Non si può piacere a tutti: Takagi & Ketra e il futuro del pop italiano

I due producer ci raccontano il presente e, soprattutto, il futuro del pop italiano

Che vi piaccia o meno, se oggi si vuole discutere seriamente di pop, i due nomi di riferimento sono Takagi & Ketra. Il primo era nei Gemelli Diversi, il secondo è l’attuale producer dei BoomDaBash, ma i più li conoscono per via di tormentoni come “Roma Bangkok” di Baby K o “Vorrei ma non posto” della premiata ditta J-Ax e Fedez o per “L’esercito del selfie”, il primo singolo a loro nome, scritta insieme a Tommaso Paradiso dei Thegiornalisti. Sono venuti in redazione per una lunga chiacchierata dove hanno ribadito che la musica leggera è - per l’appunto - leggera, ma che stiamo per assistere a cambiamenti importanti, soprattutto in Italia.

Partiamo dal vostro singolo, “L’esercito del selfie”, volevate fare la classica hit alla Sean Kingston?
Takagi: Direi di no, anzi, di centinaia possibili è l’unico nome che non ci è venuto in mente. Se leggi tra i commenti del video la gente ci accusa di aver copiato di tutto, da l’”Estate sta finendo” dei Righeira, a “Chariot” di Betty Curtis o “I Will Follow Him” dalla colonna sonora di “Sister Act”. In realtà è solo un classico standard anni ’60, su quel giro di accordi può trovare decine e decine di hit.

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Esordite per la prima volte usando il vostro nome ma abbandonate la chitarra in levare, che era un po’ il vostro marchio di fabbrica, perché?
T: È la mossa Kansas City (ride). Tutti si aspettavano il tun pa, tun pa tipico delle nostre produzioni e abbiamo proposto qualcosa di completamente diverso. Di fatto abbiamo collaborato a molte delle hit che segneranno l’estate 2017, il primo nostro singolo, invece, volevamo che fosse unico. Se adesso tutti spingono sulla roba latina, noi abbiamo deciso di proporci con un pezzo anni ’60.

E perché scegliere Tommaso Paradiso?
T: Perché è un figo, è uno dei fenomeni di questo momento in termini di scrittura pop.

Capita spesso che i tormentoni cerchino di lanciare anche piccole frecciatine nei confronti di determinate manie collettive, ultimamente va per la maggiore la critica alla dipendenza dai social network. Tempo fa avevo pure litigato con Neffa perché per lui “La faccia come il cuore” era puro situazionismo mentre per me era solo una paraculata. Voi che ne pensate?
T: Onestamente la penso come Neffa. Sarà che di hit ne sentiamo e ne facciamo tante, ma non ci andava di fare la canzone dal mood fresco che parla di estate, di mare e di spiaggia. Volevamo mettere un pochino questa nostra visione distopica della realtà. Non si vuole fare la rivoluzione - non ci si avvicina nemmeno lontanamente - ma se la canzonetta “stupidina" aggiunge anche qualcos’altro la preferisco. A me piacciono le canzoni che non capisci subito al primo ascolto, la nostra all’inizio ti può sembrare una merda ma, quanto meno, nelle volte successive ti porta più a ragionare su quei cosiddetti “ganci alla realtà” che non sempre trovi nelle hit estive.

Converrai con me che il gioco si sta facendo un po’ ripetitivo, no?
T: Sì, ma è tutto ripetitivo. Il pop è sempre stato un discorso che è stato iniziato da altri e che tu continui un passo alla volta. Poi io spero che non si continui solo a parlare di social e smartphone, dopo un po’ diventa alienante.

Avete un metodo di lavoro preciso?
T: In realtà no, ogni volta cambia in base alla persona con cui lavori. Dal momento che collaboriamo con tanti artisti diversi, se tenessimo un metodo standard prima o poi saremmo andati a sbattere contro gli spigoli degli altri. Tecnicamente parlando, siamo un po’ delle puttanelle, ci piace fare musica, e ci adattiamo in base agli stimoli che riceviamo dagli artisti con cui collaboriamo.
Ketra: Se il pezzo ci piace, ovviamente, altrimenti non lo facciamo.

Voi avete un background da producer piuttosto classico, no?
T: Abbiamo avuto un percorso simile perché, io con i Gemelli Diversi e lui con i BoomDaBash, ci siamo trovati all’interno di gruppi di quattro persone senza un vero leader, era l’anarchia pura ma ci ha insegnato a gestire più personalità insieme. In più avevamo messo da parte moltissimo materiale ed è capitato che pezzi su cui nessuno avrebbe scommesso quattro anni fa, oggi siano diventate delle hit.

Le melodie le scrivete voi?
T: Per la maggior parte sì. C’è differenza tra beatmaker e producer: uno ti fornisce la base e tu rapper ci canti cosa vuoi, l’altro ti prende per mano e progetta un percorso insieme a te. Noi, oltre ad essere dei grandi pignoli siamo anche dei rompipalle, ma è necessario che ci sia qualcuno che gestisca l’ego delle tante persone presenti in studio e lo trasformi in un flusso di lavoro positivo. Il nostro compito è quello portare l’artista al di fuori della sua comfort zone: chi lavora con noi non farà mai la canzone che ha già fatto, ci interessa fargli scoprire nuovi territori. In più dobbiamo capire cosa c’è di buono in un pezzo e valorizzarlo. Pensa che quello che poi è diventato il ritornello di “Nu Juorno Buono” in realtà era solo una delle strofe.

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Possiamo dire che la vostra carriera è nata da lì?
T: Direi di sì, erano già un paio d’anni che mettevamo da parte canzoni e sono venuti a bussarci chiedendoci di collaborare.

La cosa interessante è che avete sperimentato cose molto diverse, tra le mie preferite c’è “In radio” di Marracash che non rispetta per niente i vostri soliti standard.
K:
Fondamentalmente a noi piace la musica in generale, posso ascoltare dalla trap paranoica a 50 bpm fino all’edm. Ascoltare tanta musica è come andare in palestra, basta allenarsi e poi puoi fare di tutto. Il pezzo che citi a suo modo è stato importante, è stato uno dei primi pezzi lenti, non era così usuale per il periodo in cui è uscita.

L’altra grande hit messa a segno è stata “Roma Bangkok”, che va detto, non non mi fa così impazzire. 
T: Pare che sia stato il brano più certificato da quando esistono le certificazioni, che già fa ridere una frase simile (ride). Ora i conteggi stanno di nuovo cambiando, mi diverte sempre seguire queste cosa. Ad esempio, a te piacciono “Le focaccine dell’Esselunga”?

Lasciamo perdere, ma ve la ricordate "Manuto"?
T: Certo che sì.

Ecco, lì c’era la consapevolezza che questo tipo di canzoni rientrassero in un genere preciso a cui era pure stato dato un nome, lol rap. Dopo che è successo?
T: Secondo me dopo, proprio perché canzoni di questo tipo hanno avuto la loro rilevanza, si è capito che era importante far arrivare in Italia suoni e metriche che all’estero c’erano già da anni.

Mi stai dicendo che siamo in debito con "Manuto"?
T: (ride) No, siamo in debito con tutte quelle persone che sono riuscite a trasformare l’italiano in qualcos’altro. Hanno fatto la cosa più difficile in assoluto in ambito di songwriting: adattarsi alle metriche americane. Quella canzone, poi, la apprezzo perché ha smontato tutto questo castello in un centesimo di secondo. È stata una figata.

L’italiano in effetti è una bella rogna, abbiamo questo peso della tradizione, sia nei testi che nelle melodie, che penso sia molto difficile da svecchiare, sbaglio?
T: Sì, ma un tratto distintivo ci deve essere, se no diventa una musica che non ha più geografia. Ad esempio, in questo momento ci piace molto il funk carioca che, in pratica, è la musica hardcore brasiliana. Io lì sento ci sento davvero l’hardcore e il brasile, secondo è molto importante riuscire a trasmettere queste coordinate. “Roma Bangkok” è stato uno dei primi pezzi ad aver riscosso interesse fuori dall’Italia, in Francia è andata fortissimo. La nostra musica non la vuole nessuno, dovremmo dircelo più spesso. Siamo sempre convinti di essere al centro dell’universo ma in realtà non contiamo proprio un cazzo.

Il punto è che se rimaniamo così ancorati alla tradizione non riusciremo mai ad allinearci con l’estero. Secondo voi esisterà mai un disco come “Purpose” (a mio avviso uno dei punti più alti toccati dal pop negli ultimi anni) in Italia?
T: Non so se riusciremo mai a colmare questo gap che, ad oggi, sembra molto grande. Tu hai anche puntato altissimo però, “Purpose” di Justin Bieber è il cosidetto sure shot, è uno di quei dischi che non possono sbagliare. Quando sei a quei livelli ricevi le canzoni dai migliori team mondiali, mentre noi chiacchieriamo probabilmente ci sono centinaia di autori che tentano di scrivere la nuova hit di Bieber o di Rihanna, stiamo parlando del meglio del meglio. A me basterebbe anche solo una Lorde o una qualunque cosa leggermente più strana. Siamo andati fuori di testa per Liberato, a volte basta veramente poco per fare qualcosa di nuovo. Se il campo è pieno di merda quando spunta il girasole ce ne accorgiamo subito.

Fatelo voi no?
T: Mica possiamo fare tutto noi, già dobbiamo fare la musica di merda, quella bella la dovrebbe fare qualcun altro, no? (ride)

La vera critica che mi interessa farvi è che, nonostante abbiate talento e un'esperienza indiscutibile, spesso non siete riusciti a evitare quel suono patinato tipico da Radio Italia. Anche Young Thug ha i pezzi ben prodotti e puliti ma percepisci l'aggressività di fondo, mentre “Comunisti con il Rolex” non disturberà mai nessuno.
T: Stiamo parlando J-Ax e Fedez, che sono le due punte di diamante del pop italiano. In questo tipo di mercato non è facile mandare giù spigoli troppo evidenti. Loro sono veramente mainstream, in tour vedi le signore di cinquant’anni che cantano vicino alle ragazzine di undici. Non è da tutti avere questo tipo di trasversalità. 

All’estero sono le cantanti mainstream (Madonna, Lady Gaga, Miley Cirus, ecc) che fanno a gara per avere il producer giovane ed essere competitive sul mercato, in Italia invece siete voi che avete dovuto chiamare Arisa e Lorenzo Fragola, perché?
T: In realtà le cose stanno un pochino cambiando. Nell’ultimo anno abbiamo iniziato a lavorare su cose che, se andranno in porto, le sentirete nel 2018. Sta diventando sempre più frequente ricevere la telefonata o il messaggio dai grandi artisti pop. C’è molta voglia di cose nuove, perché era tutto talmente stagnante fino a poco tempo fa che, secondo me, la necessità di un ricambio si è sentita eccome. Sarebbe bello che esperimenti come il nostro fossero più frequenti.

C’è anche da ammettere che quando i suoni sono davvero spinti (ad esempio Baby K che canta direttamente su "Light Up" di Major Lazer) quasi mai diventano una hit. È una mera questione di gusto? Al pubblico italiano non piacciono queste cose?
K: Più che una questione di pubblico, credo che dipenda dal fatto che non si può costruire tutto a tavolino. Se prendi Young Thug, tutte le produzioni sono costruite attorno alla sua voce, idem per Ghali e Sfera Ebbasta che, grazie a Charlie Charles, sono riusciti a creare un immaginario sonoro coerente. Baby K non rendeva al meglio sopra a una base così.

E quindi voi non costruite le hit a tavolino solo per piacere al pubblico?
T: (prende il telefono in mano) Ti faccio vedere, c’è un app che si chiama “Fai le hit”.
K: (ride) Fare le hit a tavolino è impossibile, non puoi piacere a tutti. A noi il pezzo deve e piacere, anzi, spesso accade che se non piace a noi poi non funziona. Più cerchi il successo e meno lo trovi, è come quando insisti troppo con una bella donna, rischi solo di farla scappare.

Qual è la critica che vi fanno più spesso?
T: Non saprei, per fortuna le fanno alle canzoni e ai cantanti che le cantano, non direttamente a noi.

Ve lo dico io allora: la critica più ricorrente è che siete la brutta copia dei Major Lazer.
T: No, copiare è un'altra cosa. Noi siamo stati tra i primi a imparare la lezione e averla messa bene in pratica perché, ad oggi, in pochi hanno davvero capito come si fa il drop con le vocine.

E quanto mi costa una base di Takagi & Ketra?
T: Non te lo diremo mai, troppo (ride). Abbiamo avuto anche la fortuna di lavorare con etichette piccolissime come Bomba Dischi o Honiro, ovviamente non hanno gli stessi soldi di una major ma le canzoni ci piacevano e ci interessava collaborare con loro.

Miglior pregio di Fedez?
T: Federico è sempre sul pezzo, è attentissimo a tutto. È uno che ti chiama alle quattro del mattino per controllare cosa faremo in studio il giorno dopo. Non è da tutti, sai? Spesso chi arriva al suo livello si siede e se ne frega di guardare avanti, lui invece ha un approccio molto moderno. 

Di Fabri Fibra?
T: È un grandissimo professionista. Nonostante abbia una storia importante alle spalle e abbia fatto molto per il rap in Italia, è uno che continua a lavorare tanto, che sta in studio lo stesso numero di ore che ci stiamo noi.

Di Rocco Hunt?
T: Ha una capacità di scrivere davvero notevole. E poi ha una fame della madonna, lui davvero voleva farcela a tutti i costi.

Di Baby K?
K: Ha molta personalità, spesso e volentieri ci scontriamo con lei. 

Litigate colossali con gli artisti ne avete mai fatte?
K: Spesso (ride).
T: Non di direi spesso, dai. Siamo piuttosto brutali, è vero. A volte basterebbe avere un po’ di diplomazia in più, invece se per noi il tuo pezzo è una cagata non riusciamo a non dirlo.

I nuovi producer su cui puntare chi sono?
T: Ti direi Carl Brave, Charlie Charles e poi ce n’è uno giovane che mi piace molto, si chiama Fritz da Cat (ride). 

Produrrete anche un pezzo del nuovo album di Alborosie, immagino siate ben consapevoli che in quel caso il livello della competizione si alza parecchio, no?
T: Siamo pronti, proprio perché veniamo dall’Italia siamo più che pronti. Se facessimo un’imitazione delle basi giamaicane se ne accorgerebbero subito, è come vendere il ghiaccio agli eschimesi. Devi portare il tuo punto di vista, ed è lo stesso motivo per cui adesso Alborosie è una star in tutto il mondo. Ha portato la sua visione, non è mai stato un fake.

I tormentoni vi piacciono?
T: Le canzoni che hanno successo per me sono tutte bellissime, magari siamo noi che non siamo allineati con la figata di quel pezzo. "Despacito", ad esempio, mi piace molto. È una di quelle cose che va oltre, potrebbe essere uscita ai tempi della "Macarena" e avrebbe funzionato lo stesso. Quando piaci ai bambini e alle nonne, vuol dire che in mezzo hai preso tutti gli altri.

Voi per piacere ai bambini ci avete infilato nel testo anche un “carta forbice e sasso”?
T: (ride) Ma no, quello è il solito gioco secondo il quale quando dici qualcosa di serio dopo devi controbilanciare con qualcosa di stupido. Io ho una figlia di 11 anni, la reazione dei bambini è talmente pura e fisica che vale molto di più di uno studio di marketing. Se sto lavorando a una strumentale e lei inizia a ballare vuol dire che determinate vibrazioni le arrivano.

Non c’è il rischio che finiscano tutti a fare solo filastrocche?
T: I bambini non sono stupidi, non li raggiungi solo con le filastrocche. Mia figlia chiede la canzone che fa “uh na na eh”, non gli interessa sapere che quello è Jax Jones o come si chiama il brano, l’importante è che quel singolo frammento l’abbia colpita.


Oggi in radio può passare qualsiasi cosa o ci sono ancora degli standard da rispettare?
T: La radio è ancora molto importante, ha davvero presa sulle persone, ma oggi puoi ascoltare davvero di tutto, mi stupisce molto sentire Liberato alle 10 del mattino su Radio Deejay. Spero che presto sentiremo anche “Le focaccine dell’Esselunga”.

La musica leggera andrebbe presa meno sul serio?
T: Sicuramente ci sono cose più importanti per cui indignarsi. Credo che la musica sia un divertimento e lo è anche commentarla. A prescindere dai momenti in cui tutti diventano Commissari Tecnici della Nazionale o giurati di Miss Italia, è bello che si crei dibattito sotto il video di una canzone. Crea comunque un movimento, è pur sempre uno scambio di energia, mette aria in circolo. Non bisogna mai smettere di giocare con il pop.

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L'articolo Non si può piacere a tutti: Takagi & Ketra e il futuro del pop italiano di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2017-07-10 10:52:00

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