col revival inglese di fine anni Settanta. Della prima ondata del movimento in Italia nessuna traccia, se non i pochi e confusi indizi seminati da Ricky Shayne (che si definiva "Uno dei mods" , ma nei film e nei video sfoggiava orgoglioso giacca di cuoio e taglio ingellato alla Elvis, da rockers, insomma)... Cosa ha impedito ai nostri papà (nonni, per i giovanissimi) di accorgersi di ciò che accadeva in Inghilterra tra la fine dei Fifties e la metà dei Sixties?
L'Italia dell'epoca era lontanissima, culturalmente e logisticamente, dalle suggestioni musicali inglesi e americane (se non in sporadici episodi di nicchia). Lo stesso rock’n’roll, portato da Celentano e affini, e il beat dei vari Corvi, Equipe 84, Rokes era comunque ampiamente filtrato attraverso un'estetica tutta italiana, e adattato ai nostri gusti.
Attingere direttamente alle fonti era prerogativa di pochi privilegiati. L'Italia che faceva miracoli in ambito cinematografico, ad esempio, importò il "rock" molto tempo più tardi. Tutto quello che arrivava dall'Inghilterra diventava "beat", etichetta all'interno del quale stava un po' tutto.

Non mancavano in compenso, le cover nostrane di gruppi come Who, Small Faces e Kinks, reinterpretate da band poi divenute celebri (i Nomadi con "My Mind's Eye"-"4 Lire e noi" e "Death of a clown"-"Un figlio dei fiori non pensa al domani", gli Stormy Six con "All or nothing"-"Oggi piango" e addirittura i Pooh con "La la la lies"-"Ora che cosa farai") e meteore non meno interessanti. Un mondo sommerso, quello del beat italiano "minore", di cui tu hai più volte suggerito il recupero.
Il beat italiano, per chi, come me - ora 50enne - ha incominciato ad interessarsi di musica a metà degli anni '70, era considerato alla stregua di uno scherzo commerciale, deriso e accantonato. 
In realtà questo era un atteggiamento non lontano da quello che succedeva altrove, dove le nuove prospettive a cui si era aperto il rock (dal prog con influenze classiche, al jazz rock) avevano affossato le esperienze del decennio precedente.
Così per molto tempo il patrimonio beat italiano dei 60's è stato dimenticato e riscoperto solo negli anni '80, quando i nuovi gruppi di neo-psichedelia, garage, mod e beat incominciarono a scoprire che anche da noi c'erano state cose molto interessanti. Vedi ad esempio l'Equipe 84 di "Stereoequipe", Le Stelle di Mario Schifano, "Ad Gloriam" delle Orme e un'infinità di brani, singoli di gruppi-semi sconosciuti che hanno lasciato esperienze di grande creatività.

Proliferano, di questi tempi, i festival a tema Sixties, dall'ormai storico Festival Beat dalle tue parti (a Salsomaggiore dal 29 giugno al 1 luglio la ventesima edizione) a Primavera Beat ad Alessandria, e le reunion di gruppi redivivi (recentemente, i Sonics e i Pretty Things) non di rado fanno tappa nella nostra Penisola. Come vedi questo tipo di operazioni?
Sono abbastanza contrario alle reunion. Ne abbiamo fatta una con i Not Moving nel 2005/2006 (dieci date chiuse a Rock In Idro con Iggy and the Stooges), e ne sono quasi pentito; anche se per altri versi fu un’esperienza divertente. Forse il passato è meglio lasciarlo dov'è, e dov'era senza andare a disseppellire vecchi cadaveri. Ad ogni modo modo manifestazioni come il Festival Beat o Primavera Beat sono comunque divertenti, interessanti, ben fatte e soprattutto costruite con l'ingrediente principale, la passione.

Il mod, dicevamo, arrivò nel Bel Paese solo nel '79, e divenne fenomeno rilevante con l'uscita in italiano del film Quadrophenia. Tu sei stato tra i padri del movimento in Italia, e il primo in assoluto a cercare di riunirlo, in anni in cui Internet e i cellulari erano ancora ben al di là da venire. Partì tutto, come ricordi nel tuo recente libro "Mod Generations" (Nda Press), da una fanzine, quella "Faces" che, fotocopiata originariamente in trenta copie, fu la prima voce del modernismo italiano.
"Faces" nacque dalla constatazione che in Italia incominciavano ad esserci mods, e persone comunque vicine a quella cultura un po' ovunque, ma non esisteva nulla che li rappresentasse ed informasse. La fanzine (di cui, peraltro, tutte le copie saranno a breve raccolte in un libro, sempre per Nda Press) fu il primo mezzo che permise ai mods di tutta Italia di conoscere quello che succedeva nella scena nazionale ed internazionale (attraverso annunci, recensioni, news, classifiche, articoli retrospettivi sulla musica, l’arte e la cultura dei 60's) e di mettersi in contatto reciprocamente: non mancavano articoli sulle scene locali con indirizzi di riferimento...

Da "Faces" al primo raduno, a Viareggio nel 1981, il passo fu breve. Non così tanto l'organizzazione, possiamo immaginare...
La rete (nei primi anni Ottanta, oltre ad internet e cellulari a molti mancava, difficile da immaginare, anche il telefono fisso) di contatti che si andò a formare creò l'esigenza spontanea di incontrarsi. I primissimi raduni furono semplici incontri tra alcune decine di mods, successivamente, dal settembre 1982 incominciammo ad organizzare le cose con più cura, con concerti, DJ, serate di vario tipo. Raduni che proseguono da allora fino ad oggi.

(Polaroid scattata ad uno dei primi raduni a Viareggio nel 1982)


Di lì a poco, iniziavi a suonare nei Not Moving, una band che col mod sound aveva poco a che fare, ma che fece molto parlare di sè negli anni Ottanta, con la sua miscela di psichedelia, rock'n'roll, dark, punk, e arrivò a farsi conoscere all'estero e ad aprire per i Clash e Johnny Thunders. Recentemente Audioglobe ha pubblicato l'eccellente raccolta "Light/Dark", con tutti i singoli, gli EP e le B-Sides. L'occasione per tirare un po' di fila, a oltre 20 anni dalla fine del progetto Not Moving, che secondo noi meriterebbe di essere riscoperto...
I Not Moving sono stati, soprattutto con il senno di poi, un gruppo particolarissimo e coraggioso per quegli anni. Soprattutto dal vivo eravamo qualcosa di unico, con due ragazze non ancora sedicenni in formazione (cosa rarissima ai tempi, vedere una frontwoman italiana con capelli colorati, anfibi e minigonna leopardata) e una potenza sonora e distruttiva che attingeva chiaramente dal punk e dall'hardcore ma che sostanzialmente era, nelle nostre intenzioni, il blues di John Lee Hooker, dei primi Stones, di Muddy Waters, suonato al doppio della velocità.
Ci fu un momento in cui fummo ad un passo dal "successo", ma la nostra natura autodistruttiva e che non ammetteva "compromessi" non ci permise mai di arrivare dove forse avremmo potuto.

Poco male, nessun rimorso, nessun rimpianto. Personalmente, comunque, non credo che sia necessario riscoprire i Not Moving. Appartengono al passato, chi c'era c'era, chi no è meglio che cerchi tra le cose nuove.

Eppure molti musicisti, non per forza della stessa generazione, vi considerano un gruppo di culto.
Incontro spesso in giro persone che mi dicono di aver incominciato a suonare o ad ascoltare un certo tipo di musica dopo aver visto i Not Moving nella loro città... uno di questi  fu Max Pezzali, che ha più volte dichiarato che il primo concerto a cui ha assistito fu proprio il nostro a Pavia nel 1982: quello in cui il nostro bassista si tirò una lamettata ad un braccio, ricucita con 14 punti! Non so chi abbiamo potuto influenzare direttamente, ma capita non di rado di trovare qua e là gruppi italiani che sembrano riprendere molte delle cose che abbiamo seminato all'epoca. Poi con Lilith, la cantante della formazione originale portiamo ancora in giro una versione aggiornata dei Not Moving, nel progetto Lilith and the Sinnersaints...

(I Not Moving davanti al muro di Berlino, nel 1984. Tony Face al centro, alla sua sinistra Lilith)

Sicuramente ci sono molti punti di contatto, il garage rock, il tex-mex, il sound del delta (evocato nel titolo “A kind of blues”) nella vostra ultima fatica coi Sinnersaints... Ma ascoltando il disco affiorano anche suggestioni più cantautoriali, anche folk, senza la ricerca a tutti i costi del punto di rottura con la tradizione italiana...
Il progetto Lilith and the Sinnersaints racchiude tantissime influenze, dal punk 77 a quello contaminato dei Not Moving al blues, al rock classico, ma la tradizione italiana è sempre stata un riferimento costante fin dagli esordi della carriera solista di Lilith, agli inizi  degli anni '90. Nel nostro repertorio (e nei dischi) si sono alternate cover di Area, Battiato, Milva, Gabriella Ferri tra le tante. Nel nuovo album c'è un omaggio alla musica leggera con "La notte" di Adamo rivisitata in chiave Nick Cave meet Quentin Tarantino e una rivisitazione di "Ghetto" degli Statuto, originariamente brano tiratissimo, che abbiamo fatto diventare una dolente ballata folk blues. Senz’altro la canzone italiana è un universo, pieno di eccellenti episodi che vale la pena scoprire; senza fermarsi per forza ai soliti nomi che vengono abitualmente coverizzati e omaggiati...

Chiudiamo ancora sulla scena mod italiana, che non si è mai fermata e anzi resiste: lontana dai clamori mediatici (e meno male) ma indefessa, con ancora molti allnighters, raduni storici come quelli di Marina di Ravenna e Rimini, ma anche più recenti.
E’ senza dubbio una di quelle in migliore salute. Ha saputo rinnovarsi ed è impressionante vedere quanti giovanissimi si identifichino in questa intramontabile cultura.

Cos'è cambiato rispetto agli inizi, in meglio e in peggio? ci sono pregi e/o difetti che si sono radicalizzati o sono scomparsi nel corso degli anni?
Agli inizi c'era uno spirito pionieristico, genuino e naif che portava però ad una grande approssimazione (a cui "Faces" riusciva a mettere un po' argine). Oggi è facilissimo trovare in cinque minuti tutto quello che vuoi sapere o ascoltare sul mod. Che però, come ripeto spesso, è soprattutto una CULTURA, da vivere al 100% ogni giorno, in ogni momento e in cui la superficialità non è ammessa. Ci vuole tempo per addentrarsi, scoprire, capire cos'è, afferrarne tutte le particolarità e le sfumature. Tanto oggi come allora.

Quali sono le band mod-related della nuova leva che apprezzi maggiormente?
In Italia oltre ai sempreverdi Statuto (sui quali sto scrivendo una biografia che uscirà nel 2013, nel loro trentennale) direi i Tailor Made di Torino, i Made di La Spezia, i June di Parma (non propriamente mod ma con molte affinità). All'estero Fay Hallam Trinity,  gli olandesi Kik, i danesi Movement.

E in generale, se volessimo tastare un po' il polso delle sottoculture in Italia, non solo quella mod, ma anche punk, rockabilly, skin...
Credo che ormai in tutti gli ambiti ci sia una parte di ragazzi che si "veste" solo come i punk, i mod o gli skins e un'altra che vive quella (sotto) cultura. E' profondamente diverso, ovviamente. In ogni caso è positivo che ci sia sempre chi cerca di affrancarsi dall'omologazione, cercando qualcosa di nuovo (anche quando è apparentemente ancorato al passato).

"Eternamente grati a Tony "Face" Bacciocchi", c'è scritto in tutte le note di copertina degli album degli Statuto, la più longeva mod band italiana. Direi che ti abbiamo torchiato abbastanza, e sicuramente un bel po' grati lo siamo anche noi.

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L'articolo Tony Face: storia dei mods italiani di Silvio Bernardi è apparso su Rockit.it il 2012-06-25 00:00:00

COMMENTI (2)

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  • rudefellows 12 anni fa Rispondi

    in seguito a una discussione nata sul sito italiamod.com (che invito chi fosse interessato a visitare), Tony Face chiarisce meglio il concetto del modernismo come "da vivere al 100% ogni giorno, in ogni momento e in cui la superficialità non è ammessa".

    qui sotto l'intervento di Tony:

    "Significa che la cultura mod non è qualcosa di cui ci si può rivestire da un giorno all'altro o che si completa con una giacca a tre bottoni, qualche disco e uno scooter con tre specchietti. Essere mod è un' IDENTITA' composta da mille sfaccettature che passano attraverso la musica, l'estetica, una certa etica, un modo di vivere e intendere la vita, una pulizia estetica e interiore, un approccio alla vita quotidiana "speciale" e particolare. Che si costruisce e acquisisce e a cui si finisce di appartenere e che ci appartiene.
    Al giorno d'oggi "apparire" mod (o punk, o skin) è estremamente facile: ti compri i vestiti adatti in uno dei tanti negozi specializzati, dai un'occhiata su internet, ti scarichi 20 dischi essenziali e il gioco è (apparentemente) fatto.
    Non è così. E' come imparare una lingua nuova. Puoi padroneggiarla anche
    velocemente ma per capirne tutti i diversi accenti, le sfumature, i vari significati la devi parlare ogni giorno e in ogni momento. A questo punto si puo' parlare di CULTURA altrimenti può andare bene lo stesso, per quanto mi riguarda, ma ci si perde un universo bellissimo, affascinante, unico e tutto da scoprire".

  • leoge9se 12 anni fa Rispondi

    Grande personaggio