Lui arriva dai Buzz Aldrin, Lei dai Nel Dubbio, adesso sono i Melampus. Hanno pubblicato uno degli album più interessanti di quest'anno: "Ode Road", melancolia sognante e new wave scura per canzoni che, a detta loro, potrebbero essere ben rappresentate da un quadro di Bacon. Ci raccontano di come si costruisce un suono, di Bologna e della speranza di trovare ancora musicisti curiosi e liberi da Facebook-dipendenze, del pubblico italiano e di quello estero. Chiara Angius li ha intervistati.
Vi ho sentito dal vivo circa un anno e mezzo fa, suonavate al Crash, insieme ai The Tunas e Cut. Davanti al palco saremmo stati in dieci e l'espressione generale delle facce era un bel punto interrogativo.
Francesca: Era il nostro primo concerto in assoluto, quindi anche noi ci facevamo delle domande. Avevamo 4-5 pezzi composti in un paio di mesi e venuti fuori tutti di getto. Aggiungi che io suonavo la chitarra da 2 mesi... quella notte è stata davvero un terno a lotto. Ci furono anche molti problemi tecnici che non hanno aiutato, direi che è stata quasi una fortuna avere davanti solo 10 persone.
Adesso che tipo di accoglienza ricevete dal pubblico?
Gelo: No, non è più caloroso...
F: ...In realtà dipende dalle volte, dai. Il problema, senza dire niente di sconvolgente, è che in Italia da un duo uomo-donna ci si aspetta un altro tipo di musica. Ce l'hanno detto più volte, qualcosa che rispetti le tendenze del momento.
G: Più accattivante, diciamo.
Un duo come crea il proprio suono? Era questo quello che avevate in mente?
F: E' vero, da un duo ci si aspetta una strumentazione ridotta mentre noi arriviamo belli carichi: tanti strumenti, pedali di vario tipo, tutto quello che ci serve per arrivare al suono che siamo riusciti a costruirci nel tempo.
G: Sapevamo che tipo di suoni volevamo, sapevamo che non era facile ottenerli rimanendo in due ma con molto lavoro ce l'abbiamo fatta.
Rock psichedelico, new wave e post- rock, quali sono le vostre influenze principali?
G: New wave e psichedelia le sentiamo anche noi, fa parte del nostro background, è naturale che escano. Post-rock, direi meno, non sei la prima a dircelo e ci fa piacere se altri colgono delle sfumature non previste. Gli artisti che regolarmente si alternano nel nostro giradischi sono: The Doors, Tim Buckley, Cohen, Bauhaus, The Velvet Underground. Tutto il garage anni 70-80, post-punk, new wave della metà anni 70...
F: Penso sia una cosa istintiva, come ti dicevo, è poco che suono la chiatarra, non ho pieno possesso dello strumento. Alcune cose escono quindi più scarne, possono suonare post-rock, ma non è un genere che fa parte del nostro bagalio personale anche se abbiamo una collezione di ascolti molto varia. Diciamo molto varia e "scura”.
Tu Francesca sei anche pittrice?
F: Lo faccio da tanti anni, ho studiato, ultimamente però dedico più tempo alla musica.
Un quadro che potrebbe riassumere le suggestioni di “Ode Road”?
G: Non vorrei dire una cazzata ma secondo me è la triologia dei papi di Bacon.
F: Lo stile di Bacon nasce dalla la necessità di abbozzare un qualcosa che poi rimane sempre abbozzato e non trova mai un compimento finale. E questo già potrebbe essere un punto in comune con il disco.
G: Vedo un collegamento con lo stile di Bacon, perché l'artista pur raffigurando soggetti in maniera non astratta, li rappresenta molto scuri, fluidi, deformati, inquietanti...
F: ...ambienta ogni sua figura in una stanza immaginaria, tratteggiata con semplici linee che rappresentano una struttura barcollante e aperta.
E se definissi “Ode Road” il racconto di 9 sogni?
F: L'ambito del sogno non è volutamente ricercato ma direi che è azzeccato, anche perché non faccio mai dei sogni a tinte particolarmente vivaci. E' un tema che mi appassiona, sto frequentando anche un laboratorio dei sogni, sto imparando molto a riguardo. In realtà i pezzi nascono da miei appunti personali che butto giù nell'arco della giornata, racconti che nascono in versi, ma anche in questo tipo di spontaneità c'è sempre una struttura all'interno della quale cerco di impostare le parole.
Quattro brani del disco sono stati prestati alla colonna sonora de “L’uomo doppio”, film girato da Cosimo Terlizzi. Come è nata questa collaborazione?
F: Un amico aveva organizzato una rassegna, una serie di serate nelle quali si combinavano insieme un live musicale e l'intervento di un artista visivo. Noi siamo stati abbinati a Cosimo, io lo conoscevo già, ha lavorato tanto a Bologna. Quella sera si era creata una certa empatia, e ci ha poi chiesto se potevamo “prestargli” qualche brano. E' stato bello vedere poi tutto il lavoro montato, ha regalato qualcosa in più alle nostre sonorità.
Secondo il vostro personale punto vista com'è la vita musicale a Bologna?
F: Attualmente c'è tanta confusione... Se c'è un nome da menzionare è quello di Laura Loriga (cantante dei Mimes of Wine e di molti altri progetti, NdA). Lei è ritornata da poco in Italia, era in America per registrare il disco. Per me è la speranza.
In che senso la speranza?
G: Perché rappresenta un qualcosa di diverso, un qualcosa in più, adesso nella musica non c'è quel qualcosa in più.
E quel qualcosa in più sarebbe...
G: Il coraggio...
F: ...il coraggio di fare quello che si ha voglia di fare senza valutare quanta gente avrai di fronte al palco, quanti mi piace avrai su Facebook. E' chiaro, sono cose che fanno piacere a ogni musicista, perché ogni artista ha bisogno di un pubblico, ma devono essere secondarie, il fine ultimo dev'essere cercare di comunicare qualcosa tirando fuori un po' di fegato.
G: Oltre al coraggio ci vuole anche la curiosità di sperimentare, molti gruppi non hanno la curiosità di fare qualcosa di diverso, sono fregati giù in partenza. E' stesso problema, quello della curiosità, oltre che nei musicisti lo ritrovi anche nel pubblico italiano...
Potete proporvi anche ad un pubblico non italiano. Mai provato ad esportare “Ode Road” fuori dallo stivale?
G: La primavera scorsa dovevamo fare un mini tour europeo con i Cut, poi in realtà per problemi di tempistica non ce l'abbiamo fatta. Vogliamo portare il disco in giro per l'Europa, anche perché è uno dei motivi per cui cantiamo in inglese: non vogliamo suonare solo in Italia.
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L'articolo Melampus - Suonare in due di chiara angius è apparso su Rockit.it il 2012-10-31 00:00:00
COMMENTI (4)
Bravi ! e che kzzo qualcosa di diverso e interessante dei soliti cantautori !!
forse era meglio esserlo per la pettinatura..
Degni di notizia grazie al vento.
ma basta essere pettinati da spavantapasseri per esser degno di notizia..?