L’ultimo disco degli Slumberwood pare uscito dalle notti brave di qualche cineasta visionario… In equilibrio precario tra sogno e realtà, la band nuota in un ‘brodo’ psichedelico pieno di riferimenti culturali, senza però ricalcare terra battuta o prefigurare clichè d’ordinanza. Anguane – creature a metà tra mito e incubo – e molto altro. Una band lucida e determinata, l'intervista di Gioele Valenti.
Allora, ragazzi, parliamo di queste ‘Anguane’… Quasi sempre dietro una figura mitologica si nasconde il precipitato della storia macrocosmica. Mai come in questo momento storico, le categorie di bene e di male sembrano intercambiabili… Chi, o cosa, sono le Anguane, oggi?
Le Anguane per noi sono un collegamento diretto con il nostro mondo onirico e immaginifico interiore, soprattutto riguardo al rapporto con l’infanzia, la natura e la paura, concetti per noi strettamente correlati.
Ma più che bene e male nel mondo si tratta del rapporto tra luce e oscurità appunto dentro di noi, nel modo di vedere di un bambino, nel modo in cui si muove la sua immaginazione quando gli viene raccontata una fiaba. Nella nostra musica non c’è alcun riferimento storico o sociale nè un tentativo di fuggire da esso, semplicemente andiamo a esplorare territori diversi per ispirarci.
Quanto è importante per voi il legame con il territorio?
Ha certamente un’influenza su di noi, che crediamo si ripercuota anche sulla nostra musica. Inoltre, forse per caso o forse no, chissà, proveniamo dallo stesso territorio di altri straordinari gruppi (Jennifer Gentle, Mamuthones, Father Murphy per citare quelli coi quali abbiamo anche uno stretto rapporto di amicizia) coi quali condividiamo, più che uno stile musicale vero e proprio, un’attitudine e appunto un immaginario, fondamentale per noi. La vicinanza sia musicale che geografica ha quindi portato di sicuro ad assonanze sonore ma anche umane sfociando in collaborazioni concrete: la produzione di Marco Fasolo, la partecipazione nel disco di Federico dei Murphy, senza contare che due membri degli Slumberwood fanno parte della formazione dei Mamuthones.
Il disco fornisce spaccati quasi filmici… quali sono le vostre passioni, o influenze in senso lato?
Sicuramente il cinema, del quale siamo tutti grandi appassionati, ha una forte influenza su di noi: Herzog, Lynch, Fellini e altri hanno contribuito alla formazione del nostro immaginario. Riguardo agli interessi strettamente musicali, tutti noi ascoltiamo ovviamente molta musica e ognuno ha le sue preferenze, anche molto diverse tra loro: per questo non ci sentiamo di dire che un particolare stile o genere musicale sia stata un’influenza determinante per il suono degli Slumberwood.
Certamente possiamo essere associati a certe correnti psichedeliche, del kraut rock o dell’underground esoterico inglese dei primi ‘80, ma in fase di composizione tutto nasce molto spontaneamente, potremmo dire che tutte le nostre influenze si scontrano tra loro e da questa “tensione” emerge qualcosa di diverso e, soprattutto, personale. Certo prog è saltato fuori come un fantasma inatteso durante una seduta spiritica e abbiamo deciso di dargli ospitalità.
Questo disco rappresenta un bel passo in avanti rispetto al precedente… Mi racconti un po’ della collaborazione con Marco Fasolo (Jennifer Gentle) e con Federico (Father Murphy)… e in generale di quanto importante può essere, per voi, la condivisione in campo artistico.
Sia con Marco che con Federico abbiamo costruito un rapporto molto forte, Marco è stato fondamentale nelle registrazione di “Yawling Night Songs” (l'album del 2009, NdR), ed è stato per noi naturale realizzare anche questo secondo lavoro nel suo Ectoplasmic Studio. Da un lato ci interessa molto il suo modo di lavorare "d'altri tempi": macchine analogiche, nastri, in un monastero del '200 in riva al Po. Dall'altra parte c'è una componente personale di stima e simpatia reciproca che ci ha permesso di coinvolgerlo nel nostro “mondo”.
L'uso dello studio come strumento ci interessa molto. Il lavoro di registrazione per noi è molto creativo, ci piace sperimentare e provare diverse soluzioni. Ovviamente è necessario avere una persona che possa guidarci alla ricerca del suono che abbiamo in testa e Marco svolge perfettamente questo ruolo, grazie anche all'empatia che si è creata tra di noi. Federico è stato probabilmente uno dei nostri primi veri fan, ci ha aiutato moltissimo a trovare le prime date e nel tempo, con tutti i Murphies, si è creato un fantastico rapporto.
Quando abbiamo cominciato a lavorare ad "Anguane" ci è sembrato naturale invitarlo in studio, a differenza di "Yawling..." volevamo puntare molto sulle voci e sui cori, e la voce di Federico è assolutamente perfetta per un certo tipo di atmosfere che volevamo indagare (vedasi "Sargasso Sea"). Detto questo, la condivisone è sicuramente per noi una componente fondamentale (una band cos’è se non una grande condivisione di sensibilità) e quando ne abbiamo sentito il bisogno non ci siamo mai posti problemi in tal senso. Anche se negli ultimi tempi stiamo cercando di tendere ad una sana autonomia.
In breve, potete dirmi cosa apprezzate di quello che in molti chiamano "Indie italiano", hic et nunc, e per converso, cosa invece schifate?
Ci sono molti ottimi gruppi, oltre a quelli già citati, come ovviamente in ogni altro paese del mondo, sia nell’underground che nell’indie più “emerso”. Esistono moltissime realta’ (etichette, locali, collettivi) in cui troviamo un attitudine simile alla nostra e con cui siamo felicissimi di incrociare il percorso.
D’altra parte la nostra musica guarda molto anche al di fuori dall’Italia e uno dei nostri obiettivi è anche quello di essere conosciuti il più possibile all’estero, senza ovviamente che una cosa escluda l’altra.
Cosa non ci piace dell’indie italiano? Forse quello che è il problema di tutta la musica italiana, cioè l'essere sempre ricondotta alla politica. Che alle volte sembri necessario avere un messaggio sociale per fare musica. E se non ce l’hai, il messaggio, allora sei un qualunquista o qualcuno di disinteressato rispetto a ciò che lo circonda.
Crediamo che in certi casi questo abbia assunto un’importanza eccessiva, a scapito di quello che, per noi, è comunque la cosa fondamentale, ovvero la musica.
Come già detto precedentemente, non è questo quello che ci interessa cercare e trasmettere: più che un messaggio noi vogliamo creare delle storie, delle immagini, dei luoghi, dei sogni, qualcosa per cui non servano per forza le parole ma che nasca direttamente dal suono, e siamo estremamente fieri nel vedere che questo è proprio l’effetto che sta avendo il nostro nuovo album sugli ascoltatori!
Ci è capitato di leggere di qualcuno che sosteneva addirittura che senza un messaggio politico non si possa neanche parlare di musica: questo non lo condividiamo per nulla ed è esattamente l’opposto di quello in cui crediamo e del motivo per cui la facciamo, la musica; senza contare che, da sempre nella storia, più che con la politica l’arte va di pari passo col mondo interiore, con l’immaginazione, con ciò che si rivolge a luoghi “altri”.
Beh, si potrebbe ribattere che essendo l’uomo un animale politico, in un certo senso ‘tutto" può essere politica… in fondo, mondo interiore e mondo esteriore sono realtà sincroniche ̶ tout se tient ̶ , e anche il mito o l’incubo potrebbero essere meccanismi di compenso della mente razionale… E' un discorso vasto, andando oltre: com’è il rapporto con la vostra attuale etichetta?
Il rapporto con la nostra attuale etichetta, come il rapporto con la precedente e’ molto buono. Il problema piu’ che altro e’ con le etichette in generale e con il mondo musicale che ci ritroviamo a vivere. E’ abbastanza triste quando un gruppo comincia a pensare quanto possa valere la pena la fatica di stampare un disco.
Attenzione, che in ogni caso per noi e’ necessario registrarlo il disco. Ma poi stamparlo, distribuirlo e promuoverlo puo’ diventare deprimente nelle condizioni attuali.
Pensare alla strada che sia meglio percorrere ora, per un gruppo come il nostro e con la nostra proposta musicale è una questione non facile da risolvere, ma vale la pena di valutare ogni possibilità: anche un’integralista autoproduzione artigianale potrebbe rivelarsi molto interessante.
Nell’immaginario Slumberwood, sembra che la demarcazione tra realtà e paradosso sia molto labile, quasi una sorta di brodo psichedelico totalizzante… Mi parlate dei vostri peggiori incubi?
Come già detto è proprio da questo luogo di confine che traiamo gli elementi fondamentali della nostra musica. Questo “brodo” nasce appunto dalle dinamiche dei sogni, diverse rispetto a quelle della mente razionale, in cui forme, suoni, significati e colori si mescolano tra loro dando vita a cose e creature che, pur non esistendo nel mondo reale, non sono per questo meno vivide e meno importanti. Nessuno di voi ha mai avuto le allucinazioni febbrili quando da bambino capitava di prendersi l’influenza? e quello che avete provato non è forse rimasto ancora vivo e palpabile dentro di voi? Quando di notte sentiamo un rumore che ci spaventa pensiamo a ladri e intrusi o a mostri e spiriti?
Previsioni, programmi per il futuro (sempre più una categoria impalpabile)?
La cosa su cui stiamo lavorando al momento è un live totalmente acustico. La cosa si sta rivelando molto divertente e stimolante, avevamo cominciato come un gruppo quasi totalmente elettronico ed è molto interessante rivisitare il tutto in chiave acustica. Sicuramente e’ anche il momento di iniziare la composizione di un nuovo album, si spera in tempi brevi, sperimentando metodi di scrittura e registrazione che ancora non abbiamo provato, cercando di trovare sempre soluzioni nuove e di crescere artisticamente.
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L'articolo Slumberwood: strategia della tensione di Gioele Valenti è apparso su Rockit.it il 2012-07-02 00:00:00
COMMENTI (1)
quando parlano della musica italiana non ci volevo credere.
Per fortuna ci sono band e persone che ancora la pensano cosi !
per fortuna.