Non ditegli che la loro è musica semplice: si arrabbiano moltissimo. I Talking Bugs raccontano "Viewofanonsense", dove il folk e la melodia incontrano un immaginario quasi dark alla Tim Burton. E affermano: mai a Sanremo. L'intervista di Letizia Bognanni.
Chi sono i Talking Bugs?
Per l’anagrafe: Alessandro di Furio (chitarra classica e voce), Fausto Ghini (chitarra classica e seconda voce), Paolo Andrini (contrabbasso), Youssef Ait Bouazza (batteria e percussioni).
Per noi: Amanti della musica di ogni genere purché abbia una melodia suggestiva e una ritmica corruttibile.
In che senso corruttibile?
Qualcosa con cui si possa giocare, non inquadrabile in schemi classici precisi.
Perché “ViewOfANonsense”?
Perché non è necessario cercare un senso in ogni cosa. Il “nonsense” che nasce dal fragile equilibrio tra ragione ed emotività governa l'esistenza, e il nostro interesse si rivolge a questo. I testi delle nostre canzoni non sono unicamente interpretabili. Descrivono sensazioni e stati d'animo e lo fanno per immagini. Come uno “stream of consciousness” che potrebbe apparire privo di senso, o nel quale è necessario un piccolo sforzo per coglierne il significato.
Per esempio, non cantiamo “ti penso ossessivamente” ma “the sound of you is everywhere” perché non ha la stessa sfumatura. Non ha la stesso spessore poetico, se ce lo concedi. In quell'unica parola, che richiede anch'essa qualche istante per essere compresa, abbiamo ricercato una sintesi di questo intento.
Kings of convenience, Simon & Garfunkel, Notwist, Beirut, Grizzly Bear, Sodastream, Iron & Wine... sono i nomi che si leggono nelle recensioni. Questi paragoni vi piacciono, vi lusingano, vi infastidiscono...
Vero, siamo stati associati a tanti artisti anche molto differenti tra loro. Progetti di cui riconosciamo il valore senza dubbio ma è una nostra priorità creare uno stile personale, e crediamo che sia quello che stiamo facendo in maniera naturale, lasciando che i nostri ascolti molto diversificati si rifondano in qualcosa di nuovo. Il paragone a tutti i costi è una forzatura che preferiamo evitare.
A parte le influenze di altri gruppi (se ci sono) cosa vi ispira? Da dove nascono le canzoni dei Talking Bugs?
In merito ai gusti e agli ascolti, proveniamo da quattro mondi a volte affini a volte meno ma sempre attenti a più generi musicali. Non abbiamo un riferimento legato a quello che suoniamo, probabilmente ognuno di noi cerca di riprodurre un mix di tutto ciò che gli piace, e fortunatamente i quattro pianeti orbitano insieme.
L’ispirazione è un mistero. Un sciame di scarabei colorati che irrompono in sala prove e ronzando intonano melodie. Una linea di voce, un riff di chitarra o magari un loop di drum machine sono il punto di partenza, la tela su cui cominciare a dipingere e stendere il colore. Poi le linee melodiche malinconiche ma passionali sono quelle che sviluppiamo. Arricchendole con le pause e le dinamiche proviamo a restituire un piccolo mondo con ogni canzone.
Gli scarabei sarebbero i “talking bugs”?
Quella degli scarabei è un'immagine tanto per giocare, forse coleotteri per essere più precisi, tipo i maggiolini che trovi nelle rose a primavera. Il nostro nome comunque nasce da due considerazioni: da un lato è un'immagine surreale che si avvicina all'immaginario che ci affascina, dall'altro presenta il doppio senso del bug inteso come difetto di un software. In questo caso il difetto è nella nostra testa, ma è proprio quel difetto che lasciamo parlare e ascoltiamo perché pensiamo possa darci buoni suggerimenti, suggerimenti che ci permettono di allontanarci dal comune pensiero omologante.
Direi che nell'album c'è un 50% di sud (Spagna, Mediterraneo in genere) e 50 di nord Europa, vi sentite così scissi o c'è una componente che prevale? Siete più nordici o mediterranei?
Decisamente scissi... conosci qualcuno che non lo sia? La parte mediterranea è quella passionale fatta di ritmo e sudore, ed emerge nei live con maggior vigore. Ad essa si contrappone la velata malinconia nordica che troviamo altrettanto seducente per la sua introspettività, e che avvolge maggiormente il mood dell’album.
Nelle vostre canzoni (e anche nei video) ho notato una forte presenza della natura e degli elementi, il mare, l'acqua, l'aria...
È un'osservazione arguta. Ammettiamo che è una presenza più forte di quanto non avessimo colto prima che tu lo facessi notare. Ma abbiamo la risposta: è una natura allegorica che nei suoi elementi rappresenta l'interiorità e le emozioni. Tempesta, tormento, quiete, aria. E poi c'è il mare che più di ogni altra cosa simboleggia l'animo umano con le sue molteplici forme. Siamo in balia di noi stessi, di quello che abbiamo dentro, così come una piccola barca può esserlo dell'oceano.
I video sono tutti di animazione, e sono dei veri e propri corti. Un caso o è un mondo che vi appassiona?
Decisamente non è un caso. Paolo è molto appassionato di grafica, illustrazione, animazione, è lui che si occupa dei video (li realizza o li monta utilizzando materiale in Creative Common). Nei testi non raccontiamo storie, e allora ci piace farlo per la parte visuale.
Ancora sui video: quello di “The Lovers” ha un inizio idilliaco e un finale macabro, anche quello di “Like a Ship in the Sea” è un bel po' dark (Pinocchio, per citare solo il riferimento più evidente, secondo me è una delle storie più tristi e cupe mai scritte). Superficialmente potrebbero sembrare un po' cozzanti con la vostra musica che sembra così eterea. Non ho usato a caso le parole sembrare/sembra, perché io ci trovo anche un tocco di “inquietante” nelle vostre canzoni. Che poi è la cosa che rende interessante un gruppo: quando ci sono due anime che interagiscono. Nel vostro caso io ci sento una bella lotta fra luce e buio.
I due video a cui fai riferimento sono delle animazioni home made create agli albori del progetto. due video realizzati per due registrazioni anch’esse da salotto. Non si può negare che siano inquietanti.” The lovers” in particolare è talmente pieno di simbologie che se ne potrebbe parlare a lungo. Ma preferiamo ricondurlo all’immaginario delle favole o dei film di Tim Burton (pensa alla sposa cadavere). Tutte le favole più seducenti hanno qualcosa di lugubre e tetro. Quel contrasto tra luce e buio di cui parli ci affascina. Fa sgranare gli occhi e sobbalzare il fanciullo dentro di noi. Poi sono arrivati i video fichi, quelli legati alle registrazioni in studio per il disco. Così per “Like a Ship in the Sea” abbiamo usato quel capolavoro di animazione creato da Graham Carter (e rilasciato in Creative Common) che Rockit ha presentato in anteprima esclusiva la settimana scorsa.
A proposito di sentimenti contrastanti: l'album ha ricevuto un'accoglienza decisamente positiva. Ovviamente sarete contenti, ma c'è anche dell'ansia per il futuro, quando si parte così bene?
L’accoglienza ricevuta è stata migliore di ogni più rosea previsione. Recensioni che ci hanno fatto arrossire per le parole utilizzate. Superato il primo entusiasmo la cosa che più rimane è il fatto che a noi il disco piace. Molto. Qualcosa si potrebbe correggere, certo. Ma, a rischio di apparire presuntuosi, lo riteniamo un ottimo lavoro. Così è naturale e auspicabile che ci sia ansia per quello che potrà essere un secondo disco. Per il giudizio che potranno dare il pubblico, la critica, e noi stessi per primi.
La cura è questa: non faremo uscire nessun nuovo disco se non saremo convinti che sia un lavoro di pari livello o superiore. Così, se non piacerà agli altri, almeno piacerà a noi che al nostro giudizio teniamo molto.
Restando nel futuro: l'uso dell'elettronica nel disco è veramente minimo, però dà quel tocco in più. Pensate di continuare su questa strada oppure ci dobbiamo aspettare dei cambiamenti, magari proprio un'elettronica più “prepotente”?
Hai toccato un nervo scoperto. Stiamo ragionando molto, in questo periodo, su quali saranno gli sviluppi. Su quale dovrà essere la nostra naturale evoluzione. Le considerazioni sono mutevoli. Tutto è in divenire, ma un dato certo è che stiamo usando percussioni vere nei live, e questo ci dà gusto. L’elettronica non è mai stata per noi un elemento fondamentale. Semplicemente ci siamo divertiti ad usarla per questo disco. Per il prossimo album probabilmente mischieremo suoni veri e sintetici più “complessi” preoccupandoci magari di avere ritmiche meno “lounge” e più “ruvide”. Se dovremo usare dei bit-crusher lo faremo ma non vogliamo perdere lucidità.
Le vostre canzoni ad un ascolto poco attento sembrano semplici semplici, invece ci sono tempi insoliti, intrecci strumentali abbastanza complessi... non sarete mica un gruppo prog travestito da indie-folk?
Con la seconda parte della domanda ti sei salvata dalla nostra ira funesta! A chiunque definisca i nostri brani semplici vorremmo mettere una chitarra classica in mano e fargli suonare “I Don't Know Why” o “The Lovers” (tanto per citarne due). La gente se ne rende conto perlopiù nei live, guardando come si muovono le dita di Ale e Fausto su quelle chitarre. Comunque c'è stato un lavoro ragionato e complesso per ripulire gli strumenti da qualsiasi orpello e ripartire dal suono puro. Questo potrebbe essere confuso per semplicità, ma in realtà non avere nessun effetto che ti copre porta alla ricerca di un livello di esecuzione che non può scendere a compromessi. Il prog no. Preferiamo comunque rinunciare a qualcosa in nome della melodia e dell'armonia.
Certe parti strumentali mi hanno ricordato un po' anche il primo The Niro, il che mi porta a un domandone: avete mai pensato di fare qualcosa in italiano, e magari andare a Sanremo?
È un domandone che temevamo, quello dell'italiano... se poi tiri fuori Sanremo infliggi il colpo di grazia. La risposta corretta è che al momento non sentiamo che l'italiano abbia una musicalità che si sposi al nostro stile. Se anche fosse, rimane che a Sanremo, tra la Carrà e Belen, ci potremmo sentire a disagio. Ci fermiamo qui.
I testi sono molto intimisti, vi sentite un gruppo “da cameretta”, per citare un'altra recensione che ho letto?
Può essere. È una definizione che ci ha fatto sorridere e l'abbiamo trovata abbastanza azzeccata. Musica da cameretta o anche da viaggio... in automobile guidi lungo la costa o tra le colline. Nessuno ha voglia di parlare e ti perdi nei tuoi pensieri. Il mood che abbiamo ricercato per il disco è quello. Il live è più carico (ma questo lo abbiamo già detto).
Leggevo in un'intervista a un gruppo delle vostre parti che la scena musicale bolognese sarebbe praticamente morta. È così? E se sì, cosa si può fare per farla risuscitare?
Non ci sentiamo di poter dire che la scena bolognese sia morta. Anzi, forse c’è più fermento che mai, perché la rete e l’accessibilità sempre maggiore dei mezzi per autoprodursi e autopromuoversi portano sulla scena una grandissima quantità di proposte. Il problema è la qualità delle proposte e l’attenzione del pubblico. Chiunque deve essere stimolato ad esprimersi artisticamente, perché questo migliora l’individuo e la comunità, ma allo stesso tempo dovrebbe essere responsabilizzato a guardarsi con spirito critico e autocensurarsi quando serve. Diversamente si disperde la già scarsa attenzione del pubblico o lo si diseduca distogliendolo dalle proposte di livello (e non ci riferiamo necessariamente alla nostra) concentrandolo sulle porcate al limite dell’avanspettacolo. Questa considerazione tuttavia non è circoscritta alla scena bolognese, e nemmeno a quella indipendente e underground.
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L'articolo The Talking Bugs - Musica da cameretta di Letizia Bognanni è apparso su Rockit.it il 2014-04-11 00:04:24
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