Si intitola “Virtual honeymoon”, il disco d’esordio dei Fennec. Dietro questo nome si celano alcuni musicisti d’esperienza, ma che non vogliono mettere in risalto le cose fatte in passato perché, come si può scoprire nell’intervista, non ci tengono affatto. Desiderano soltanto che il disco venga ascoltato, senza pregiudizi di sorta.
Ne parliamo con Luca Rossi, leader del progetto assieme al compagno Geo. Luca arriva dagli Ustmamò, ma, diciamolo subito, con questo disco la musica cambia…
Incuriosisce innanzitutto il nome che avete scelto per il gruppo. Com’ è nata la scelta e quale significato ha per voi?
Luca: Fennec è un animale che appartiene alla famiglia delle volpi ed è la volpe più piccola del mondo; vive nel deserto del nord Africa ed è un animale notturno, un animale bellissimo da vedere, stupendo. Quando abbiamo concretizzato l’album ed il progetto io volevo assolutamente cercare un nome che venisse dal mondo animale e mi sembra che questo animale notturno abbia in qualche modo delle caratteristiche che abbiamo anche noi.
Spiegaci anche il significato del titolo dell’album “Virtual honeymoon”, ovvero la “Luna di miele virtuale”…
Luca: Il titolo è arrivato alla fine, come il nome del gruppo. Siamo nati come progetto di studio - una ‘studio-band’ in qualche modo - e quindi abbiamo cominciato ad assemblare dei pezzi, a metterli nell’hard-disk. Poi, dopo due anni, ci siamo trovati con molti brani che abbiamo raccolto in un album. E’ un disco fondamentalmente d’amore, nel senso che le canzoni cantate hanno alla base sempre delle storie d’amore.
I testi sono tutti scritti da voi o prendete qua e là dei campionamenti?
Luca: I testi li scriviamo noi, ma ci sono anche dei campionamenti abbastanza casuali, nel senso che il testo è abbastanza casuale quando si campiona. I testi scritti da noi, alla fine ci siamo accorti che parlavamo sempre d’amore. E’ anche per una questione di comodità, si fa prima…
Ed il tema è anche più adatto alle atmosfere create della musica…
Luca: Esatto. E poi le parole devono suonare bene non partiamo dalla narrazione dei testi ma sempre dalla musica, per cui il testo ha un valore inferiore rispetto alla musica, in questo caso. Per quanto riguarda l’album, una cosa che mi sembra di aver capito adesso è che questa musica in realtà descrive delle storie, cioè in ogni brano, chiunque, noi compresi, può ritrovarsi in una storia propria ed immaginarla. Quindi, queste musiche, in realtà, aiutano a descrivere delle immagini. Questo è quello che io penso del disco.
E ci avete messo circa due anni per concludere l’intero lavoro? E’ stata una gestazione piuttosto lunga…
Luca: No, no, no… la gestazione in realtà non è stata lunga: è vero che noi abbiamo cominciato a lavorare nel 2000 - ed il disco è uscito intorno alla fine del 2003 - ma in realtà avremmo lavorato cinque mesi su questo album. E’ assolutamente impensabile che qualcuno lavori per tre anni sugli stessi pezzi, per tre anni di fila. Noi, proprio perché non era un progetto definito, proprio perché era libera la situazione in studio ed il modo di comporre, abbiamo lavorato con calma, un po’ in ogni anno.
E nel frattempo, musicalmente, facevate altro?
Luca: Io avevo un altro gruppo fino al 2001, gli Ustmamò…
Infatti, tra gli altri partecipanti al progetto Fennec, si riescono ad identificare solo te e un altro ex Ustmamò (Simone Filippi). Gli altri non sono ben identificati…
Luca: E’ una scelta che ho fatto io, nel senso che non volevo assolutamente che questo disco uscisse come quello di un ex degli Ustmamò perché mi sembrava molto riduttivo nei confronti dell’album. Non mi piace che qualcuno, ancora prima di ascoltarlo possa pensare: “Ah sì, questo è quello che era negli Ustmamò per cui sarà una lavoro alla Ustmamò”. Cioè, mi piacerebbe che, come succede a me quando vado a comprarmi un disco, la gente possa immaginarsi delle storie sul gruppo. Io sento, per fare un esempio, un pezzo alla radio, di un’artista che mi piace molto e poi mi informo e magari lì per lì mi immagino anche delle cose: ma chissà da dove vengono, chissà chi sono…E mi piacerebbe che l’ascoltatore di questo disco potesse pensare ciò che vuole all’inizio. Quando sente il pezzo, come per esempio l’attuale singolo “There is time”, l’ascoltatore può immaginare cosa vuole: chi sono, da dove vengono, cosa fanno, perché. Poi, alla fine, le carte si scoprono, però è sempre meglio che uno si faccia il suo viaggio.
Insomma, l’immaginazione che volete stimolare con l’ascolto dei brani viene fuori anche per cercare di capire chi si cela dietro i Fennec?
Luca: Sì, non è soltanto immaginare chi c’è dietro l’autore. E’ importante che si crei in qualche modo un rapporto tra disco e ascoltatore. E’ chiaro che se a uno non piace il disco il discorso finisce lì, ed è giusto così. Preferisco che qualcuno apprezzi l’opera e poi magari si informi su chi è Fennec, cosa vuole fare, cosa vuole dire. Tutti mi dicono che è una cosa in contro-tendenza, però…
Nel disco ci sono suoni elettronici più attuali ed altri più datati. Trovate facile amalgamarli e dare un risultato d’insieme molto omogeneo?
Luca: Credo che alla base di questo disco ci sia un certo tipo di blues, un certo tipo di jazz e un certo tipo di soul. In generale il disco sembra vecchio e per me è importante fare un disco nel 2003 che comunque ti rimanda a delle cose che si sentivano in giro quarant’anni fa. Quello che abbiamo cercato di fare, come dici tu, è stato di amalgamare i suoni, in una sorta di ‘pasta sonora’ - che poi è sempre la cosa più difficile da fare, perché di solito per fare queste cose ci vogliono i produttori.
Noi abbiamo cercato di dargli una ‘pasta sonora’, appunto, che fosse vecchia, per cui che non avesse molte frequenze alte. Cioè un po’ scuro, un po’ come suonavano certi dischi vecchi. E’ difficile, me ne rendo conto, anche perché noi lavoriamo con computer, con macchine, per cui c’è sempre una ricerca al contrario. In pratica invece di pulire cerchiamo di sporcare.
E’ abbastanza diffusa, oggi, la tecnica del ‘cut-up’, del ‘taglia&incolla’. E’ mancanza di originalità o moderna creatività?
Luca: Io posso parlare del mio caso personale e non vorrei passare per presuntuoso, mentre in quello che fanno gli altri non voglio metterci becco. Per quanto ci riguarda alla base ci sono dei campionamenti, perché il progetto è nato così, con dei campionamenti, dei riff minimali e poi con la costruzione di una struttura, molto semplice. Poi se tu mi chiedi: “Perché fate così?”, ti rispondo che è molto casuale. Siamo in due, io e il mio socio - che si chiama Geo e che aveva fatto un disco nel ’98 prodotto da me - e lui, lavorando in casa, utilizza esclusivamente il campionatore. Prende delle frasi, in giro di qua e di là, e campiona non suonando alcunché. Perciò la base del 70% delle canzoni è nata così. In seguito occorre strutturarle perché con due campioni non riesci a fare un pezzo. Quindi, a quel punto, cerchiamo di lavorare un po’ sulla composizione e in studio da me aggiungiamo un giro di basso, un giro di chitarra, un giro di piano.
In definitiva si parte da un campionamento, da un riff, da un qualcosa di importante, che magari è stato suonato alla fine degli anni Cinquanta, e poi si cerca di sviluppare l’idea. Da questo campionamento alla fine nasce un altro brano e così via. Se ci fai caso nel nostro cd ci sono sedici tracce: se tu ascolti quelli strutturati in stile canzone, cioè dove c’è una voce che canta, una strofa e un ritornello, sono fatti in questo modo. Gli altri sono fatti solo con dei campioni nel senso che hanno un giro armonico semplice, per esempio, tutto il la minore, dall’inizio alla fine, e lì ci sono solo degli interventi sonori. Per cui, noi utilizziamo queste tecniche non per mancanza di creatività, ma perché il processo creativo nasce in questo modo. Poi, io sono già avanti e penso anche a come vorrei fare il prossimo disco, che sarà molto diverso. Penso a come vorrei fare il live e in quel contesto sarà tutto suonato da sei persone, con i campionamenti sono ridotti all’osso…
Si parlerà quindi di un vero e proprio tour e non solo di una band da studio…
Luca: si, nel momento in cui il disco avrà fatto quello che deve fare, cominceremo a girare. Poi, tra l’altro, stiamo aspettando che ci diano le date per l’uscita in Francia, Germania e Svizzera. Perché se riusciamo a fare un tour in questi paesi è meglio. All’inizio pensavamo che il disco uscisse prima all’estero che in Italia, poi si è fatta avanti la casa discografica…
Come per i Subsonica, che uniscono armoniosamente le macchine con le emozioni, la stessa cosa succede anche nel vostro caso? La freddezza dell’uso prevalente della tecnologia abbinata al calore umano, ai sentimenti, all’amore…
Luca: Sono d’accordo, anche se non saprei cosa aggiungere. Nel momento in cui si cerca lo spunto per partire, si cerca l’idea, questo spunto, questa idea, questo campione, questo giro di riff, ecc,. deve avere delle caratteristiche e probabilmente sono quelle che hai detto tu. Noi cerchiamo di partire dal vecchio e da un suono molto più vecchio di quello ad esempio dei Subsonica che invece è decisamente più attuale. Anche come scelta di ritmiche, le loro sono molto più veloci; fanno pezzi con bpm molto ballabili. La differenza tra noi e loro è che il nostro disco è molto scuro e molto lento. Questo è il fatto sostanziale, di approccio.
E non è facile, con il massiccio uso di elettronica rendere “caldi” ed emozionanti i brani come riuscite a fare voi…
Luca: Mah, guarda... noi di macchine elettroniche ne usiamo veramente poche. Usiamo il campionatore - che non è altro che un registratore - ti permette di registrare una porzione di pezzo e di modificarlo, tagliarlo, cambiargli il tempo, cambiargli la tonalità. E non è proprio un synth: la parte del suono dipende da quello che ci metti dentro, da quello che campioni. Quindi se tu campioni da un disco jazz degli anni cinquanta hai un suono, se tu campioni da un disco new-wave anni ottanta hai un altro suono. E noi cerchiamo sempre di stare sul suono vecchio.
L’ascolto del vostro disco lo trovo adatto a scopi terapeutici. Voglio dire, in una società in cui tutto va di fretta, tutto corre, ascoltare il vostro disco significa fermarsi, riflettere, immaginare, sognare. Volevate creare queste sensazioni con la vostra musica?
Luca: Credo che innanzitutto sia terapeutico per chi la fa - almeno questo te lo posso garantire al cento per cento. E’ terapeutico per chi la fa almeno nella prima parte della realizzazione; poi, quando lo devi finire, mixare, ritoccare, allora diventa un lavoro più complicato e ti concentri sul lavoro. Ma nella prima fase, quella di ricerca, di prove e mentre si suona, è per noi terapeutico. Poi, alla fine, quando il disco è finito succede che qualcuno, come stai facendo tu adesso, ti dica che il disco è terapeutico. Quindi probabilmente serve staccare un attimo per rilassarsi, appunto.
Il senso della vostra frase “un buon ascolto non fu mai scritto… e questo è assolutamente vero”, studiata per presentare l’album, si può intuire; ma cosa intendete, precisamente?
Luca: La nostra interpretazione è che comunque uno può provare a scrivere qualcosa su questo disco e fare una recensione, però poi alla fine, dieci persone possono ascoltare il disco e pensare completamente l’opposto di quello che l’ha recensito. Quindi andrebbe ascoltato, magari prima di comprarlo, se fosse possibile. Per lo meno uno dovrebbe avere la possibilità di ascoltare due o tre pezzi, farsi un’idea, e se gli piacciono acquistare l’album. Quella frase l’abbiamo scritta alla fine, perché quando abbiamo finito il disco abbiamo dovuto scrivere qualcosa delle nostre canzoni ed è stato abbastanza complicato per noi metterci a farlo. Nel senso che ci sembrava di aver già fatto il nostro lavoro.
Sembrava comunque che non fosse abbastanza, che ci fosse bisogno quasi più delle parole che precedono un disco che del disco stesso. Allora, per chiudere definitivamente la situazione, abbiamo messo quella frase.
Nelle tematiche ricorrono spesso la notte e il deserto, due elementi che si riallacciano sempre al nome, Fennec. Cosa volete comunicare? Cosa rappresentano, per voi, la notte, il deserto, i luoghi che in qualche modo stimolano l’immaginazione?
Luca: Guarda, l’hai detto tu: questo disco deve stimolare l’immaginazione, le visioni notturne e deve accompagnare l’ascoltatore, in qualche modo, nel suo viaggio. Qualcuno, non mi ricordo chi, ha detto che la musica dei Fennec è una buona tappezzeria. Subito non capivo se fosse un complimento o una critica, ma lui ha subito replicando dicendo che si trattava di un complimento; a un certo punto, però, ha fatto una critica, sostenendo che in alcuni punti del disco la stanza fosse un po’ vuota. Sicché io ho ribattuto dicendo che la stanza è sempre vuota, dall’inizio alla fine, solo che dentro la stanza ci sei tu. La nostra non è una musica che ti riempie la stanza, ma è una musica che è lì; se ti serve la usi, altrimenti no.
E’ lo stesso concetto della musica ambient: è di sottofondo, però, se non c’è te ne accorgi…
Luca: Esatto.
Cos’è questa storia del personaggio Galaxy? Esiste veramente o è frutto della fantasia?
Luca: E’ vera, verissima. Questo personaggio esiste e fa disegni, come quelli del nostro cd. Geo, l’altro Fennec, nella vita ha un’altra professione, non fa il musicista, ma fa l’atelierista, il disegnatore. Ha lavorato in un laboratorio frequentato da persone con problemi psichiatrici e per due anni ha collaborato con Galaxy, realizzando una serie di ritratti femminili. Per due anni, tutte le settimane, disegnavano quattro o cinque ritratti di donna e alla fine hanno prodotto un catalogo infinito di immagini di donne. Ed è per quello che abbiamo deciso di puntare tutta l’immagine su Galaxy. E’ una certa affinità che si è creata tra i Fennec e Galaxy, che consiste nel produrre lui le immagini e noi le musiche. C’è qualcosa di simile nel procedimento.
Perché avete scelto le liriche in inglese per i vostri testi?
Luca: Perché, come dicevo prima, alla base del progetto c’è la musica e non i testi. Quindi partiamo sempre dalla musica e magari alla fine di alcuni brani ci accorgiamo che hanno bisogno di parti vocali. Quando serve un riff vocale, la cosa che ci piace di più è trovare una melodia che funziona e metterci le parole in inglese, perché suonano meglio e riusciamo a scriverle con più facilità. Questo è il motivo. Le parole devono avere un buon suono, non deve essere qualcosa di troppo ‘triangolare’, ma ‘morbido’ e che si mescoli con la musica.
Rispetto a quando militavi negli Ustmamò i tuoi gusti musicali si sono evoluti? Ed in che modo hanno influenzato la creazione dei brani sotto il marchio Fennec?
Luca: Quando si lavora in due è molto diverso rispetto a quando si lavora in quattro o in cinque... in due per me è molto più facile. I Fennec sono un’altra cosa, un altro progetto, un altro approccio, con una la situazione più aperta, mentre gli Ustmamò avevano invece un approccio diverso: anche un disco nuovo dava un sacco di possibilità, nel senso che non dovevamo fare per forza una cosa precisa, ma potevamo farlo con tante piccole restrizioni.
Riguardo ai miei ascolti nel complesso non sono cambiati, ma cerco sempre delle cose nuove che mi piacciano.
A proposito degli Ustmamò, una curiosità: che fine hanno fatto gli altri membri della band?
Livio: Simone ha cantato un po’ nel nostro disco, Mara fa l’insegnante di inglese, mentre Ezio fa l’insegnante di violino.
Dopo diversi anni di esperienza nel panorama del rock italiano, come vedi il progetto Fennec all’interno di questo ambito? Ha le potenzialità per emergere verso il grande pubblico o rimane un progetto di nicchia?
Luca: Quello che sta succedendo adesso era quello che mi aspettavo; nel senso che alla fine noi di questo disco possiamo solo parlarne con i giornalisti, con dj, etc., ma abbiamo degli spazi abbastanza stretti ed era come immaginavo. Dal mio punto di vista va bene, cioè il mio risultato è raggiunto. Voglio continuare a fare un po’ di promozione, voglio che qualcuno abbia la possibilità di ascoltare il disco e di crearci un piccolo seguito, per poter fare un altro album. Quindi non mi aspetto che questo disco vada in classifica, ma penso rimarrà un prodotto di nicchia…
E la tournèe? non è un aspetto importante della promozione?
Luca: Quella la voglio assolutamente fare perché io ho voglia di suonare e quindi, in un modo o nell’altro, si farà.
E’ prevista la realizzazione di un videoclip?
Luca: il video è pronto ed è quello di “There is time”. Lo trasmette, credo, solo Match Music, così almeno mi han detto. Mtv non lo passa. Siamo partiti dal soggetto di Galaxy ed è quindi una storia fantastica di una persona che disegna in una stanza. E questa stanza si sposta in varie parti dell’universo, mentre lui disegna. Questo è l’inizio della storia. E’ tutto fatto con disegni animati. A breve sarà anche scaricabile dal nostro sito internet (www.fennec.biz, ndr).
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L'articolo Fennec - telefonica, 18-10-2003 di Christian Amadeo è apparso su Rockit.it il 2004-01-25 00:00:00
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