È stata una estate davvero intensa per il cantante e co-fondatore dei Subsonica. Perennemente in giro: oltre quaranta date fra concerti, festival performati e altri organizzati, dj set suonati e ballati. Roba da fisici allenati. Lo raggiungo telefonicamente nella città dove oggi abita, Venezia. È in compagnia del producer Mace: “Mi piace ospitare amici. Sono come un traghettatore d’anime. C'è qui la sua ragazza che lavora per gli eventi del cinema. Ogni volta che viene diventa come un bambino in una sala giochi. Lo prendo in consegna, lo porto in giro in barca, facciamo un po' le nottate matte insieme...”, racconta.
Samuel Romano è in realtà torinese, ma a questo punto anche veneziano e – visto il suo impegno da direttore artistico dell’Eolie Music Fest, un intero festival pensato per le barche – persino un po’ siciliano. È un uomo di terra, di mondo, ma soprattutto un uomo il cui elemento dominante è l’acqua. Dai murazzi lungo il Po’, passando da Laguna e Mar Mediterraneo, fino ad arrivare questo sabato sette settembre al mare di Milano, l’Idroscalo, dove al Circolo Magnolia per Cuori Impavidi i Subsonica chiuderanno la loro tournée estiva “La Bolla Tour” - preceduta in primavera da un tour nei palazzetti - con un’ultima speciale data.
L’acqua è sempre stato il tuo elemento?
Sì, sì, sì. Mia mamma mi racconta sempre che a 6 anni andai da lei e le dissi: “Io da grande vivrò a Venezia e farò il cantante”.
Ce l’hai fatta.
Una certa ottusità, diciamo, mi contraddistingue. Io l'ho vissuta come se non ci fosse altra via, ho lavorato per tutta la vita per fare quello. Non mi sono dato altre ipotesi. Il mondo intorno a te cambia e questo ti porta a cambiare anche tutti i tuoi pensieri. Solo che essere ottusi da quel punto di vista lì ti aiuta poi a realizzare quello che desideri.
Nessuno piano B.
Generarti un piano B toglie forza al concetto di percorso. Se non hai un’alternativa, non ci pensi e continui.
Vuoi dirmi che non hai mai pensato, anche una volta ottenuto il successo con i Subsonica, di essere finito in una gabbia dorata? Mai avuto per un momento voglia di cambiare tutto e farti un’altra vita?
Non c’era altro piano al di fuori del fare il musicista, ma da qui a sviluppare tutta la vita da musicista ci passa. Ho fatto Motel Connection, faccio il DJ, ho fatto dischi solisti. In realtà arrivi a capire che un'esperienza artistica come quella di Subsonica, che è un'esperienza totalizzante, necessita una serie di spin off. Io da subito proposi a tutti quanti, a ognuno di noi, di costruirsi una propria vita parallela. Il nostro pubblico, dopo averci visto in solo, avrebbe poi capito meglio cosa siamo insieme.
Il sette settembre c’è il concerto che chiude questo capitolo di Realtà Aumentata, il vostro decimo disco. La cui premessa era: che senso hanno i Subsonica?
Ci siamo confrontati riguardo i nostri nodi emotivi e artistici. In una band, soprattutto, si tende a parlare poco, un po' come nelle famiglie. E poi ti trovi ad avere delle esigenze annodate dentro di te e non sai come tirarle fuori... Cioè esplodono, a un certo punto ti trovi tutto schiacciato, non sai come andare avanti. Ecco, noi ci eravamo arrivati in un momento molto simile: avevamo esigenze personali che ormai non collimavano più con quelle degli altri.
È successo che vi siete guardati in faccia, e avete parlato.
Siamo arrivati a un punto in cui avevamo tutti la possibilità di vivere musicalmente lo stesso, anche senza Subsonica. Così abbiamo detto: facciamoci questa domanda, forse è l'unico modo per poter capire veramente se vogliamo andare avanti, se ha senso. In quel momento ci siamo resi conto che saremmo mancati anzitutto a noi stessi, e tutto si è riacceso. Abbiamo capito che dovevamo rispettare i nostri ruoli.
Quali sono i ruoli nella band?
Max è quello che tende più a pilotare, a gestire il percorso. Davide è quello che ha più la necessità di tirar fuori i suoni, di passare attraverso la follia della sperimentazione musicale. Io sono quello che invece è più empatico, ha bisogno di comunicare con la parola e con l'emotività. Ninja e Vicio hanno questa forza di costruire un pavimento sonoro sulla quale noi ci appoggiamo e possiamo fare le nostre cose. Oggi è come se fossimo rinati, però mantenendo questa forza creativa e soprattutto con un'esperienza trentennale in più.
Il palco può curare ogni malanno.
Per me è stata la salvezza, nel senso che se non ci fosse stato il rapporto con il nostro pubblico non saremmo qui a parlare, fondamentalmente. Questo disco rappresenta una specie di amore ritrovato, e poi trasformato. È stato uno dei tour più divertenti per me, ma anche per gli altri, in cui ci siamo anche aperti un po' di più. E soprattutto è venuto fuori proprio il piacere suonare insieme.
Cos'è successo di diverso rispetto al passato?
Dal vivo non abbiamo mai avuto grossi problemi perché siamo stati sempre professionali, non abbiamo quasi mai portato le nostre difficoltà emotive sul palco. Anzi, per assurdo, il palco ci ha sempre aiutato a buttarle fuori, a salvarci in qualche modo. Però quest'anno viene fuori proprio un lato anche ironico, che abbiamo avuto raramente. Il nostro pubblico ne è testimone, e ce lo scrive e dice in ogni occasione.
Qual è l’artista con cui avete condiviso il palco in questo tour che vi ha più colpiti?
Cosmo. È riuscito a riportare la canzone cantautorale nella musica elettronica, che è la musica che ovviamente noi amiamo. Mi raccontava, da buon piemontese come noi, di essere un po’ chiuso e di aver fatto fatica a lasciarsi andare, e di aver finalmente imparato a farlo. Io credo che lui e Madame in questo momento siano tra gli artisti più rappresentativi d'Italia.
In quasi trent’anni anni di carriera avete potuto vedere ogni tipo di palco e situazione live. Che situazione avete trovato in giro da questo punto di vista in Italia?
Quando noi abbiamo iniziato dovevi avere una minima capacità espressiva sul palco, la padronanza dello strumento. Oggi, a partire dal punto di vista della discografia, è tutto velocissimo. Gli esseri umani invece hanno bisogno di tempo per approfondire qualsiasi tema, da quello tecnico-musicale a quello di profondità di scrittura. Purtroppo gli artisti di oggi si trovano a non avere tempo di costruire grandi live, a non avere tempo di fare cento concerti prima di diventare bravi.
Cosa ti ha colpito in negativo?
Ho visto molti concerti in cui ho sentito un disco girare un rapper che cantarci sopra. Non vorrei fare un discorso boomer, ma ai nostri tempi era impossibile. Saresti stato fischiato e tirato giù dal palco. Oggi c’è una parte di pubblico che non ha più l'esigenza - forse perché è cresciuto senza saperlo - di un gesto tecnico sul palco.
La sublimazione di questo è Kanye West, che presenta e performa il disco senza nemmeno un microfono.
Quello di Kanye è un gesto anche di protesta. Nella sua follia mi ricorda un po' Giovanni Lindo Ferretti che scrive un libro sul Papa. Trovo più logico a quel punto fare così. Voi volete solo la mia immagine? Io vengo, mi copro la faccia e non canto nemmeno, "ballucchio". Piuttosto che far finta di cantare perché c'è una base sotto.
Il tema è (il) pubblico.
Il pubblico deve rinascere in qualche modo. Ovviamente è compito degli artisti, e vedo che c'è qualcosa che si sta muovendo. Mi sembra che ci siano delle nuove realtà musicali molto giovani, che si stanno riappropriando del "gesto musicale". Willie Peyote, che gira con una band. Venerus, o lo stesso Mace, che fa il produttore ma si porta dietro una band, con la quale fa delle session di scrittura. C'è un ritorno alla necessità di veder accadere qualcosa con degli strumenti sul palco.
Willie e Ensi sono i due ospiti dell’ultima data del tour, il 7 settembre a Cuori Impavidi.
Loro sono dei fratelli, non è nemmeno più un'ospitata. Incarnano lo spirito torinese. Facciamo tutto fra di noi: da un lato ti schiaccia un po' dentro le tue mura, però ti dà anche quella sicurezza e certezza di intenti musicali e creativi di cui spesso abbiamo necessità.
Prima di ogni concerto, il vostro rituale prevede che uno fra voi, a turno, faccia un brindisi. Chi decide e perché?
Quello prima del concerto è un momento in cui abbiamo con noi tanti amici, quindi decidiamo volta per volta. Ricordo che c'è stato un anno, al Forum di Assago, in cui abbiamo dato mille accrediti e la nostra agenzia ci diede dei pazzi, fa il calcolo quanto avete regalato al pubblico. Per noi il concerto è una festa, da sempre. Infatti facciamo sempre gli aftershow, abbiamo una cassa Bluetooth con una mini console montata dentro i nostri bauli che ci portiamo nei camerini. È sempre per noi importante che sia una grande festa e che finisca il più tardi possibile.
A che cosa brinderete per questo ultimo concerto del tour?
Io non so chi lo farà e che cosa tirerà fuori. Io credo che dobbiamo brindare a questo disco, a questa rinascita. La voglia è talmente tanta che a fine settembre ricominceremo già a scrivere un disco nuovo.
Questa è una notizia!
Ti dico solo una cosa. L’unica volta che abbiamo fatto una cosa del genere è stato per Microchip Emozionale.
Hai parlato di aftershow. A Cuori Impavidi ci saranno Emma Nolde e Faccianuvola in apertura, poi dopo di voi c'è Tiga, e poi tutti voi a mettere dischi. Che dobbiamo aspettarci?
Noi siamo un po' mischiati musicalmente. Vicio è più selector di musica new wave anni '80, lui arriva un po' da quella musica ciuffata, anche se il ciuffo non ce l'ha. Max è più sperimentatore, si è creato una serie di sue tracce che mischia con esperimenti dai suoi progetti. Boosta arriva dall’elettronica anni 2000 un po' scura, un po' mentale, alla Felix da Housecat. Io sono techno, per me dovrebbero esistere solo gli Underworld nel mondo. E Ninja invece è drum and bass. Sarà un mischione, ma porteremo a casa un bel risultato. Fare una serata in cinque non è facile, soprattutto se hai a disposizione 2 ore. Ma noi potremmo star lì fino alle otto di mattina.
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L'articolo Subsonica: "Non siamo mai stati così tanto felici di suonare assieme" di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2024-09-05 09:03:00
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