Nandu Popu, classe '69, più di 25 anni di storia del raggae italiano con i Sud Sound System e gli occhi scavati del ragazzo di provincia che è rimasto ancora un po' bambino. “Eternal Vibes” , pubblicato il 30 giugno, è il decimo album della carriera della band salentina, che questa volta si identifica con i briganti: ribelli e sognatori, innamorati sì, ma con la cazzimma.
I Sud Sound System sono attualmente in tour, suoneranno in giro per l’Italia, per l’Europa e nella loro amata Jamaica. Abbiamo parlato della loro carriera, della musica di oggi e di ieri, di cosa vuol dire fare musica in Italia e cosa significa farla in dialetto.
"Ecco un'altra intervista in cui i Sud Sound System parlano di Taranta". Sì, esattamente questo, e tanto tanto altro.
Dopo più di 20 anni di carriera sarebbe normale allentare un po’ la presa. Dove trovate la rabbia, la fame e la forza di incazzarvi ancora dopo tutto questo tempo?
La voglia è ancora tanta, ancora oggi. So che può sembrare retorico ma la nostra vita è il palco. Questo ce l'ha insegnato la nostra terra, è una sorta di medicina la musica, siamo i primi ad averne bisogno. La musica serve anche e soprattutto a questo, a calmarsi, a riflettere e a trovare il proprio posto nella società.
La vostra è quindi una sorta di taranta 2.0, un modo di tirare fuori il veleno attraverso la musica?
Assolutamente sì, di questo siamo molto orgogliosi. Parlando più in generale, la musica di oggi è come la taranta di tanti anni fa. Oggi una certa critica un po' radical-chic si riempie la bocca di belle parole parlando di questa danza. La taranta non era storicamente solo una danza, era la rabbia di un popolo, era la voce degli oppressi. Oltre alle storie dei "tarantolati" veri e propri, quelli morsi dal ragno che usavano il ballo per combattere il veleno, il ballo e la musica erano il modo che la popolazione aveva per liberarsi da tutti i veleni.
Noi ci sentiamo un po’ come queste persone, siamo dei reietti della musica. Farete fatica a sentire i Sud Sound System in una radio commerciale, per i temi che trattiamo e per come li trattiamo. Non tutti hanno voglia di sentire dei “rompiscatole” che parlano del sud, dei deboli, della guerra (anche se parliamo anche d’amore e di gioia). Però qualcuno che vuole sentire parlare di tutte queste cose c'è, noi vogliamo cantare per loro, che sono la nostra famiglia. Una famiglia enorme, da nord a sud.
Le origini della taranta però si perdono un po' nella storia. Come è possibile che qualcosa di così ancestrale, nel vero senso del termine, abbia ancora questa forza?
Certo, la musica popolare si ascolta sempre meno e viene suonata sempre meno, ma è anche giusto così: Georges Lapassade diceva addirittura che i nuovi tarantolati sono i ragazzi che vanno ai rave. In molti puntano il dito contro questi ragazzi, li etichettano solamente come dei drogati, ma bisogna avere rispetto di tutte le culture, di tutte le esperienze. È importante capire perché questi ragazzi vogliono danzare, bisogna cercare di capire perché vivono in una certa maniera. Questi ragazzi spesso vivono situazioni difficili, e per loro il ballo è un modo per reagire. Cosa c'è di così diverso in fondo dalla taranta antica? La taranta in fondo insegna questo, la musica è prima di tutto catarsi.
Foto di Emilio Sirletti Via
Parlando ancora della vostra terra, una delle caratteristiche più riconoscibili dei SSS è sicuramente il vostro dialetto. Il salentino è una lingua antichissima, ricca di contaminazioni di popoli diversi, che continua ad essere usata. Poteva essere un limite, invece è uno dei punti di forza della vostra musica. Come ve lo spiegate?
Il dialetto è la lingua di ogni giorno, non solo per noi e per il Salento: se vai a Roma senti parlare in romanesco, così come nel triveneto dove si parla tantissimo il dialetto e così via, vale per moltissime zone del nostro paese. Quando abbiamo iniziato a cantare noi, alla fine degli anni ’80, era in atto una sorta di omologazione: le lingue locali stavano iniziando a scomparire e noi abbiamo iniziato a cantare in dialetto come antidoto probabilmente. Forse è una cosa di cui non ci siamo nemmeno accorti all'inizio, è stato anche quello un modo di reagire.
Per noi comunque il salentino rimane la lingua colloquiale. Oggi la parlata locale è tornata, nonostante la globalizzazione si è ricominciato a parlare in dialetto nelle famiglie. Non fraintendetemi, si parla anche l’italiano ed è altrettanto importante. Ci sono contesti in cui non puoi permetterti di usare il dialetto. Ma nella mia famiglia ad esempio, se parlo in italiano mi sembra di impartire un ordine a mio figlio. Il dialetto è la lingua del focolare ed è giusto che sia così.
Come coniugate la vostra indole internazionale con il fatto di cantare in dialetto, come viene accolto dalla gente che vi viene a vedere all’estero?
Non allontana le persone. Sicuramente è qualcosa che incuriosisce, quando la gente viene a vederci e non capisce che cosa stiamo cantando, percepisce comunque che veniamo da una realtà con una cultura molto radicata nel territorio, e ci si rispecchia. Tutti abbiamo delle origini e, anche se diverse, hanno molti aspetti comuni. Noi non parliamo di bandiere e di confini, non ce ne frega niente. È semplicemente un fatto culturale: sarà banale ma la verità è che la diversità è l’unico antidoto per l’omologazione.
La gente viene a vederci anche per ricevere la nostra medicina, prima parlavamo della taranta e di come essa abbia uno scopo curativo: la gente viene ai nostri concerti e balla, questa è la cura migliore a tutti i mali. La gente oggi sta tornando a ballare, questa è una cosa meravigliosa. Sta tornando il valore della danza, che per noi nella musica è una cosa fondamentale. Non lo faremo mai un concerto con le sedie.
Il vostro ultimo album “Eternal Vibes” parla di briganti, ci riferiamo soprattutto al singolo uscito a giugno. Chi sono i briganti nel 2017?
I briganti di oggi sono i ragazzi salentini che stanno combattendo e stanno difendendo la loro terra dalla Tap (il Gasdotto Trans-Adriatico, in provincia di Lecce, che minaccia l'ecosistema pugliese): un disegno stupido e criminoso, per il quale sono state pagate tangenti per ammorbidire la stampa e i politicanti. Poi ci sono i ragazzi di Taranto che non vogliono più quel mostro che uccide la gente, i ragazzi di Brindisi che difendono la città dal petrolchimico. Uscendo dalla Puglia c’è chi lotta contro la Tav in Piemonte, la gente sarda che difende la propria isola dai poligoni di tiro, ci sono i giovani della Sicilia, i campani e così via. I nuovi briganti sono questi, i ragazzi che lottano per la propria terra e contro le ingiustizie. Il nostro invito è sempre quello a difendere la propria terra, soprattutto per quel che riguarda il sud Italia: un museo a cielo aperto, dal quale la gente non deve essere costretta a scappare. Il meridione deve ripartire dalla sua enorme cultura, sotto tutti i punti di vista: economico, turistico e umano.
Il vostro genere musicale ha radici in una terra molto lontana tra il mare dei Caribi, la Giamaica. Ci siete passati poco tempo fa, cosa vuol dire per voi tornarci a suonare?
È ogni volta un’esperienza molto forte, ci sono molte differenze tra gli show che facciamo qua e quelli che facciamo in Giamaica. Quando andiamo da quelle parti lo facciamo come ambasciatori del reggae in Italia e questo riempie di gioia la gente del posto. Molti giamaicani, soprattutto quelli che non sono mai usciti dalla loro terra, non sanno che cosa rappresenta nel mondo la loro isola e la sua musica.
Nonostante sia una terra piena di contraddizioni, tra miseria, violenza e uno sfruttamento orrendo da parte dell’occidente, è un paese molto orgoglioso, che è riuscito a togliersi la schiavitù di dosso. È forse l'unico paese dove sono davvero gli africani a comandare. La musica poi in Giamaica è probabilmente la cosa più importante che ci sia: ha dato e continua a dare al paese moltissimo, senza la musica ci sarebbe molta più povertà probabilmente.
Scusa se torniamo di nuovo al dialetto, ci piacerebbe sapere il tuo parere su questa nuova “ondata” di realtà musicali locali, che cantano in dialetto e che stanno ricevendo consensi anche a livello nazionale.
La vedo come una sorta di nuova corrente neorealista, che vuole scappare da mondi finti e creati ad hoc. Prendiamo ad esempio i talent show, dove sottopongono i ragazzi a giudizi basati solo sull’apparenza, sul bel canto e la bella presenza. Questo modo di fare musica mi fa tremare, mi fa paura ed ecco perché il dialetto è ancora una volta una medicina e un antidoto.
Credo derivi anche da un bisogno di cantare e raccontare qualcosa in modo confidenziale, non è molto diverso dal nostro modo di fare. Purtroppo nelle radio passa solo un certo tipo di musica, che parla di amori mancati o celebrati, ma la gente non vive solo d’amore: io mi guardo in giro e vedo tanti problemi, tante cose assurde che devono essere raccontante. Fare tutto questo in dialetto è la maniera più spontanea che esiste probabilmente.
Parlando di nuove leve, rivedi in qualcuno il vostro spirito? Anche in generi diversi magari.
Mi piace moltissimo Ghali. Mi piacerebbe prendere come esempio però un personaggio molto contraddittorio: Bello Figo è diventato famoso grazie a Youtube, che se hai veramente qualcosa da raccontare è un trampolino di lancio pazzesco. Forse non sarà fortissimo a livello musicale, ma fa una cosa diversa, usa altri linguaggi. Usa comunque un mezzo in maniera forte per veicolare un suo messaggio. Magari tutto questo l’avessimo avuto noi nell’87, quando abbiamo iniziato. I social network hanno un potenziale enorme, anch’essi però se usati nella maniera giusta: ormai chi fa musica può veramente essere del tutto autosufficiente, ad eccezione della distribuzione forse. Negli anni la discografia è cambiata tanto. I grandi signori della musica dietro le grosse scrivanie ci sono sempre stati, ma una volta erano persone che sapevano fare il proprio lavoro, che sapevano credere in un'idea, in un progetto, e sapevano come svilupparli. Poi i soldi arrivavano, ma dopo. Oggi la discografia guarda soltanto al profitto, sono aziende come le altre, fanno arte ma per come lavorano potrebbero produrre qualsiasi cosa, non c'è visione. Oggi è meglio fare tutto da soli, veramente.
Ultima domanda: che cosa prevede il futuro prossimo dei Sud Sound System?
Abbiamo da poco annunciato il tour europeo, che inizia il 2 ottobre; sul nostro sito si possono trovare tutte le date che toccheranno le maggiori città europee. Faremo una piccola pausa invernale, ma subito dopo saremo di nuovo in tour: per un paio d’anni porteremo il nostro ultimo album e la nostra musica in giro. Per noi stare sul palco è veramente la cosa più importante.
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L'articolo Sud Sound System - Largo ai nuovi briganti di Vittorio Farachi e Andrea Bonn è apparso su Rockit.it il 2017-10-03 14:00:00
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